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Abbiamo intervistato Pierpaolo Leonardi sulla traiettoria di USB, ed in generale del sindacalismo conflittuale, dalla preparazione dello sciopero generale dell’11 ottobre alle mobilitazioni per No Draghi Day del 4 dicembre, e sulla situazione del conflitto di classe a venire.
Intervista a Pierpaolo Leonardi, Esecutivo Nazionale Confederale USB
RDC – A metà luglio Il sindacalismo di base e conflittuale in Italia è riuscito a convergere sulla data dell’18 ottobre come giorno dello sciopero generale contro le politiche del governo Draghi, anticipato poi all’11 ottobre. Le cifre degli scioperanti, il numero di mobilitazioni cittadine e la loro partecipazione sembrano avere dato ragione agli organizzatori dell’11 ottobre. Come USB come valutate quella giornata e le sue conseguenze, alla luce delle non certo facili premesse, in cui è rotto per la prima volta l’incanto di fronte all’attuale esecutivo?
PL – L’esigenza di avviare il confronto con il variegato e composito mondo del sindacalismo di Base nasce dall’omicidio del compagno Adil, delegato della logistica del Sicobas, assassinato a freddo durante un picchetto. Un avvenimento che ha ripercorso la vicenda dell’omicidio del nostro delegato della logistica Abdel avvenuta, sempre durante un picchetto di lotta a Piacenza, alcuni anni prima.
USB ha deciso di proclamare insieme al Sicobas uno sciopero generale immediato in tutto il settore della logistica come protesta all’ennesimo assassinio di delegati sindacali e da lì si è sviluppato il percorso che ha poi portato allo sciopero dell’11 ottobre.
Esisteva già un luogo politico in cui una parte del sindacalismo di base si confrontava da più di qualche anno, a cui USB non ha mai partecipato, e che aveva negli anni passati proclamato scioperi generali che in realtà avevano raccolto scarse adesioni, a cui partecipava anche il Sicobas. Un luogo in cui si era sviluppato un antagonismo piuttosto spinto nei nostri confronti, rei di aver in più occasioni sostenuto che il tempo della forma sindacale di base fosse ormai concluso e che era necessario lavorare alla costruzione del sindacato confederale, di classe e di massa.
La nostra decisione di contribuire a costruire lo sciopero per la morte di Adil, già ovviamente proclamato immediatamente dal Sicobas, ha però consentito la ripresa del confronto interrotto da anni e che, su iniziativa di USB, ha allargato la partecipazione ad altre organizzazioni sindacali da sempre estranee al circuito preesistente.
Questo allargamento, la consapevolezza che la situazione necessitava di una risposta la più larga possibile, il contesto drammatico della pandemia e la determinazione del nemico di classe ad utilizzarla per rafforzare il proprio comando sulla società e in particolare sul mondo del lavoro, hanno indotto tutti a trovare, non senza fatica, un terreno di iniziativa comune che ha poi prodotto lo sciopero generale dell’11ottobre.
Il successo politico dello sciopero generale, divenuto momento di attrazione e di partecipazione anche per un vastissimo arco di forze politiche orfane da tempo di una iniziativa di massa sul terreno sociale e sindacale, si è concretizzato con la partecipazione reale di decine di migliaia di persone alle manifestazioni territoriali e ai momenti nazionali fortemente voluti da USB.
Questi si sono svolti sotto al Ministero dell’istruzione, a quello della Funzione Pubblica di Brunetta, e al MISE: luoghi simbolo individuati come i tre principali punti di scontro nella violentissima riorganizzazione produttiva e sociale sostenuta dal governo Draghi e dalla Confindustria di Bonomi.
I dati di adesione, molto alti e che stimiamo intorno al milione di partecipanti, sono stati davvero un segnale importante che ci ha indotto a non esaurire il confronto con le altre organizzazioni ma di mantenerlo pur nel rispetto delle diverse identità.
RDC – Nel corso delle settimane successive allo sciopero dell’11 ottobre c’è stata la volontà da parte governativa di restringere i margini di azione di piazza in generale, un tentativo di cui è stata vittima anche l’Unione Sindacale di Base che ha reagito ai tentativi di “mettere un bavaglio” a quella che si stava prefigurando come opposizione sociale al governo Draghi, puoi descrivere la situazione di questa ennesima “torsione autoritaria”?
PL – Lo sciopero generale dell’11 ha certamente contribuito a ridare slancio alle lotte. Il fermo delle iniziative di piazza imposto dalla pandemia aveva reso difficilissimo esprimere con forza il contrasto alle scelte politiche del governo Draghi e dell’Unione europea che hanno in ogni modo cercato di utilizzare la pandemia per una gigantesca ridefinizione e rilancio degli interessi della borghesia e del capitale nazionale ed europeo.
La grande riuscita dell’11 ottobre e delle manifestazioni di quella giornata hanno sicuramente rappresentato, oltre che una risposta e la proposizione di una piattaforma complessiva di lotta, anche un momento importante di ripresa di parola del conflitto. Questo ha prodotto immediatamente contromisure dell’apparato repressivo che ha cercato in ogni modo di impedire al movimento che si era creato di sviluppare e crescere.
Anche utilizzando la scusa delle manifestazioni no vax, ha imposto restrizioni davvero inaccettabili alle manifestazioni, ai cortei, alle mobilitazioni di qualunque tipo. In più occasioni ci siamo dovuti pesantemente scontrare con le prefetture e le questure per poter mantenere agibilità democratiche e diritto di sciopero, già pesantemente attaccate negli anni precedenti e ancor di più nel periodo della pandemia.
Bisogna ricordare che Il nostro sciopero generale del marzo 2020 che nella sanità venne proclamato simbolicamente per la durata di un solo minuto ci è costato oltre 5.000 euro di sanzioni da parte della Commissione antisciopero!
RDC – Nello spirito che ha caratterizzato l’indizione generale dello sciopero unitario del’11 ottobre, il confronto tra le varie organizzazioni sindacali conflittuali ha portato alla proclamazione di un “No Draghi Day” per sabato 4 dicembre. Una giornata che si è articolata con varie manifestazioni locali che hanno visto la partecipazione ed il sostegno attivo di forze politiche – come Potere al Popolo – e organizzazioni giovanili, come OSA e Cambiare Rotta. Puoi fare un bilancio di questa giornata dal punto di vista dell’USB?
PL – La riuscita dello sciopero generale dell’11 ottobre, la rispondenza di massa che aveva avuto e la contemporanea accelerazione da parte del governo dei processi di ristrutturazione propedeutici all’utilizzo dei fondi del Recovery fund in funzione di pieno sostegno alle imprese, la ripresa dei licenziamenti di massa, il dilagare della precarietà, l’attacco al reddito di cittadinanza, il nuovo violento attacco alle pensioni e la scomparsa dallo scenario politico del salario minimo hanno imposto una risposta di massa che ha visto tutte le organizzazioni del sindacalismo conflittuale già promotrici dello sciopero generale dare vita al No Draghi Day coinvolgendo larga parte delle forze politiche della sinistra alternativa.
In quella giornata in 29 piazze italiane si sono svolti cortei e presidi molto partecipati che hanno rotto l’incantesimo dell’unanimismo attorno alla figura dell’ex governatore di Bankitalia prima, e della banca centrale Europea poi. Il tentativo da parte di pressoché tutte le forze politiche, compreso il Presidente Mattarella, di far passare Draghi come colui che solo poteva salvare il Paese e per cui andava sostenuto in ogni sua scelta, anche se assunte senza alcun passaggio parlamentare e con il governo di tutti completamente soggiogato dalla squadretta di Draghi, ha trovato finalmente una risposta di lotta e di mobilitazione che dovrà continuare nei prossimi mesi per impedirne l’elezione a capo dello Stato e per cacciarlo da presidente del consiglio dei ministri.
Voglio sottolineare la presenza diffusa e realmente di massa dei giovani e degli studenti alle manifestazioni in tutta Italia, e in particolare di studenti medi organizzati in OSA che ha poi dato vita ad una stagione di occupazioni delle scuole ancora in corso nonostante una repressione brutale e ingiustificabile.
RDC – Alla volontà di lotta espressa dal sindacalismo conflittuale è corrisposto un atteggiamento sostanzialmente subordinato alle politiche dell’attuale esecutivo da parte di CGIL, CISL e UIL, da cui non si sno di fatto “smarcate” la CGIL e UIL che hanno proclamato uno sciopero per il 16 dicembre. Quale è stato il loro ruolo e che compiti spettano al sindacalismo conflittuale?
PL – Alla capacità di mobilitazione continua e articolata delle forze conflittuali, del sindacalismo di base e di classe e delle forze politiche antagoniste ha fatto da contraltare il silenzio assordante dei sindacati complici e accompagnatori dei processi di ristrutturazione, dalle raccomandazioni ai padroni perché licenziassero con parsimonia all’ascolto delle sirene di Bonomi e Draghi fino ad auspicare un nuovo patto sociale che garantisse la riorganizzazione sociale e produttiva da qualsiasi conflitto organizzato.
Le pacche sulle spalle di draghi a Landini davanti alla sede della Cgil, attaccata dai fascisti e non difesa dalla polizia, ne sono un’immagine indelebile.
Lo sciopero del 16 dicembre è davvero un doveroso contentino ad una base sempre più attonita davanti all’atteggiamento complice dei propri dirigenti e un segnale a Draghi affinché la propria disponibilità assoluta venga ricambiata dal rispetto degli impegni presi a garanzia di una loro maggiore funzione e ruolo nel Paese.
Siamo quindi solo all’inizio di una battaglia di lungo respiro e di forti mobilitazioni che, nonostante la pandemia in ripresa e l’utilizzo smodato in funzione repressiva di chi scende in piazza a tutela di una malintesa libertà individuale, sta comunque già individuando nuovi terreni di lotta e di organizzazione.