Andrea Mencarelli – Giacomo Marchetti
Al termine del vertice straordinario dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA) di domenica 9 gennaio ad Accra, in Ghana, i leader della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO) hanno decretato ulteriori sanzioni molto dure contro il Mali, a seguito della presentazione da parte della giunta militare al potere di una nuova proposta di calendario per la transizione civile.
La CEDEAO ha reagito con forza al piano della giunta di continuare a governare il paese per altri quattro anni e al mancato rispetto dell’impegno ad organizzare per il prossimo 27 febbraio le elezioni presidenziali e legislative, denunciando il tentativo da parte dei colonnelli di “tenere il paese in ostaggio” per rimanere al potere.
Il colonnello Assimi Goïta, capo della giunta al potere, aveva già espresso l’impossibilità di rispettare il calendario prestabilito a causa dell’insicurezza persistente nel paese legata soprattutto alle violenze di matrice jihadista.
In seguito all’adozione delle sanzioni, ha commentato dicendo che “leggendo i comunicati della CEDEAO e dell’UEMOA, si ha la sensazione che la complessità della situazione in Mali non sia stata purtroppo presa in considerazione”.
I partecipanti alle “Assises nationales de la refondation”, presentate come consultazioni prima delle elezioni e del ritorno dei civili al potere nel paese, avevano proposto nella conferenza del 30 dicembre a Bamako di estendere l’attuale transizione della giunta militare da “sei mesi a cinque anni”. Alla fine, la proposta sottomessa alla CEDEAO prevedeva quattro anni.
Come si legge nel comunicato, i leader della CEDEAO “deplorano la mancanza di volontà politica da parte delle autorità di transizione, che ha portato alla mancanza di progressi tangibili nella preparazione delle elezioni”, ritenendo inoltre “inaccettabile” il calendario proposto il giorno precedente in emergenza.
“Queste sanzioni saranno applicate immediatamente e saranno progressivamente eliminate solo dopo che un calendario soddisfacente sarà stato messo a punto”.
Tali sanzioni prevedono: la chiusura delle frontiere tra il Mali e gli altri paesi membri della CEDEAO; la sospensione delle transazioni commerciali, ad eccezione dei beni di prima necessità e dei prodotti farmaceutici; l’interruzione degli aiuti finanziari delle istituzioni della CEDEAO e il congelamento dei beni maliani nella Banca centrale degli Stati dell’Africa occidentale (BCEAO); il richiamo degli ambasciatori in Mali dei paesi membri.
Si tratta di misure più dure di quelle prese dopo il colpo di Stato dell’agosto 2020, quando la CEDEAO aveva imposto, oltre alla chiusura delle frontiere degli Stati membri con il Mali, anche un embargo sugli scambi commerciali e finanziari.
Queste sanzioni furono revocate dopo circa un mese e mezzo a causa della pandemia e con l’impegno ad attuare una transizione civile entro 18 mesi (febbraio 2022, appunto).
Il “pugno di ferro”, che la CEDEAO ha deciso di adottare a seguito dei ripetuti moniti dello scorso dicembre, mira a riaffermare i principi di governance di un’organizzazione la cui credibilità è in bilico e sotto scacco delle potenze imperialiste occidentali.
Contenere l’instabilità politica del Sahel, che la CEDEAO vorrebbe attribuire interamente alle giunte militari al potere in Mali e in Guinea (dal settembre 2021), sembra un compito davvero oltre le sue possibilità.
Il Mali è de facto nuovamente sotto embargo a causa di queste nuove e dure sanzioni della CEDEAO, che intende costringere le sue autorità ad accelerare la marcia del paese verso “l’organizzazione di elezioni per un ritorno al normale ordine costituzionale”.
In un comunicato, il governo maliano afferma che l’embargo costituisce una “violazione manifesta del Trattato dell’UEMOA e degli statuti del BCEAO e che il congelamento dei beni di uno Stato, delle imprese pubbliche e semi-pubbliche non può essere applicato dalla Banca centrale che rimane un organismo indipendente”.
Inoltre, “il governo del Mali deplora il carattere disumano di queste misure, che colpiscono le popolazioni già duramente colpite dalla crisi di sicurezza e dalla crisi sanitaria, in particolare quella del Covid-19”.
Secondo Nana Akufo-Addo, presidente del Ghana e attuale presidente della CEDEAO, queste sanzioni avrebbero come obiettivo solo i militari al potere in Mali ma non i civili. Tuttavia, sono ben evidenti le ricadute dirette sulla popolazione maliana, già vittima di un contesto di violenza crescente, di sicurezza deteriorata e di profonda crisi economica e sociale.
“In realtà, tutto ciò sta soffocando l’economia maliana. C’è una forte possibilità che dopo uno o due mesi non saremo nemmeno in grado di pagare gli stipendi dei nostri dipendenti pubblici. In ogni caso, non ci sarà più alcuna iniezione monetaria della BCEAO nell’economia del Mali. Quindi opereremo essenzialmente con liquidità in circolazione e depositi presso le banche secondarie”, spiega Etienne Fakaba Sissoko, professore di economia e ricercatore presso il Centro di analisi politica, economica e sociale del Mali.
Il Mali sarà privato di importanti flussi finanziari con un impatto a breve termine sul funzionamento della sua economia, mentre le banche potrebbero avere enormi difficoltà a rispettare i loro impegni e le loro transazioni.
Lo Stato maliano è in attesa di conoscere le decisioni della Banca Mondiale, primo creditore estero del Mali al quale fornisce un aiuto finanziario che consiste all’incirca ad un quarto del bilancio statale, mentre una fetta consistente della popolazione fa affidamento – o almeno spera di poter contare – sulle rimesse dall’estero.
Il Mali importa il 70% del suo fabbisogno alimentare, ma poiché i beni di prima necessità sono esclusi dal regime di sanzioni, i prodotti alimentari dovrebbero continuare ad arrivare. Questo a condizione che la logistica e il commercio fisico possano proseguire senza ulteriori difficoltà.
Un aumento drammatico dei prezzi sia di beni necessari che di carburante metterebbe ulteriormente in ginocchio gran parte della popolazione maliana in un anno in cui le scarse precipitazioni hanno ridotto il raccolto agricolo, causando una crisi alimentare in diverse regioni del paese.
Non si è fatta attendere la risposta del Mali che nelle parole di Abdoulaye Idrissa Maïga, ministro e portavoce del governo, ha comunicato che “il governo del Mali condanna fermamente queste sanzioni illegali e illegittime”, aggiungendo che “il governo del Mali si rammarica che le organizzazioni sub-regionali dell’Africa occidentale siano manipolate da potenze extra-regionali con secondi fini”.
Il riferimento – neanche troppo velato – è ai governi della regione molto vicini alla Francia e ai suoi alleati europei, in particolare quello di Macky Sall in Senegal e di Alassane Ouattara in Costa d’Avorio.
Lunedì sera, l’ambasciatore francese all’ONU, Nicolas de Rivière, ha sottolineato da parte sua “il pieno sostegno [della Francia, ndr] agli sforzi della CEDEAO”, giustificando la risposta dura attuata dall’organizzazione nei confronti delle autorità maliane che “ancora una volta, non hanno rispettato le richieste della CEDEAO e i loro stessi impegni”.
Nouhoum Sarr, membro del Consiglio Nazionale di Transizione e presidente del Front africain pour le développement (FAD), ha attaccato duramente la decisione della CEDEAO affermando che “questo è un attacco al processo di transizione. I capi di Stato della CEDEAO hanno preferito voltare le spalle ai loro fratelli. Questa organizzazione non è più un’organizzazione del popolo, ma piuttosto dei capi di Stato al soldo degli stranieri. La crisi che il nostro paese sta vivendo è straordinariamente complessa”.
Se vi è unanimità all’interno della società maliana nel condannare le sanzioni della CEDEAO per il loro impatto sull’intera popolazione, restano tuttavia le divergenze sul ruolo della giunta militare nel “transitare” il paese verso nuove elezioni.
Le principali le associazioni civili e le organizzazioni politiche, che hanno animato il Mouvement du 5 juin et rassemblement des forces patriotiques (M5-RFP) e le sue mobilitazioni di massa contro l’ex presidente Ibrahim Boubacar Keïta, hanno criticato in parte il crono-programma di transizione della giunta militare per l’insufficiente considerazione del lavoro svolto da tutte le realtà sociali durante le “Assises nationales de la refondation”.
Aboubacar Sangaré, membro dell’ufficio politico del partito Sadi (Solidarité africaine pour la démocratie et l’indépendance), ritiene che la giunta militare stia dilatando eccessivamente i tempi della transizione, ma che questo non giustifichi affatto la gravità delle sanzioni imposte dalla CEDEAO: “Se non riescono ad organizzare le elezioni, è davvero colpa loro; ma sanzionare il popolo maliano a causa dei suoi dirigenti che non sono stati eletti dal popolo, è davvero deplorevole”.
Il portavoce Maïga ha anche annunciato che il governo di transizione si riserva il diritto di riconsiderare la sua adesione alla CEDEAO e all’UEMOA. Nell’agosto 2020, la CEDEAO aveva sospeso il Mali da tutti i suoi organi decisionali – una sospensione tuttora in vigore.
Nel frattempo, sulla base della reciprocità, è arrivata anche la decisione ufficiale da parte della giunta militare di richiamare i suoi ambasciatori in Africa occidentale e di chiudere le frontiere, sia aeree che terrestri, con i paesi interessati (ad eccezione della Guinea che ha espresso la sua solidarietà al popolo maliano).
Nella sera di lunedì 10 gennaio, il colonnello Assimi Goïta ha parlato alla televisione nazionale, affermando che “è giunto il momento che tutti i maliani, senza eccezione, si riuniscano per riaffermare le nostre posizioni di principio e difendere la nostra patria” e facendo appello ad “una mobilitazione [su tutto il territorio nazionale venerdì 14 gennaio 2022, ndr] e una resilienza costante di fronte a questa situazione”.
“Anche se deploriamo il carattere illegittimo, illegale e disumano di certe decisioni”, il Mali “resta aperto al dialogo con la CEDEAO per trovare un consenso tra gli interessi superiori del popolo maliano e il rispetto dei principi fondamentali dell’organizzazione”.
Affermando che “il nostro impegno per il ritorno ad un ordine costituzionale normale, pacifico e sicuro non è mai venuto meno”, il colonnello Goïta conclude dicendo che “abbiamo fatto la scelta di essere sinceri per prendere il nostro destino nelle nostre mani forgiando il nostro cammino. La CEDEAO e l’UEMOA si sono assunte le loro responsabilità, noi faremo lo stesso”.
In questo contesto, di oggettiva tensione nei rapporti politici tra i paesi della regione – così come tra Bamako e Parigi – e di difficoltà per la popolazione maliana nel suo complesso, si possono ipotizzare almeno due scenari alternativi.
Da un lato, la giunta militare potrebbe fare ammenda più o meno immediatamente, rivenire sulla sua proposta di calendario della transizione e “negoziare” i termini di prossime elezioni.
Più che di una “negoziazione”, si tratterebbe di una remissione alla volontà dettata dai leader della CEDEAO, i quali hanno fatto intendere con fermezza il peso del rapporto di forza in grado di imporre alla giunta militare maliana.
Al tempo stesso, il governo di Bamako è chiamato ad agire rapidamente per tenere sotto controllo la pressione economica e sociale che le nuove sanzioni potrebbero generare già nelle prossime settimane. Questo potrebbe essere un fattore che, in caso di ulteriore instabilità interna, potrebbe pressare la giunta militare per ridimensionare i tempi della transizione civile.
Dall’altro lato, il malcontento popolare contro le sanzioni della CEDEAO potrebbe portare ad un rafforzamento del sostegno alla giunta militare e al suo programma di transizione, sulla base di un forte sentimento nazionalista maliano invocato dallo stesso colonnello Goïta.
L’isolamento al quale sarebbe condannato il Mali nei prossimi mesi potrebbe spingere la giunta a rafforzare i suoi legami di partenariato militare ed economico con Russia e Cina, rispettivamente.
Si tratterebbe di un’opzione particolarmente sgradita non solo alla Francia, ma a molte potenze occidentali, che già il 23 dicembre avevano denunciato il coinvolgimento del governo della Federazione Russa nel fornire sostegno materiale al dispiegamento del gruppo Wagner in Mali.
Fonti vicine alle autorità militari francesi hanno diffuso lunedì sera diverse foto per testimoniare la presenza di 200 paramilitari del gruppo Wagner a Ségou, 200 chilometri a nord-est di Bamako. Per Parigi, l’intervento sul campo del gruppo Wagner è “inaccettabile” ed “incompatibile” con le forze militari francesi che, tramite l’Operazione Barkhane, contano ancora 2.500 soldati dispiegati in Mali (4.800 in tutta la fascia del Sahel).
Dal canto suo, la Cina consoliderebbe i principi e gli impegni espressi nell’ultimo vertice del Forum on China-Africa Cooperation tenutosi il 29 e 30 novembre 2021 a Dakar, in Senegal.
Nello specifico in Mali, la China Railway Construction Corporation (CRCC) ha finanziato, tra il 2014 e il 2016, due grandi progetti ferroviari per collegare il paese alla costa atlantica: la ristrutturazione della ferrovia Dakar-Bamako-Koulikoro per 1,4 miliardi di dollari e il progetto di costruzione di una linea ferrovia da 900 km da Bamako a Conakry, capitale portuale della Guinea, per 8 miliardi di dollari.
Il tutto mentre la Francia continua a ridimensionare e riorganizzare la sua presenza militare in Mali, con la “smobilitazione” dell’Operazione Barkhane e la “europeizzazione” dell’azione militare nel Sahel – per usare le parole di Florence Parly, ministra della Difesa francese.
La lista dei paesi membri dell’Unione Europea, impegnati nella missione congiunta Takuba, sta lentamente ma sicuramente crescendo.
In ballo c’è molto di più del “semplice” braccio di ferro tra il Mali e la CEDEAO…