Contro l’imperialismo e la sua barbarie, viva la resistenza dei popoli
Pubblichiamo di seguito l’intervento scritto inviatoci dai compagni e dalle compagne della Campagne unitarie pour la libération de Georges Abdallah in occasione dell’iniziativa internazionale “La linea di scontro tra il Socialismo e la Barbarie”, nel quale, a partire dall’attuale contesto di regressione politica e mobilitazione sociale in Francia, si colgono a pieno gli aspetti della dimensione internazionale della lotta antimperialista e anticapitalista. Lo scontro frontale e determinato delle masse popolari e, quindi, la brutale repressione messo in atto dal governo Macron in Francia – uno dei pilastri del “nostro” polo imperialista rappresentato dall’Unione Europea – ben evidenziano come la linea dello scontro tra il Socialismo e la Barbarie sia rintracciabile e pulsante anche alle nostre latitudini.
Le ingerenze politiche in Libano, gli interventi militari in Libia, le continue tensioni con la Turchia dimostrano come il quadrante Euro-Mediterraneo e, in particolare, la sua sponda Sud dal Marocco al Mediterraneo orientale, siano teatro di una competizione accentuata tra le potenze imperialiste per gli interessi economici e strategici nella regione. In questi anni in cui l’imperialismo europeo ha rafforzato il suo sistema di dominio, sfruttamento ed oppressione in Medioriente, riteniamo inoltre fondamentale continuare a mobilitarci al fianco delle realtà politiche e sociali che esigono l’immediata ed incondizionata liberazione di Georges Abdallah, combattente della resistenza e comunista libanese, divenuto un simbolo della lotta internazionale contro l’imperialismo.
ABBIAMO UN MONDO DA CONQUISTARE!
CONTRO L’IMPERIALISMO E LA SUA BARBARIE, VIVA LA RESISTENZA DEI POPOLI!
Il 2020 rimarrà segnato dall’impronta di un anno di pandemia mondiale, caos diffuso, apocalisse e fine programmate del mondo? Per alcuni approcci limitati o mistici, certamente. Ma la cosa più importante da ricordare del 2020 è che è stato ed è tuttora portatore di tensioni fondamentali ma anche di giorni felici a venire!
Il 2020 è l’anno in cui l’economia è stata afflitta da una sovrapproduzione senza precedenti, mentre il commercio internazionale si è ridotto dal 2018. É l’anno in cui la sfera speculativa finanziaria è stata minacciata ad ogni piè sospinto dal collasso. É l’anno in cui le classi dirigenti si sono mostrate sempre più incompetenti, screditate e contrastate nelle strade, da un fronte sociale in pieno fermento, segnato da rivolte popolari importanti per numero e durata – ne sono un esempio i Gilets Jaunes – e che oramai non esita più ad entrare in uno scontro diretto, sempre più radicale e violento, contro ogni forma di rappresentazione del potere.
È in questo contesto di destabilizzazione economica e di rivolta politica e sociale generalizzata che è apparso il Coronavirus; è in questo contesto che devono essere comprese tutte le ripercussioni di questa pandemia e anche questa famosa dichiarazione del 16 marzo 2020 che tutti possono e devono riprendere: “Siamo in guerra”.
Questa guerra, ovviamente, è la loro. Sono in guerra, e lo sono sempre stati! Ma il 2020 rimarrà certamente l’anno in cui questa “guerra” di classe è stata esplicitamente dichiarata e in cui la vera posta in gioco dietro la retorica bellica dei discorsi del Presidente Macron è stata di fatto la perpetuazione di questo moribondo sistema capitalistico globalizzato, anche se significava far rivivere i vecchi demoni securitari e repressivi propri dei tempi di crisi.
Il Coronavirus, come la paura del terrorismo in passato, diventa quindi, in questa guerra, l’arma ideale e tempestiva per queste forze vacillanti per consolidare il loro potere e per il sistema capitalistico, attraverso lo Stato, per spingere sempre più in avanti il suo ordine politico, economico e sociale, e questo “a qualunque costo” in termini di sospensione dei diritti più fondamentali, di regressione sociale e di impoverimento massiccio della popolazione.
Sotto la copertura dello Stato di emergenza, la Francia ha decretato una profonda trasformazione nel funzionamento delle istituzioni statali; la libertà per lo Stato di regolamentare in un numero molto elevato di settori della vita politica, economica, sociale e giuridica, con semplici ordinanze, in un clima permanente di emergenza; ma anche regimi eccezionali che limitano le libertà individuali e collettive fondamentali – come la libertà di movimento, di agibilità, di riunione, di manifestazione –sancite dal diritto, attraverso una legge e che possono essere rinnovati fintanto che “l’eccezionale” è considerato tale.
Sono inoltre previsti nuovi attacchi alle conquiste sociali e democratiche che sono state il risultato di lotte combattute, in particolare nei settori del diritto del lavoro, del pubblico impiego, della sicurezza sociale e del diritto ad una dignitosa pensione. In questa carica offensiva, nessun settore della società è risparmiato, sia che le offensive siano dichiarate apertamente e pubblicamente, sia che siano affogate nel diluvio delle comunicazioni, come ad esempio con l’ultima Legge sulla Programmazione della Ricerca adottata il 17 novembre 2020, che prevede – oltre a finanziamenti concentrati sulla ricerca selettiva basata su progetti e un attacco allo status dei funzionari pubblici – la criminalizzazione dei blocchi e delle mobilitazioni nelle università con il pretesto di un “reato di ostruzione”. I colpi inferti vengono affrontati con leggi scellerate, “tagli al bilancio”, infami “piani di aggiustamento”, cassa-integrazione premonitrice e licenziamenti di massa in un momento in cui non si possono più contare gli assegni in bianco firmati ad ogni turno. E come sempre, ma forse ancora di più in questi tempi di rafforzamento delle contraddizioni e di “guerra” interna, si mettono in marcia i battaglioni del padronato e i loro guardiani nei media mainstream, martellando ora dopo ora, su tutte le onde radio, il senso di sacrificio e la necessità imperativa di estendere in generale l’orario di lavoro per giornate di 12 ore, settimane di 60 ore, l’abolizione dei risposi settimanali, dei giorni festivi e dei congedi retribuiti, e un calo sempre più esponenziale dell’età legale di pensionamento.
Si decide inoltre di concedere pieni poteri a tutte le forze repressive dello Stato per imporre, in modo del tutto arbitrario, la “Union sacrée” a tutta la popolazione e in particolare ai quartieri popolari. Questi pieni poteri sono pienamente rivendicati nei discorsi di politici, prefetti, sindacati di polizia dal fetore nauseante, annunciatori di questa violenza di Stato armata senza limiti e difensori dei crimini della polizia che sono stati assolti. Questi pieni poteri sono pienamente applicati quotidianamente durante la repressione delle lotte per le rivendicazioni sociali, sul terreno militare sperimentale che sono diventate le manifestazioni, ma anche nelle nostre strade, durante qualsiasi controllo, anche fino alle nostre case, come nella terribile esperienza di Michel Zecler violentemente picchiato da “custodi della pace” così devote alla loro missione. Questi pieni poteri sono stati recentemente e pienamente istituzionalizzati con la “Loi Sécurite Globale”, l’ultimo tassello di questo sistema repressivo: lungi dall’essere una “deriva autoritaria” come si può denunciare qua e là, è infatti una nuova tappa dell’arsenale repressivo dello Stato che sta acquisendo un’ulteriore arma per spezzare ogni resistenza al suo potere; un’arma che estende il riconoscimento facciale e l’uso dei droni “come legittimo mezzo di sorveglianza” per il mantenimento dell’ordine, che estende i poteri dei funzionari di polizia municipali e del settore della sicurezza privata, e che più in generale rafforza l’impunità della polizia e della gendarmeria. La guerra è dunque presente in questo scontro tra l’ala armata del capitale e le classi dominanti, da un lato, e tutte le forme di resistenza e di messa in discussione del potere, dall’altro.
Infine, in questa offensiva bellica, non dimentichiamo che si stanno introducendo anche “adattamenti” della giustizia penale al di fuori dello Stato di diritto, in modo che le istituzioni giudiziarie siano ridotte alle più strette esigenze di potere – quella di punire e incarcerare – e che i diritti della difesa siano distrutti in ogni fase del processo giudiziario.
Sono in guerra! Tutto lo attesta e lo dimostra! E il 2020, dietro il velo dello Stato di emergenza sanitaria, è e rimarrà l’anno di un’intensificazione dell’oppressione e dello sfruttamento operato dallo Stato borghese per salvaguardare gli unici interessi della classe dirigente.
Ma il 2020 è e rimarrà anche l’anno della resistenza sempre maggiore del proletariato e del popolo. A questa dichiarazione di guerra – travestita da confinamento – molte persone, mosse dal virus della ribellione, continuano ad organizzarsi e a dimostrare che l’insubordinazione è presente tra i popoli almeno quanto la tendenza a sottometterli.
Ovunque in Francia, nonostante i dettami e i divieti, ma in un momento in cui la povertà continua ad aumentare con la crisi sanitaria che è venuta ad accentuare una crisi economica già presente, le proteste si esprimono e le rivolte si moltiplicano: nei quartieri popolari, particolarmente esposti in prima linea, le notti possono essere incendiarie. Allo stesso tempo, nelle fabbriche, scoppiano proteste e scioperi, alle grida di “i vostri profitti valgono più della nostra salute” ma anche blocchi e occupazioni contro licenziamenti e delocalizzazioni che non conoscono le leggi delle restrizioni sanitarie. Ogni settimana, in tutte le principali città della Francia, si sollevano cortei di massa e si assiste a rivolte quasi insurrezionali in cui si tratta ora di chiedere conto a chi fino ad allora si credeva intoccabile: questa continua e crescente contestazione delle masse popolari non è solo il segno di intolleranza di una politica del governo, ma piuttosto il segnale di una crescente consapevolezza politica del fallimento stesso del sistema. Questa logica di scontro violento nelle piazze e questa necessità istituzionale di dotarsi di strumenti di repressione sempre più potenti è infatti il segno di una lotta di classe sempre più antagonista in cui bisogna rendere colpo per colpo. Se c’è un’intensificazione della repressione, è bene che ci sia un’intensificazione della lotta di classe! E se c’è davvero una guerra che si sta dichiarando, non sui televisori ma sul selciato, è davvero una guerra di classe contro classe! E se c’è davvero un nemico all’interno da sconfiggere, è proprio lo Stato stesso e non quello che gli scagnozzi di questo Stato cercano di designare quotidianamente attraverso il razzismo sistemico e infine attraverso questa legge abietta contro il cosiddetto “separatismo”. No, non siamo in guerra con una parte della classe operaia, costantemente stigmatizzata e accusata di non rispettare più i “valori” democratici e di minacciare le fondamenta stesse della Repubblica! Siamo in guerra contro lo Stato stesso, contro la classe borghese, di cui serve solo gli interessi, e contro la sua controrivoluzione che non riesce più a nascondere l’entità delle sue crisi né il carattere incerto del suo futuro.
La rabbia e la fionda sono lì e continuano a crescere: tra i bersagli ordinari della polizia, tra i combattenti della resistenza nelle carceri, tra coloro che il confino assegna alla miseria, tra i lavoratori esposti al virus ma anche ai licenziamenti di massa che rifiutano il ruolo di variabile di aggiustamento che si cerca di imporre loro, e tra tutta la classe del proletariato e la gente che sa che i suoi interessi non sono quelli della borghesia e che il nemico di ieri rimane lo stesso prima, durante e dopo la pandemia.
La rabbia e la collera sono lì e continuano a crescere non solo in Francia ma anche in tutto il mondo, per esempio in Libano, Cile, Uruguay, Perù, India e altrove. Tutte queste lotte esprimono il rifiuto della classe operaia di sopportare il peso delle attuali crisi economiche, sociali e politiche. Esprimono – con una nuova portata e frequenza negli ultimi anni – l’affermato desiderio di rompere con un sistema che intrinsecamente può solo produrre disuguaglianza, sfruttamento ed esclusione, in altre parole miseria, guerre, caos e, allo stesso tempo, l’arricchimento scandaloso di una minuscola minoranza a spese della maggioranza della popolazione. Attraverso queste rivolte popolari, queste lotte sociali e questa rivolta mondiale, viene ora apertamente ed esplicitamente denunciato un intero sistema da abbattere basato sulla corruzione, la costante collusione tra il potere politico e il potere della finanza, l’onnipresenza di lobby che dettano la loro legge ai più alti livelli degli Stati, la corsa al profitto con ogni mezzo possibile a scapito del bene pubblico e dei diritti fondamentali, i diktat di marcia forzata di una giustizia rapida e puramente di classe, un sistema repressivo sovra-armato che reprime qualsiasi forma di protesta – tutti questi sono segni e segnali, qua e là, della graduale e ormai accelerata costituzione di una forma politica e sociale fascistizzante. La posta in gioco è ormai nella coscienza di tutti e tutti sanno decifrare i discorsi dei funzionari, leggere tra le righe, tradurre in termini di interessi ciò che viene distillato dai media goccia a goccia.
Tutti sanno oggi come tutto sia una corsa al profitto a scapito dei popoli e del pianeta.
Tutti sanno come, ad esempio, le operazioni militari o le pressioni politiche per “salvaguardare la pace”, “rovesciare i dittatori”, “combattere il terrorismo” o “imporre la democrazia” non hanno altro obiettivo per l’imperialismo se non quello di destabilizzare interi paesi, destituire governi, imporre il caos con il solo scopo di avere mano libera per il saccheggio di petrolio, gas, minerali, risorse idriche o per guadagnare sfere di influenza commerciali, militari e territoriali.
Tutti oggi sanno come le cosiddette logiche dei “sacrifici”, della “riduzione dei costi” e della “riduzione del debito” siano tante leve per i capitalisti per spingere, attraverso la privatizzazione, la riduzione dei salari e l’imposizione di tasse infinite, e permettere così l’arricchimento per capitalizzazione dei multimilionari a fronte di un sempre maggiore impoverimento e sfruttamento dei popoli.
Infine, tutti sanno che, tra tutte le lotte in corso, quelle in Libano e in Palestina sono cruciali in questa regione chiave dell’Oriente arabo – il vero fulcro di questo sistema di dominio, saccheggio e sfruttamento. Questa zona è un crocevia strategico fondamentale sia dal punto di vista economico, politico e militare, sia in questa guerra dell’oro nero e dell’oro blu. Anche questo è ormai evidente a tutti, viste le basi militari create, le guerre per procura, le alleanze politiche e commerciali passate, i favoritismi accordati e, più in generale, il sostegno incondizionato riconosciuto ai servitori degli imperialismi nella regione, nonostante le loro politiche arbitrarie antidemocratiche e antipopolari. Lo dimostra in particolare anche il sostegno incondizionato dato – non solo in queste ultime ore di spudorata normalizzazione ma da sempre per l’imperialismo – all’entità sionista che, come ci ricorda molto spesso Georges Abdallah nei suoi scritti, “non è un mero strumento tra tanti altri al servizio dell’imperialismo per il saccheggio e il dominio della regione ma una vera e propria estensione organica dell’imperialismo occidentale nella regione”. Tutto è pianificato nella regione in generale per sfruttare e schiavizzare il popolo, per esaurire le risorse per profitti esponenziali, per trasformare tutta la ricchezza prodotta solamente a vantaggio del Capitale, tutto ciò che alla fine viene maltrattato, soprattutto in Palestina, per distruggere un intero popolo. Ma anche qui la resistenza è organizzata da molto tempo. Questi focolai rivoluzionari, che né l’entità sionista né gli imperialisti sono stati in grado di sottomettere o spegnere nonostante tutti i mezzi impiegati in tutti questi decenni, racchiudono la loro forza in una verità fondamentale che Georges Abdallah non smette mai di ricordarci – una verità che la lunga storia e le esperienze delle lotte di liberazione nazionale ci hanno già insegnato, cioè che la forza di queste lotte sta nella legittimità stessa della loro causa, che disegna immancabilmente una linea di demarcazione chiara e intangibile tra due campi risolutamente antagonisti: uno basato su negoziati, concessioni, collaborazione e infine sottomissioni; l’altro legato alla resistenza con tutti i mezzi e in particolare alla lotta armata.
Quindi, sì! Siamo in guerra, in questa guerra di classe che non dice il suo nome ma è decisamente reale. E il 2020 è e rimarrà una pietra miliare storica nella resistenza dei popoli e nella consapevolezza che un altro mondo non solo è possibile ma necessario.
Un grande combattente ha lottato tutta la vita per la conquista di questo mondo e continua a lottare instancabilmente da 37 anni, dalle sbarre della sua prigione di Lannemezan, per proclamarne l’imperiosa necessità: è Georges Abdallah! Resistente da sempre, lui è parte di tutte le lotte e noi lo siamo di tutte le sue. Perché sì, ci riconosciamo nell’identità politica di Georges Abdallah, combattente arabo e combattente della resistenza, comunista libanese, simbolo della lotta odierna contro l’imperialismo, il sionismo, il capitalismo e gli Stati arabi reazionari. La sua lotta è la nostra. Vogliamo una Palestina libera e vittoriosa. Vogliamo la fine del colonialismo in tutto il mondo e in tutte le sue forme, la fine del capitalismo e dello sfruttamento e sosteniamo la lotta dei popoli contro ogni oppressione. Ci riconosciamo nella lotta di Georges Abdallah contro l’invasione sionista del Libano e per la lotta per la liberazione nazionale della Palestina che egli conduceva prima di essere arrestato nel 1984 dalla polizia francese. Ci riconosciamo nel suo immancabile impegno rivoluzionario durante i suoi tre decenni di prigionia e nella sua feroce determinazione a combattere. Georges Abdallah è in prigione per la lotta politica che ha condotto, per le idee e gli ideali che non ha mai smesso di proclamare e mai rinnegato. È per le sue idee di emancipazione che Georges Abdallah si è impegnato nella lotta. È per queste idee e per la sua lotta rivoluzionaria che è ancora oggi detenuto. È per le sue idee e la sua lotta rivoluzionaria che lo sosteniamo ed esigiamo la sua liberazione. Se esiste davvero un simbolo della prossima rivoluzione, è quello di Georges Abdallah! In questa guerra apertamente dichiarata, siamo oggi al suo fianco e saremo lì nel giorno della sua liberazione per continuare a lottare con lui, accanto alle masse popolari in lotta, per un mondo definitivamente liberato dal capitalismo e dalla sua barbarie e dall’imperialismo e dai suoi cani da guardia.
La resistenza è un diritto! Libertà per Georges Abdallah!
“Che fioriscano mille iniziative di solidarietà a favore della Palestina e della sua promettente Resistenza. Solidarietà, tutta la solidarietà con i combattenti della resistenza nelle carceri sioniste e nelle celle di isolamento in Marocco, Turchia, Grecia, Filippine e in altre parti del mondo! Solidarietà, tutta la solidarietà con i proletari dei quartieri popolari! Onore ai Martiri e alle masse popolari in lotta! Abbasso l’imperialismo e i suoi cani da guardia sionisti e reazionari arabi! Il capitalismo non è altro che barbarie, onore a tutti coloro che vi si oppongono nella diversità delle loro espressioni!” (Georges Abdallah)
Parigi, 14 dicembre 2020
Campagne unitaire pour la libération de Georges Abdallah