Il 7 ottobre del 2001 ebbe inizio l’Operazione Enduring Freedom in Afghanistan con intensi bombardamenti aerei nord-americani e britannici a sostegno della cosiddetta “Alleanza del Nord”.
Questa data costituì per la storia mondiale l’inizio di una serie di eventi che hanno portato alla sconfitta dell’imperialismo occidentale di poche settimane fa, con il ritiro delle truppe statunitensi e il ritorno dei combattenti talebani al potere in Afghanistan.
La “fine” di una vicenda che ha caratterizzato il panorama internazionale negli ultimi 20 anni e ha accompagnato la crescita delle giovani generazioni: una “guerra infinita” data per scontata ed incontestabile, mai realmente compresa e contestualizzata, che ha portato l’Afghanistan ad essere percepito come un mero un mero campo di battaglia.
Insomma, un tornante storico che avrà pesanti conseguenze nel nostro presente, in quanto da un lato ha reso palese al mondo il fallimento dell’Occidente e della sua retorica della “guerra per la pace e la democrazia”, ma dall’altro è già motivo di rilancio per le forze imperialiste pronte a ripartire all’attacco ideologico, militare ed economico dopo essersi brevemente leccate le ferite.
Contro la crisi di civiltà alla quale il capitalismo ci sta portando, dovremo essere politicamente pronti a rinnovare impegno ed iniziative antimperialiste contro la tendenza alla guerra che la dipartita delle truppe occidentali in Afghanistan non ha certo fatto cessare.
UN QUADRO STORICO
L’Operazione Libertà Duratura, iniziata il 7 ottobre di 20 anni fa, era supportata da tre Risoluzioni dell’ONU (nr. 1368,1373 e 1386 del 2001) approvate dopo gli attentati alle Torre Gemelle ed al Pentagono, e di fatto fu il primo atto di quella che venne chiamata ufficialmente Guerra Globale Contro il Terrorismo, cui seguirono operazioni omonime in altri contesti. All’Operazione contribuivano più 70 Paesi, 27 dei quali avevano offerto – tra cui l’Italia – “pacchetti di forze” da impiegare per l’azione bellica.
A questa si è affiancata una forza di sicurezza internazionale, l’ISAF, istituita dalle Nazioni Unite, passata sotto il comando NATO nel 2003 e che nel 2006 assunse ufficialmente il controllo di tutto il territorio.
Il 7 ottobre, però non fu l’inizio ma la continuazione di una guerra, durata circa 40 anni ed iniziata a fine anni settanta, in cui le forze reazionarie del Paese e tutto l’Occidente su cui si è appoggiato hanno le principali responsabilità.
Gli “studenti coranici”, cioè i talebani, erano una milizia tra le altre, emersa nel 1994 a Khandar, ben presto sostenuta dai servizi segreti pakistani, l’ISS, e dall’allora presidente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan Burhanuddin Rabbani. Si sono affermati poi come forza principale nel composito schieramento che era riuscito a destabilizzare l’Afghanistan repubblicano conquistando Kabul nel 1996, e ora tornano al governo dopo essere stati defenestrati nel 2001, ma senza mai essere veramente usciti di scena.
La guerra civile iniziata nel 1992, durata circa 4 anni, in sostanza aveva visto contrapposte le differenti componenti che avevano lottato contro le autorità legittime afghane dalla Rivoluzione Saur del 1978 e contro le forze dell’Armata Rossa accorse in soccorso del Paese nel dicembre del 1979, ritiratesi nel 1989 in seguito agli Accordi di Ginevra.
Nonostante la partenza dei sovietici, le autorità afghane sotto la leadership di Mohammed Najibullah resistettero per più di tre anni ai mujaheddin che erano stati supportati, addestrati ed armati contro il governo socialista asiatico (e l’alleato sovietico) e da parte soprattutto – ma non esclusivamente – degli USA, della Gran Bretagna, dell’Arabia Saudita e dal Pakistan.
Queste forze furono le principali responsabili del boicottaggio dei generosi sforzi di Najibullah, iniziati già a metà anni Ottanta (supportate dai sovietici), di promuovere una politica di riconciliazione nazionale ed una soluzione politica e non militare al conflitto: una exit strategy che l’ultimo leader comunista concepiva dentro una cornice regionale ed internazionale condivisa. Questi tentativi furono annichiliti dalla volontà di imporre un Nuovo Ordine Mondiale in cui dovevano essere eliminati tutti coloro che non si piegavano ai desiderata di Washington e alleati, nonché dalla sete di potere dei vecchi e nuovi signori della guerra afghani bramosi di conquistare il potere.
Il naufragio di tale ipotesi, aggravato dal collasso dell’Unione Sovietica, fece sprofondare nel caos il Paese.
Gli USA, usciti con le ossa rotte dal Vietnam a metà Anni Settanta ed in piena crisi egemonica – ben prima dell’intervento sovietico – con l’amministrazione Carter avevano iniziato a supportare la destabilizzazione del Paese che aveva intrapreso una transizione socialista. Quest’intervento nel corso degli Anni Ottanta con l’amministrazione Reagan si fece sempre più pesante, coinvolgendo tutto l’arco delle forze politiche, ed impiegando massicciamente la CIA prima e l’USAID poi. Insieme al foraggiamento dei Contras contro la Rivoluzione Sandinista in Nicaragua, la guerra per procura in Afghanistan divenne uno delle principali strumenti di una contro-offensiva globale contro il campo socialista e di rilancio della Guerra Fredda.
Gli statunitensi, come i britannici a cavallo tra le due guerre mondiali, non si erano posti alcun problema nel supportare gli elementi più retrivi della società in funzione anti-riformatrice ed anti-sovietica. Basti pensare che l’uomo di punta in Afghanistan dei nord-americani tra le file dei mujaheddin è stato Gulbuddin Hekmatyar, un promotore della pratica di gettare l’acido sul viso delle donne non velate e dello scuoiare gli infedeli sovietici!
Ma anche una folta schiera di intellettuali europei si prestarono alla legittimazione dei fondamentalisti islamici dipinti come “combattenti per la libertà”, concependo la contro-rivoluzione come “Resistenza”, e definendo l’Armata Rossa come una forza d’occupazione.
Per le “teste d’uovo” d’Occidente il ruolo retrogrado svolto dal fondamentalismo religioso non era un problema se serviva ad abbattere il comunismo, che si trattasse di una versione oscurantista dell’Islam in Afghanistan o del cattolicesimo in Polonia.
Con l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre del 2001 ed ancora di più con la rovinosa sconfitta nord-americana ed occidentale in Afghanistan si è realizzato il contenuto delle parole profetiche di Najibullah secondo le quali se gli USA non avessero smesso di supportare i fondamentalisti islamici si sarebbero trovati di fronte ad un secondo Vietnam.
LA SITUAZIONE ODIERNA
E così è stato, in un contesto di crisi sistemica e con un Occidente che non ha ancora archiviato la pandemia da Covid-19, e che si trova in affanno rispetto all’affermarsi di attori globali che ne minacciano l’egemonia, in particolare la Cina e la Russia. Un Occidente che sta perdendo la capacità di tenuta nelle sue tradizionali sfere di influenza e con un deficit di credibilità evidente.
La sconfitta sul teatro afghano, sta portando ad una ridefinizione degli equilibri tra gli attori geo-politici in un contesto di feroce competizione globale che mette in crisi i rapporti all’interno dell’Alleanza Atlantica, ridimensiona la capacità di governance delle istituzioni sovranazionali – come il G20 – e costringe l’Unione Europea a fare un balzo in avanti per divenire un polo imperialista vero e proprio, dotato di un proprio strumento militare offensivo e di un complesso militare-industriale sviluppato, con una adeguata gerarchia di comando ed un assetto decisionale efficace in materia bellica.
In questo quadro la tendenza alla guerra e lo svuotamento della residua sovranità decisionale del nostro Paese viaggiano a braccetto, e rafforzano ancora maggiormente l’ipotesi di modello di sviluppo funzionale ai progetti bellicisti delle oligarchie europee.
I COMPITI DEI COMUNISTI
In questo contesto in continua evoluzione i comunisti anche nel nostro Paese devono essere in grado di esprimere una profondità di analisi adeguata in grado di decifrare i cambiamenti in corso come risultato di un processo storico che ha nelle vicende afghane degli ultimi quarant’anni due tornanti storici di eguale importanza ma di segno opposto: la vittoria della contro-rivoluzione patrocinata dall’Occidente prima e poi la sua sconfitta da parte di coloro che l’Occidente stesso ha contribuito a creare.
La barbarie di fronte a cui ci troviamo non potrà far altro che peggiorare, e potranno ampliarsi spazi per un attacco politico che miri a prefigurare un’alternativa di sistema. In questo senso sarà necessario attrezzarsi per riproporre un rinnovato impegno che sappia contestualizzare gli avvenimenti storici, individuare i nemici ed affrontarli.
Una delle prime occasioni nelle quali, probabilmente, si potranno osservare le conseguenze del riassetto internazionale e in cui noi potremo indicare la necessità di un’uscita e di un’alternativa a questa crisi sistemica, sarà il vertice finale del G20 che si terrà a Roma alla fine di ottobre.
Come Rete dei Comunisti e Organizzazione Comunista Giovanile “Cambiare Rotta” lanciamo congiuntamente una serie di iniziative di approfondimento in differenti città che si svolgeranno dalla seconda metà di ottobre sui temi che abbiamo qui sinteticamente espresso.
Contro NATO e l’Imperialismo UE, non un passo indietro!