Il Procuratore capo della Corte Suprema di appello Bekir Sahin ha avviato la scorsa settimana una causa presso la Corte Costituzionale contro l’HDP, il Partito Democratico dei Popoli.
L’accusa è di essere “colluso con il gruppo terroristico Pkk” (Partito dei lavoratori del Kurdistan) .
La formazione politica è uno dei perni dell’opposizione al presidente Erdogan: l’HDP è il terzo partito, dopo l’AKP di e la formazione kemalista di sinistra CHP. In sintesi è una delle maggiori voci che si oppone alle politiche del “Sultano”.
Questa prima causa ufficiale potrebbe portare allo scioglimento del partito, ultimo nel tempo ad essere colpito dalla limitazione dei margini di azioni politica della Turchia “democratica”.
L’HDP è già da tempo il bersaglio della repressione, considerato che molti sindaci eletti tra le sue fila nelle regioni orientali a maggioranza curda del Paese sono stati rimossi d’ufficio, ed alcuni suoi parlamentari sono stati arrestati e destituiti dalle loro funzioni.
L’ultimo dei deputati ad aver subito tale sorte è Faruk Gergerlioglu, rimosso perché “colpevole” di avere sostenuto in un tweet in passato il suo appoggio al processo di pace tra il PKK ed il governo turco!
Nell’azione giudiziaria intrapresa non viene chiesta solo la messa fuori legge dell’organizzazione, perché il procuratore Sahin richiede di mettere al bando politicamente più di 600 membri del partito, inclusi gli attuali e passati co-presidenti, di cui uno – Selhattin Demirtsas – si trova attualmente in carcere.
La legge impedisce ad un partito dissolto in via permanente di essere costituito sotto altro nome, ed ai suoi attivisti potrebbe essere impedita qualsiasi attività politica, anche solo l’adesione ad altre formazioni per almeno 5 anni.
È il tentativo di una vera e proprio messa al bando complessiva che segue una repressione costante che ha segnato il destino della formazione e dei suoi membri per tutta la sua storia, fatta di arresti e detenzioni arbitrarie.
A nulla hanno portato le prese di posizioni della diplomazia europea e statunitense sull’involuzione autoritaria in Turchia, che ricordiamo è un membro importante della NATO, a cui Ankara ha risposto con sdegno e fermezza.
L’HDP, fondato circa 10 anni fa, è riuscito a catalizzare i voti della comunità curda e quella degli altri cittadini turchi orfani di una rappresentanza della sinistra radicale in un quadro politico “blindato”, superando nelle precedenti elezioni per ben due volte (nel 2015 e nel 2018) la proibitiva soglia del 10%, necessaria per potere accedere alla Grande Assemblea. Ha ottenuto 6 milioni di voti alle ultime elezioni, e attualmente detiene 55 ha seggi al parlamento turco, formato da 600 membri in tutto.
In un comunicato stampa del 17 marzo, i suoi co-presidenti Pervin Buldan e Mithat Sancar hanno espressamente dichiarato:
«Non essendo stato capace di sopraffare l’HDP ideologicamente, politicamente o nell’urna elettorale, loro [l’alleanza governativa AKP-MHP] stanno cercando di eliminare l’HDP dalla politica democratica con mezzi giudiziari. La loro aggressività ha origine nel loro profondo timore»
La formazione fa appello ad una ampia mobilitazione contro quello che giustamente definisce un “colpo di stato” ed ha convocato un incontro straordinario del suo Comitato Esecutivo Centrale.
È chiaro che l’HDP rappresenti una spina nel fianco per gli ambiziosi progetti di Erdogan in politica estera, tesa a proiettare la sua influenza ad ampio raggio, ma con una situazione interna che va deteriorandosi, mostrando le storture del modello di sviluppo attuato dall’AKP.
La leadership dell’AKP non ha ancora trovato ricette performanti per invertire strutturalmente la rotta del declino economico.
La Turchia si trova in una difficile congiuntura economica e sanitaria, con un quarto di giovani ufficialmente disoccupati.
L’inflazione è a doppia cifra, al 15%, ben oltre gli obiettivi economici stabiliti dal governo, ed aveva cominciato a salire di nuovo nella seconda metà dell’anno scorso, dopo avere toccato il 25% nel picco della crisi valutaria del 2018.
Si è modificata da tempo la condizione di relativa crescita e di moderata prosperità grazie alla quale il Presidente aveva negli anni costruito il suo successo e consolidato il suo consenso.
La crescita economica era stata trainata dagli investimenti stranieri e costruita soprattutto – in patria come all’estero – sul settore del Real Estate, così come sullo sviluppo dei consumi interni attraverso il credito al consumo. Tali dinamiche avevano portato alla creazione di un ceto medio (ora in via di impoverimento) che vedeva le sue fortune legate all’ascesa del leader dell’AKP, legittimando la sua “verticale del potere”.
L’AKP è un partito che, con la crisi, ha conosciuto un notevole calo di consensi e varie defezioni da parte di suoi uomini chiave, che hanno cercato di dare vita ad altre formazioni sul tracciato del partito originario, ma che mutatis mutandis hanno conosciuto “a destra” lo stesso trattamento del resto dell’opposizione.
È il caso di Gelecek, la formazione dell’ex primo ministro Ahmet Davutoglu, fondata nel 2019, e di Deva, dell’ex guro economico di Erdogan, Ali Babacan, rimaste fino ad ora marginali ma che Erdogan teme perché potrebbero erodere ulteriormente la sua minata legittimità politica.
L’ultimo colpo di scena nella tumultuosa gestione della politica economica turca è stato il licenziamento improvviso – sabato mattina – del capo della banca centrale turca Naci Agbal. Era stato incaricato a novembre all’interno di un tentativo complessivo di scossa economica da parte di Ankara, e ora è stato sostituito con Sahap Kavcioglu dell’AKP.
È il quarto uomo a sedere come capo dell’istituto centrale turco dal 2019, segno di una difficoltà oggettiva a trovare un orientamento vincente nella governance di politica economica.
Sempre a novembre Erdogan aveva di fatto costretto il suo genero, Berak Albayrak, alle dimissioni da ministro delle finanze.
È chiaro che in una congiuntura del genere Erdogan cerca di mettere il bavaglio alla più importante forza dell’opposizione, annichilendo la possibilità di contrastarlo ora e di fornire in prospettiva una reale alternativa politica per le elezioni previste nel 2023.
Ci uniamo a tutte le forze comuniste e progressiste che hanno denunciato questa ennesima torsione autoritaria del regime turco, pronti a mobilitarci per i compagni e le compagne turche dell’HDP.
Le loro parole sono un esempio di abnegazione:
«Attraverseremo questo periodo oscuro guidati dalla nostra storica tradizione di lotta. Siamo fiduciosi e determinati. Siamo sicuri, siamo completamente sicuri che vinceremo»
Rete dei Comunisti, 22 marzo 2021