Andrea Mencarelli
Il presidente francese Emmanuel Macron è stato costretto ad annullare il suo viaggio a Bamako, in Mali, previsto per lo scorso 20 dicembre, formalmente come misura precauzionale di fronte alla quinta ondata di Covid-19.
Qui, avrebbe dovuto passare il Natale con le truppe francesi dell’operazione Barkhane ancora presenti in loco, in particolare nella base militare di Gao, nel nord-est del paese.
Per il secondo anno consecutivo – a dicembre 2020 era risultato positivo al Covid – il presidente Macron è stato costretto a “cancellare i festeggiamenti di Natale” con le forze militari all’estero, dopo averlo celebrato in Nigeria, Ciad e Costa d’Ivorio tra il 2017 e il 2019.
A Bamako, Macron avrebbe dovuto incontrare per la prima volta il colonnello Assimi Goïta, leader della giunta militare al potere dopo la destituzione dell’ex presidente Keïta ad agosto 2020. L’Eliseo ha sottolineato le difficoltà emerse nell’organizzazione di questa riunione, poi di fatto annullata.
Infatti, il presidente Macron aveva fatto pressioni per la partecipazione del presidente della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO), il presidente ghanese Nana Akufo-Addo, e quello del coordinamento regionale “G5 Sahel”, Mahamat Idriss Déby Itno del Ciad. Un formato rifiutato dalle autorità maliane, che preferivano un incontro bilaterale.
La realtà è che i rapporti tra Parigi e Bamako non sono stati mai così tesi come ora. L’Eliseo ha accusato la “lentezza” da parte della giunta militare maliana di favorire un processo di transizione che sancisca, attraverso delle elezioni, il ritorno del potere nelle mani civili: “C’è un gran bisogno di chiarimenti”, in particolare “l’esitazione sulle elezioni, che ha causato molta confusione tra i partner internazionali”.
La giunta militare, che ha promesso di organizzare le elezioni il prossimo 27 febbraio, si è impegnata ad elaborare un calendario dettagliato del processo di transizione civile entro il 31 gennaio 2022.
Un annuncio accolto con gran risentimento da parte dei capi di Stato degli altri paesi membri della CEDEAO, la quale minaccia sanzioni supplementari che potrebbero scattare già a gennaio.
Un ulteriore monito era già arrivato al termine del vertice ordinario tenutosi ad Abuja, in Nigeria, lo scorso 12 dicembre, nel quale si chiedeva alle giunte militari al potere in Mali e in Guinea di accelerare e “ristabilire gli ordini costituzionali” per superare l’attuale fase di stallo.
“Oggi, mi sembra essenziale che la CEDEAO metta da parte la pratica delle sanzioni imposte al Mali e alla Guinea, perché non sono necessariamente rilevanti. Ha mal interpretato la situazione in questi due paesi, soprattutto nel Mali.
È vero che c’è stato un colpo di Stato, ma i maliani dovrebbero essere autorizzati a decidere da soli la durata della loro transizione con il sostegno della CEDEAO. Precipitare questa transizione solo per arrivare molto rapidamente alle elezioni, che sarebbero un pasticcio, farebbe cadere il paese in una nuova spirale”, ha detto Moussa Aksar, giornalista specializzato sulle questioni di sicurezza e terrorismo nel Sahel.
L’altro fattore di tensione tra Parigi e Bamako riguarda la possibile presenza sul territorio maliano paramilitari del gruppo russo Wagner, il cui dispiegamento è considerato come “inaccettabile” e “incompatibile” con il mantenimento dei soldati francesi nel paese, come dichiarato dall’Eliseo dopo l’ondata di manifestazioni che ha attraversato il Mali a settembre.
Proprio la Francia, insieme ad altre 14 potenze occidentali (tra cui anche l’Italia), ha denunciato giovedì scorso (23 dicembre) che i paramilitari sarebbero già stati schierati in Mali per decisione del colonnello Goïta, accusando “il coinvolgimento del governo della Federazione Russa nel fornire sostegno materiale al dispiegamento del gruppo Wagner in Mali”.
“Deploriamo profondamente la decisione delle autorità di transizione maliane di utilizzare fondi pubblici già limitati per pagare mercenari stranieri invece di sostenere le forze armate maliane e i servizi pubblici a beneficio del popolo maliano”, e “chiediamo alla Russia di comportarsi in modo responsabile e costruttivo nella regione”, insiste il comunicato congiunto.
Secondo una fonte del governo francese, “ci sono ora ripetute rotazioni aeree con aerei da trasporto militare appartenenti all’esercito russo, strutture all’aeroporto di Bamako che permettono l’accoglienza di un numero significativo di mercenari, frequenti visite di dirigenti Wagner a Bamako e le attività di geologi russi noti per essere vicini a Wagner”.
Mercoledì, il segretario di Stato americano Antony Blinken aveva già avvertito il Mali delle conseguenze finanziarie e della destabilizzazione del paese, se il governo avesse reclutato il gruppo Wagner, accusato di essere vicino al Cremlino.
In una dichiarazione rilasciata venerdì sera (24 dicembre), il governo del Mali “nega formalmente queste accuse infondate” su “un presunto spiegamento di elementi di una società di sicurezza privata in Mali”.
Inoltre, “esige che siano fornite le prove siano fornite da fonti indipendenti” e “desidera chiarire che, come la missione di formazione europea (EUTM), gli addestratori russi sono presenti in Mali come parte del rafforzamento delle capacità operative delle forze nazionali di difesa e di sicurezza”.
Bamako chiede di “essere giudicata sugli atti e non sulle voci, e desidera ricordare che lo Stato maliano si è solo impegnato in un partenariato tra Stato e Stato con la Federazione russa, suo partner storico”, come si legge nel comunicato stampa firmato dal portavoce del governo, il colonnello Abdoulaye Maiga.
Dopo quasi nove anni di presenza nel Sahel, la Francia si è impegnata a giugno a riorganizzare la sua presenza militare nella regione che attualmente conta circa 5.000 soldati, lasciando le sue tre basi più settentrionali in Mali (Tessalit, Kidal e Timbuktu) per concentrarsi su Gao e Ménaka, rispettivamente ai confini del Niger e del Burkina Faso.
Nei fatti, la Francia è concretamente preoccupata della tenuta del suo potere di controllo sugli assetti politici ed economici nel Sahel e, per questo, rimbalza la palla nell’altro campo affermando che “le difficoltà sul tavolo non sono franco-maliane, ma tra il Mali e i suoi partner, e queste possono essere risolte solo in un quadro collettivo”.
In realtà, cresce l’opposizione sociale alla presenza militare francese, l’aspetto più direttamente e concretamente visibile del sistema “Françafrique”, in un Sahel in ebollizione.
Il “ritiro” dell’operazione Barkhane verrà accompagnato da un nuovo dispositivo – le forze speciali Takuba – che vedrà la compartecipazione di numerosi paesi europei per formare e sostenere le unità militari maliane nella “lotta al terrorismo jihadista”.
Il dispositivo Takuba ha, di fatto, superato la sua fase di gestazione e si sta già installando, ad esempio, sul territorio maliano: forze speciali francesi ed estoni a Gao, così come quelle francesi e ceche a Ménaka, supervisionano e accompagnano i soldati del Mali in perlustrazioni e operazioni di sorveglianza.
Attualmente, la nuova operazione Takuba conta 700 soldati tra francesi, cechi, estoni, svedesi, italiani, britannici e presto danesi, con l’obiettivo di arrivare a quota 2.000 entro il 2023.
Per questo motivo, la possibile presenza dei paramilitari del gruppo Wagner costituirebbe un evidente ostacolo al rafforzamento e al consolidamento delle forze speciali Takuba, un impegno militare comune tra i paesi dell’Unione Europea che accelererebbe la costituzione di un esercito europeo, come evocato da Mario Draghi ed esplicato nello Strategic Compass.
Il Mali rischia di diventare l’Afghanistan non solo di Parigi, ma dell’intera Unione Europea.