Mauro Casadio, RdC
Il Forum della RdC che si è tenuto a Bologna il 20 e 21 Novembre ha cercato di focalizzare l’evoluzione che sta avendo L’Unione Europea, da quello che abbiamo definito a suo tempo un “polo” imperialista, cioè una forma inedita di relazioni in Europa che si basava sostanzialmente su un’area economico finanziaria, che oggi sta mutando la propria funzione.
Abbiamo detto da “Polo a Superstato” proprio per delineare un percorso che non è definibile a priori e che, rispettando obiettivi e funzioni di un’effettiva area imperialistica moderna, sta dandosi una strutturazione storicamente originale in rapporto a quelli che sono gli Stati europei affermatisi tra l’800 ed il ‘900 in modo esplicitamente imperialista.
Il percorso e l’analisi a cui abbiamo fatto riferimento nelle nostre elaborazioni non è quello che si manifesta periodicamente in momenti di conflitto o di omogeneità tra gli Stati della UE, a causa delle loro differenze di storia, dimensione e di peso politico, ma le tappe che nell’andare del tempo si sono consolidate e che sono oggi alla base degli ulteriori possibili balzi in avanti che questa inedita costruzione istituzionale può fare.
L’accordo di Maastricht nel ‘92, la nascita dell’Euro ai primi anni del 2000, il superamento della crisi finanziaria del 2007/2008, l’uscita dell’Inghilterra come “longa manus” degli USA in Europa, il ruolo attivo della BCE di Draghi con i Quantitative Easing, l’attuale Recovery Fund come ristrutturazione industriale continentale sono i pilastri di una costruzione sui quali è difficile pensare che si possa tornare indietro nonostante le difficoltà, comunque sempre contingenti, data anche la nuova condizione nelle relazioni internazionali.
Il Forum ha cercato non solo di delineare il percorso ma ha affrontato gli aspetti e le conseguenze del passaggio in atto, dagli elementi più strutturali quali la competizione monetaria internazionale con l’Euro quale soggetto “forte”, la ristrutturazione “ambientalista” del Recovery Fund che sarà un ulteriore passaggio nella omogeneizzazione continentale.
Sono stati affrontati anche gli effetti sociali sia sul versante delle classi subalterne, che vedranno un ulteriore peggioramento delle proprie condizioni, sia sul versante della costituzione di una borghesia continentale che si va formando con la costruzione esplicita dei cosiddetti “campioni europei”.
Questi sono le multinazionali industriali e finanziarie europee che stanno costruendo la filiera di una nuova borghesia distinta ed egemone sulle frazioni borghesi che non sono in grado di emanciparsi dalla dimensione nazionale.
Sono stati affrontati anche i temi relativi alla proiezione imperialista della UE che riguardano sia le relazioni internazionali, che hanno assunto ormai un carattere competitivo e multipolare, sia la costruzione dell’esercito europeo e del sistema industriale militare continentale che si rende necessario “in un’era di ipercompetitività” come dice la Ursula Van Der Leyen, presidente della Commissione Europea.
Comunque gli atti del Forum verranno stampati su un numero cartaceo di Contropiano per poterne fare oggetto di una discussione e confronto a livello nazionale già dal prossimo mese di Gennaio.
Ma c’è una questione che va evidenziata in quanto determinante nelle prospettive della UE; i paesi che hanno dato vita alla UE, nei diversi passaggi fatti, fino a quello degli anni ’90 dopo la fine dell’URSS, hanno avuto ben presente che comunque la forza egemone nel campo capitalista erano gli USA.
Perciò pur praticando una tortuosa strada per definire sempre più un proprio percorso autonomo, basti ricordare il ruolo frenante sempre avuto dalla Gran Bretagna, non hanno mai messo in discussione l’egemonia USA, ne velleitariamente hanno dichiarato orizzonti che andassero oltre quelli della NATO.
Questo comportamento teneva conto sia dei reali rapporti di forza e di subordinazione agli USA ma nemmeno i gruppi dominati europei soggettivamente aspiravano ad una autonomia netta in quanto la forza militare e monetaria americana suppliva alle mancanze di una Unione ancora incompleta.
Il punto del passaggio individuato nel Forum è che questo sviluppo più che dalle scelte dell’Unione Europea è reso obbligatorio dal mutare del quadro internazionale e dal ridimensionamento degli USA dopo la fuga dall’Afghanistan e dallo scenario asiatico, dove la parte del leone oggi la fa la Cina assieme alla Russia ed all’Iran.
Se fino a ieri la proiezione al “superstato imperialista” era una tendenza solo potenziale oggi il quadro mondiale cambia necessità e priorità in quanto l’UE non può permettersi nel cambiamento in atto di divenire il vaso di coccio tra USA e Cina, e per di più in un mondo oggi palesemente multipolare.
E’ necessario perciò tracciare un quadro complessivo della situazione mondiale per capire le prospettive ed elaborare una nostra funzione, di classe e comunista, dentro queste.
Avere un quadro d’insieme.
Quello a cui stiamo assistendo in questi mesi è un rimescolamento complessivo del contesto internazionale i cui esiti sono allo stato attuale indeterminabili, come sempre avviene in questi passaggi che hanno lo spessore della storia.
Il tentativo che possiamo fare adesso è quello di evidenziare i vari tasselli di un puzzle che è in continua evoluzione cogliendone la dinamica e le reali/potenziali contraddizioni, approfondendo l’analisi delle tendenze interne ai vari soggetti e delle reciproche conflittuali relazioni in competizione.
La questione del riarmo per come si manifesta oggi è il sintomo più significativo di questo rimescolamento dei rapporti di forza a livello internazionale e risponde ad esigenze specificamente belliche in una condizione di forte sviluppo della scienza e della tecnologia applicata al militare.
Ma questo aspetto ci rimanda anche alla questione più strutturale ovvero all’uso della leva della produzione militare per sostenere una crescita economica sempre più asfittica per la valorizzazione del capitale, ovvero quel Keynesismo di guerra o Warfare praticato in particolare dagli USA fin dal secondo dopoguerra prima in Corea e poi in Vietnam.
La NATO è il soggetto che da tempo sta sotto pressione, prima con gli interventi militari diretti in Afghanistan e Medio Oriente su spinta ed interessi degli USA, poi con la relativa autonomizzazione della Turchia accelerata dal fallimento del colpo di Stato contro Erdogan ed ora con il ridimensionamento USA concretizzatosi clamorosamente con la fuga dall’Afghanistan.
Lo stress internazionale trova rappresentazione diretta nella ridefinizione conflittuale dell’attuale geopolitica, nel rilancio dell’industria militare e del nucleare, nei caratteri che si impongono alla ricerca scientifica piegata ulteriormente alla competizione globale.
Se vediamo la questione militare in questa prospettiva dobbiamo perciò andare ad analizzare cause e tendenze che la producono e che rimetteranno in discussione in modo sempre più palese gli equilibri geopolitici.
In questo senso è utile avere un quadro d’insieme che qui può essere fatto solo in modo approssimativo, ed ancora da approfondire, dei soggetti in campo e delle loro specifiche prospettive.
Al primo posto, dal nostro punto di vista, non può che esserci l’Unione Europea sulla quale abbiamo incentrato il confronto nel Forum di Bologna e sulla quale va ancora evidenziato un’ ultimo aspetto. Questa infatti è stato il solo soggetto che tra crisi e riconversioni ha mantenuto già dagli anni ’90 quantomeno un progetto strategico che anche in questo nuovo frangete di accentuata competizione viene perseguito con coerenza, determinazione e realismo.
Anche la condizione degli USA sta esplicitando tendenze presenti da tempo. Dopo il crollo dell’URSS i gruppi dominati statunitensi sono stati colpiti da una “sindrome di onnipotenza” arrivando a pensare il XXI° secolo come americano; si sono lanciati in avventure belliche sotto la copertura ideologica delle guerre per la democrazia ed i diritti civili, hanno tenuto sotto il loro tallone la Russia di Eltsin e si erano convinti che la Cina andasse trattata come l’URSS puntando sulla sua disgregazione avendo per di più una penetrazione economica delle multinazionali USA.
L’incapacità, invece, di quel paese di sostenere un ruolo egemonico mondiale è già emerso con la crisi finanziaria del primo decennio del secolo, si è ripresentata con l’elezione di Trump prodotta da una profonda crisi sociale dei bianchi wasp.
Seguita poi dal ripiegamento strategico dall’Afghanistan che ha sancito la fine della teoria di Zbigniew Brzezinski che pensava di poter controllare l’Asia, e dunque la Cina, la Russia e l’Iran, costruendo una “democrazia” nel cuore del continente.
Questa crisi statunitense è un vero e proprio passaggio storico, simile a quello avuto con la fine dell’URSS ma di segno politico opposto, che apre un periodo dove probabilmente si affermerà una realtà internazionale multilaterale.
Né bloccherà questa tendenza l’accordo Aukus che va letto come un ripiegamento e non come un nuovo rilancio, anche perché si rimettono in discussione le vecchie alleanze, vedi la reazione francese per la mancata vendita dei sottomarini, pensando di tornare alla politica delle cannoniere e degli embarghi dopo aver tolto gli scarponi dal terreno nel centro Asia.
Ma come si sa le guerre, in tutte le sue forme, si vincono se si hanno gli scarponi a terra; ora gli USA li hanno tolti dall’Afghanistan, dall’Iraq, dalla Libia ed in Siria ci hanno provato ma hanno fallito. Insomma sono diventati una forza che è stata messa ai margini di quel continente che segna la crescita più alta nel mondo da tutti i punti di vista.
La Cina è il soggetto che ha indubbiamente scompaginato lo scenario mondiale sia con l’accresciuto peso economico che si prolunga dagli anni ’90, sia con una affermazione di potenza che gradualmente si è imposta e che viene percepita come pericolo politico-militare ma anche come opportunità economica dai diversi soggetti in campo.
E’ certo che la Cina così come è adesso è il prodotto della miopia occidentale riconfermatosi come apprendista stregone in quanto la competitività Cinese è il prodotto dell’incredibile sviluppo delle forze produttive, tecniche ed umane, innestato dal capitale mondiale in una fase di allargamento degli spazi di mercato. Lo stesso Partito Comunista fece la scelta di usare il “Modo di Produzione Capitalista” per produrre una crescita economica che è stata enorme ed una conseguente crescita di ruolo internazionale.
Lo scontro innestato dagli USA, incluso l’accerchiamento “pelagico” in atto con l’Aukus, rende ancora più instabile il contesto internazionale inducendo ad altri salti competitivi, visto appunto lo sviluppo spalmato a livello mondiale delle forze produttive, che non hanno più per gli USA la garanzia di un esito positivo visto anche il loro ridursi come potenza globale.
Infine anche le storiche relazioni europee ed americane vengono sottoposte a degli stress che porteranno ad una modifica di come sono state fino ad oggi. Questo si sta manifestando con uno sviluppo autocentrato della UE sempre più evidente anche per come è stato analizzato nel Forum relativamente all’ “accorciamento” delle filiere produttive nell’ambito dell’area continentale.
Ciò avviene con una centralizzazione dell’apparato produttivo europeo che con il Recovery Fund riceve una spinta decisiva anche in funzione di una delocalizzazione produttiva che tende sempre più a rimanere nell’ambito continentale e nella più diretta sfera di influenza del mediterraneo e dell’Africa Occidentale, comunque anche questa è oggi oggetto di competizione con la Russia come dimostrano le vicende della Libia e del Mali.
La questione dell’Esercito Europeo ormai è all’ordine del giorno del dibattito tra governi e nelle sedi dell’Unione, qui ritorna non solo l’aspetto strettamente geopolitico ma anche quello Keynesiano di volano per la crescita economica.
Tutto ciò rimette in discussione e rende confuso il ruolo della Nato; a Giugno durante il G7 tenuto in Cornovaglia Biden proponeva il rafforzamento strategico dell’area atlantica parlando addirittura di una ”via della seta democratica” occidentale in funzione anticinese oggi lo sgarro fatto sui sommergibili francesi dimostra quanto propagandistica sia la posizione USA chiaramente in deficit di strategia.
Un ulteriore esempio della sconnessione occidentale sono gli esiti del G20 e del COP 26 che dimostrano l’incapacità di riprodurre l’egemonia avuta negli ultimi trent’anni.
Questi “campi di forze” che si incontrano e scontrano hanno ulteriori potenziali sottoprodotti come la nascita di potenze regionali o comunque non di dimensioni globali, come la Russia, l’Iran, la Turchia. Lo stesso processo di compattamento tra le potenze economiche della penisola Arabica ed Israele può portare ad ulteriori sviluppi imprevedibili e irrazionali basati solo su interessi specifici e comunque volubili.
Non solo ma in questo rimescolamento, questo si globale, verranno coinvolti sia l’Africa che l’America Latina. La prima già è terra di scontro tra Cina, Russia, UE ed USA sia sul piano economico e delle risorse naturali che su quello delle alleanze che spesso durano tempi molto brevi come sta dimostrando il Mali passato, con un colpo di Stato, dall’influenza francese a quella russa.
Infine anche l’America Latina subirà contraccolpi in quanto gli USA saranno costretti a tornare nel loro “cortile di casa” di fronte al ridimensionamento avuto nei rapporti produttivi con la Cina da parte delle multinazionali.
Questo aspetto era ben presente già dall’accordo del Nafta fatto negli anni ’90 che favoriva la delocalizzazione in Messico e nell’America Centrale. Se emergeranno altre spinte alla crescita produttiva, oltre che alla rapina sulle materie prime, è evidente che la necessità del controllo politico e militare su quel continente si farà sentire maggiormente ma con una difficoltà in più.
Infatti il processo di emancipazione di quei popoli, processo contraddittorio e lungo ma reale, e di resistenza allo yankee porterà ad un aumento del conflitto che finora non è sfogato in quello militare. Gli USA per ora si limitano a mantenere il blocco a Cuba, a rendere la vita difficile al Venezuela ed alla Bolivia. Ma di fronte alle potenziali insubordinazioni che vengono dall’Argentina, dal Cile, perfino dal Perù ed alla prossima crisi del Brasile di Bolsonaro non è irrealistico ipotizzare un nuovo scenario di crisi politica e militare in quel continente.
Da circa un ventennio nel mondo globalizzato si è determinato uno stallo dei rapporti di forze dove l’egemonia USA è rimasta incontrastata grazie anche alla presenza di condizioni “stabilizzanti”. Da una parte l’intreccio finanziario internazionale che di fronte alle frequenti crisi vedeva sostanzialmente una unità delle grandi potenze e della finanza per contenerle e controllarle per evitare un nuovo ’29.
Dall’altra la diffusione delle armi atomiche e della tecnologia missilistica hanno impedito una tracimazione bellica generalizzata. Oggi di fronte ad una prospettiva di indeterminatezza causata dalla ipercompetitività potrebbe affacciarsi l’ipotesi che quell’equilibrio nei rapporti di forze vada in frantumi e si incrudisca lo scontro internazionale con esiti difficili da prevedere e potenzialmente anche drammatici.
In questo senso oggi si presenta il bivio all’imperialismo europeo. Accettare la sfida e candidarsi ad un salto qualitativo nello scenario internazionale oppure accettare un ruolo subalterno che segnerebbe una pessima prospettiva per un’area economica che per certi versi è invece la più grande del mondo. La scelta ci sembra scontata.
26 novembre 2021