Mauro Casadio, RdC
Il campione “dell’italianità” (in verità annacquato in questi anni dal rapporto con la Merkel) e dell’inesistente centrodestra ha prodotto l’ennesima brutta figura, provando a fare di nuovo la “mossa del cavallo” con l’autocandidatura alla presidenza della repubblica che, però, non ha funzionato.
D’altra parte l’ultima volta che ha funzionato veramente è stato solo nel ’94, quando l’imprenditore prese in contropiede tutto il mondo politico italiano dell’epoca.
Questa nuova cantonata di Berlusconi non va ridotta solo all’esigenza di rompere ed invertire una parabola discendente, che per lui oggi è palesemente irreversibile, perché in questo passaggio è riuscito a trascinare sia la Lega che FdI che rappresentano, almeno in teoria, circa il 40% dell’elettorato.
Questo dato nei sondaggi e l’affermazione di un irrazionalismo di massa che si è manifestato sulla vicenda dei “No Vax”, amplificato ad arte dai mass media, ci dice che una larga parte della popolazione italiana vive un rifiuto aprioristico, in gran parte giustificato, verso quelle che sono le istituzioni ed il quadro politico attuale.
Su questo sentimento di “pancia” il centrodestra ha pensato che c’erano le condizioni per cavalcare la tigre e per ricostruire la propria unità candidando Berlusconi, pur sapendo quanto la scommessa fosse rischiosa, e questo si è visto anche dagli atteggiamenti ondivaghi di Salvini e della Meloni. In realtà la rendita di posizione che la destra ha indubbiamente sul piano sociale non riesce a trasferirsi sul piano politico e istituzionale.
Infatti questa destra, abbandonata in questa occasione anche dal killer professionista Renzi, ha due contraddizioni che le impediscono di affermarsi.
La prima è politica. Ovvero, la sua articolazione sociale è ampia e va dai ceti produttivi della piccola e media industria, che fanno riferimento alla Lega, alla piccola borghesia, a settori popolari e di malessere “metropolitano” in particolare al sud, che votano soprattutto la Meloni. Tale divaricazione nella rappresentanza sociale e politica impedisce una ricomposizione e innesta una competizione elettorale che ha minato il tentativo di ricomposizione berlusconiano.
L’altra contraddizione è strutturale e più seria. Ovvero il centrodestra e la stessa destra, in senso stretto, hanno al loro interno posizioni divergenti sul rapporto da tenere con l’Unione Europea; frattura strategica questa che passa dentro la Lega e che spiega la contraddittorietà delle contorsioni salviniane.
Nelle settimane scorse i portavoce dell’antiberlusconismo, dalla Repubblica al Fatto Quotidiano fino al Manifesto, stavano già scaldando i motori per riprendere la litania antiberlusconiana che ha sempre preparato le svolte a destra della cosiddetta “sinistra”.
Qualcuno lo ha fatto per calcolo politico, altri per una visione distorta delle dinamiche politico-istituzionali, ma certo quello che si stava per mettere in moto è la solita coazione a ripetere. Coazione funzionale a compattare contro un nemico esterno e per preparare l’elettorato del centrosinistra a ingoiare un ulteriore numero indefinito di rospi, come invitò lo stesso “Manifesto” in altri tempi.
Dunque, dopo la sceneggiata dell’allegra compagnia del centrodestra, torna al centro la candidatura “seria” di Mario Draghi. Ma anche in questo caso bisogna leggere i sommovimenti che preludono alle scelte che verranno fatte e che spesso non sono visibili, anche per la cortina fumogena che alza la stampa mainstream.
Il primo e più rilevante di questi è indubbiamente l’intoccabile tutela degli interessi e dei parametri della UE. Forse è sfuggita ai più la dichiarazione che ha fatto il Commissario francese UE Breton il 13 gennaio scorso: “dopo l’Europa della democrazia e l’Europa del mercato, apriamo ora la strada a un’Europa del potere”. Parlare perciò di presidenza della Repubblica, di governo Draghi, di nuovo governo o di elezioni anticipate significa capire in primo luogo il contesto in cui questi “fenomeni” avvengono.
Sembrerebbe, perciò, che ora l’ascesa al Quirinale di Draghi sia inarrestabile. Ma c’è un “Ma”!
Infatti a questo punto si pone il problema, da tutti rilevato, della tenuta di un nuovo governo e del rischio di elezioni anticipate, che farebbero saltare l’equilibrio politico raggiunto con la UE ed i vantaggi avuti con il PNRR. Su questo Berlusconi è stato chiaro: “Draghi deve rimanere al governo per salvare la stabilità e la patria”.
Qui di nuovo si insinua la debolezza della Rappresentanza Politica in un paese in cui la disgregazione sociale si è accentuata grazie alle politiche attuate da tutte le forze politiche nella cosiddetta Seconda Repubblica.
Detto in termini pratici: avere Draghi presidente della Repubblica e fare un governo diretto da una personalità diversa probabilmente segnerebbe il ”liberi tutti” e l’occasione di rivincita delle varie forze di centrodestra, uscite scornate da quest’ultimo giro di valzer, per andare alle elezioni e per affrettarsi ad accaparrare più voti possibili sperando di fare un loro governo, coscienti di essere le forze più rappresentative nella società italiana.
Quella cui si sta andando incontro è perciò una contraddizione apparentemente insanabile in cui il centrodestra, uscito politicamente sconfitto, potrebbe rompere i giochi e tentare di risalire la china con un effetto domino che si ripercuoterebbe anche a livelli della UE.
Poiché sappiamo che le vie del signore sono infinite, c’è un altro scenario da prendere in considerazione e che non farebbe saltare i giochi fatti finora. L’opposizione a Draghi presidente non viene solo da Berlusconi, anche se qualcuno pensava che nel ritiro avrebbe rilanciato Draghi, ma anche da una parte del M5S e forse anche di una parte del PD.
Da alcuni giorni si parla su diversi versanti di “rosa dei candidati super partes”, di candidature femminili ed altre possibili soluzioni… Insomma di soggetti diversi da Draghi, che dovrebbe perciò continuare a fare il presidente del consiglio per garantire la governabilità, ma anche per il banale “tirare a campare” da parte dei parlamentari fino al 2023, interessati a portare a termine la “propria” legislatura, con i conseguenti benefici.
Insomma, la soluzione che si può intravvedere è quella dell’elezione di un “Re Travicello” che faccia contenti tutti e Draghi che continua fino a fine legislatura, magari con la prospettiva di tornare al suo “naturale” ruolo continentale nel ’24 con l’elezione del nuovo presidente della Commissione Europea.
Non è una previsione, non siamo in grado di farne, ma è una possibilità.
24 Gennaio 2022