Necessità di un dibattito
Giacomo Marchetti
In questa ultima settimana d’ottobre continuano le iniziative sull’Afghanistan: Rivoluzione, controrivoluzione e gli scenari dopo la sconfitta dell’Occidente organizzati dalla Rete dei Comunisti e da Cambiare Rotta – Organizzazione Comunista Giovanile.
Dopo i riusciti appuntamenti a Napoli il 18 ottobre, e a Bologna il 20, che hanno visto rispettivamente la presenza come relatori di Giuliano Granato – Portavoce Nazionale di Potere al Popolo – e di Alberto Negri – intervenuto con un contributo video-registrato – ci sarà una settimana fitta di iniziative a Siena (25/10), Milano (26/10), Roma (27/10), Torino (28/10) ed a Pisa (29/10).
A Torino interverrà tra i relatori Enrico Vigna, saggista e ricercatore, ed autore di “Afghanistan ieri e oggi: 1978-2001, cronaca di una rivoluzione e di una controrivoluzione” nonché membro di SOS Afghanistan/CIVG.
Queste iniziative sono occasione per riflettere su un conflitto ormai quarantennale e sugli scenari che apre la sconfitta occidentale.
Questi temi sono un tabù non solo nella discussione mainstream, anche perché la questione afghana sta divenendo per la diplomazia occidentale una vera e propria rogna, come ha certificato anche l’ultimo G20 virtuale tenutosi a Roma proprio sul Paese, fortemente voluto da Draghi ma che ha sancito l’impasse delle Cancellerie occidentali e la volontà di scaricare sull’ONU i disastri causati da 20 anni di occupazione.
Anche la Sinistra Radicale stenta a fare i conti con il tornante storico, anzi i tornanti storici, legati alle vicende afghane.
In questo senso riteniamo utile dare continuità alla riflessione, alla contro-informazione e all’iniziativa internazionalista in particolare contro la NATO ed il “braccia armato” in formazione della UE in uno scontro internazionale che si è sempre più acuito.
È doveroso entrare perciò anche nel vivo dei non pochi scheletri nell’armadio che la sinistra nel nostro Paese si porta dietro e su cui non vuole fare un bilancio dei propri quarantennali errori storici sulle vicende afghane dalla condanna dell’intervento sovietico nel Paese nel 1979 in appoggio alla Rivoluzione Saur fino al voto dei “crediti di guerra” con il governo “Prodi-Bis”.
Anche per questo abbiamo tradotto e sotto-titolato il documentario sull’Afghanistan The Longest War – cioè La Guerra più Lunga – presentato ad inizio settembre dal Space News Lab dell’agenzia di stampa cinese Xinhua News Agency in collaborazione con Xinhua Global Service, Xu zeyu Newsroom (Xinhua), New Media Center (Xinhua) e Outlook Weekly.
Nel documentario della durata di 27 minuti, attraverso l’uso di riprese satellitari e di immagini di repertorio – commentate in inglese – viene affrontata l’invasione e l’occupazione occidentale del Paese asiatico, in particolare statunitense, e le se sue disastrose conseguenze: dall’ecatombe di morti civili alla catastrofe ambientale, dai danni causati dall’espansione della coltura dell’oppio – con un drastico aumento dalla tossicodipendenza anche tra gli afghani – alla corruzione generalizzata.
Nonostante i soldi spesi dall’Occidente, la popolazione non ha infatti goduto – tranne una piccola porzione di persone che hanno collaborato con gli occupanti – di alcun vantaggio materiale ed il Paese è divenuto ancora più dipendente dagli aiuti esterni per soddisfare i bisogni minimi, ridotto alla povertà e alla fame. Nel documentario emergono le responsabilità dei presidenti statunitensi che in questi 20 anni si sono succeduti (Bush, Obama, Trump e ora Biden), e smascherate le loro bugie.
L’Occupazione militare è stato uno sforzo economico, logistico e militare che si è rivelato un gigantesco boomerang per le aspirazioni imperiali statunitensi portate avanti nel mondo post-bipolare.
L’importante lavoro del team di Xinhua – ignorato dai media italiani – si conclude con le seguenti parole che sottoscriviamo in pieno:
«Piena di bugie, uccisioni, prepotenze, morte, desolazione e rovina in vent’anni, questa è una guerra che può essere osservata da più di 500 km di distanza nello spazio. Le forze militari della superpotenza hanno imposto un disastro ai civili estremamente poveri e deboli, ma alla fine non sono stati in grado di vincere o addirittura di ritirarsi con dignità. Questa è la guerra più lunga della storia statunitense, ed il momento Saigon non è ancora superato»