Amzat Boukari-Yabara
Il 17 e il 18 febbraio si terrà a Bruxelles il sesto vertice tra l’Unione Europea e l’Unione Africana, al quale parteciperanno anche rappresentanti delle istituzioni finanziarie internazionali come il FMI e la Banca Mondiale. Un vertice che arriva in un momento e in un contesto di forte tensione politica in tutto il Sahel, con la Francia e i suoi alleati nella missione Takuba che hanno annunciato il ritiro delle loro truppe dal Mali. Al tempo stesso, la concomitanza tra la presidenza dell’Unione Africana da parte di Macky Sall (per un anno) e il semestre di presidenza del Consiglio dell’UE da parte di Emmanuel Macron, potrebbe accelerare il “nuovo partenariato” tra le due entità su diverse questioni politiche, economiche e militari.
Il capitolo africano della nuova strategia europea di investimento “Global Gateway”, lanciata a dicembre 2021, prevede “più di 150 miliardi di uro di investimenti attraverso il programma Africa-Europa”, come annunciato dalla presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen durante la sua recente visita a Dakar, in Senegal. La volontà da parte delle potenze europee di “voler legare il proprio destino a quello dell’Africa” è una recrudescenza del progetto di Eurafrica che mira, nell’attuale fase di competizione interimperialista, a preservare il giogo neo-coloniale europeo e ad intensificare lo sfruttamento delle risorse strategiche del continente africano.
Di seguito la traduzione del testo redatto da Amzat Boukari-Yabara, presidente della Ligue Panafricaine – UMOJA e autore de “Africa Unite. Une histoire du panafricanisme” (La Découverte, 2014), che analizza la situazione attuale e le implicazioni intrinseche alla struttura del vertice UE-UA, in vista della mobilitazione della Diaspora a Bruxelles per l’indipendenza e la sovranità dei popoli dell’Africa.
Il sesto vertice Unione Europea-Unione Africana, previsto per ottobre 2020 e rinviato a causa della crisi sanitaria mondiale, si terrà il 17 e 18 febbraio 2022 a Bruxelles. Gli attivisti panafricanisti che hanno deciso di ritrovarsi in Piazza Schuman potranno giustamente manifestare in merito all’attualità delle parole di uno dei padri fondatori dell’Europa, il ministro francese degli Affari esteri Robert Schuman, che il 9 marzo 1950 dichiarò che “l’Europa potrà, con mezzi accresciuti, perseguire uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano”.
In un mondo in cui le zone di proiezione sono limitate a causa della concorrenza tra le potenze, l’Africa è al centro della posta in gioco geostrategica tra il Nord, l’Est e l’Ovest. Il legame stabilito tra il Mali e l’Ucraina attraverso la politica russa mostra più che mai il rischio – in fin dei conti poco probabile – per l’Europa di trovarsi accerchiata da un nuovo tipo di alleanza che si estende da Mosca a Conakry attraverso Kiev, Bangui e Bamako. Come presidente del Consiglio UE da sei mesi, Emmanuel Macron l’ha sottolineato in diverse occasioni: senza una politica africana, l’Europa scomparirà nel contesto dei grandi sconvolgimenti geopolitici in corso. Di fronte alla Cina, agli Stati Uniti, alla Russia e alla Turchia, che hanno creato delle cornici (summit e forum) per interloquire con l’Africa, l’Europa sta semplicemente giocando per la sua sopravvivenza.
Con la scusa di essere una “priorità” legata alla vicinanza geografica o al “destino comune”, l’Africa è diventata un’ossessione per l’Europa. Quasi la metà dei paesi europei ha ormai un piano o una strategia specifica per l’Africa, per non parlare della strategia globale messa in atto dalla Commissione europea, che presenterà al vertice nuovi documenti politici nelle aree strategiche della sicurezza e della difesa europea, della transizione energetica, della trasformazione digitale, della crescita sostenibile e dell’occupazione, della pace e della governance, della migrazione e della mobilità. Sono tutte questioni sulle quali i popoli africani non sono mai stati consultati.
Sulla ricolonizzazione finanziaria e umanitaria dell’Africa
Nel 2017, la presidenza tedesca del G20 ha lanciato il “Compact with Africa” per promuovere gli investimenti privati in una dozzina di paesi africani (Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Ghana, Guinea, Marocco, Ruanda, Senegal, Togo, Tunisia) che avevano riformato il loro quadro macroeconomico. La filosofia neoliberale di questo patto è stata estesa al vertice del 18 maggio 2021 a Parigi “sul finanziamento delle economie africane”. Questi ultimi sono visti come “fattori di crescita” per le economie europee. In altre parole, senza l’Africa, l’Europa affonda. Senza risorse naturali, materie prime, ma anche lavoratori immigrati, senza nuovi mercati, nuovi consumatori della classe media ed élite africane, parti dell’economia europea minacciano di crollare.
Lungi dall’essere un progetto al servizio dell’Africa, la “Global Gateway Strategy” svelata dalla presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen sembra quindi essere la risposta dell’Europa alla Cina, che ha sviluppato una vasta rete di infrastrutture di trasporto e comunicazione in Africa come parte delle Nuove vie della seta (“Belt and Road Initiative”). Attraverso le sue “agenzie di sviluppo”, l’Europa intende presentare all’Africa nuovi strumenti economici, finanziari e commerciali senza nemmeno prendersi il tempo di ascoltare ciò che gli africani chiedono. Alla fine, niente è più colonialista dell’Europa che crede di essere più ambiziosa per l’Africa di quanto gli africani stessi lo siano per il loro continente. Questa ambizione traspira di ricolonizzazione.
Se la “ridefinizione dei confini” non è ufficialmente all’ordine del giorno del vertice UE-UA, è perché gli accordi di partenariato economico (APE) e le precedenti politiche neoliberali europee hanno già ridisegnato i confini di un’Africa “utile” e una “inutile” secondo gli interessi delle multinazionali. Queste funzionano “à la carte”, secondo logiche transnazionali, transfrontaliere e internazionali che sfruttano la divisione internazionale del lavoro, le regole stabilite dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e le leggi del mercato.
In questo senso, il lancio dell’Area Continentale Africana di Libero Scambio (AfCFTA) rischia di avvantaggiare soprattutto gli attori economici non africani che hanno fondi, reti e organizzazione superiori a quelli degli attori africani. Lungi dal portare alla balcanizzazione del Congo, al contrario, e peggio, l’AfCFTA estende la politica delle porte aperte perseguita in Congo a tutto il continente africano, trasformandolo in un vasto serbatoio da cui ognuno attingerà ciò di cui ha bisogno.
Tra il vertice UE-UA di Abidjan del 2017 e quello di Bruxelles del 2022, la crisi sanitaria si è insinuata nelle relazioni tra i due continenti. Le notizie dei media che suggeriscono che i vaccini dovrebbero essere testati in Africa ci hanno ricordato la dimensione colonialista e razzista della scienza e della medicina. La pandemia ha mostrato fino a che punto l’Europa si rifiuta di capire che le civiltà africane possono avere una concezione diversa del benessere, della salute e della guarigione. Ossessionata dalla corsa con la Cina nella “donazione di vaccini” all’Africa, l’Europa si è liberata da ogni etica non esitando a mandare in Africa vaccini che non erano più raccomandati per i cittadini europei.
L’Africa, che ha attraversato la pandemia senza dover offrire ai media occidentali lo spettacolo atteso di centinaia di milioni di persone che muoiono di Covid-19, si trova in una situazione di paradossale accattonaggio legato alla comunicazione che presenta l’Europa che le regala generosamente i vaccini. L’obiettivo dell’Africa è di raggiungere la sovranità sanitaria e medica senza dover sopportare la retorica della ricolonizzazione “umanitaria”. Su questo punto, l’incontro dei presidenti Macky Sall del Senegal, Paul Kagame del Ruanda e Nana Akufo-Addo del Ghana con Uğur Şahin, presidente della multinazionale BioNTech, solleva domande. Il punto non è produrre “vaccini” BioNTech in Africa, ma avere una politica di salute pubblica sostenuta da un sistema di valori, bioetica e ricerca medica sovrana. In un completo rovesciamento della situazione, l’Africa non ha la vocazione di diventare la fabbrica di vaccini del mondo.
L’Eurafrica è l’estensione dellaFrançafrique
Se l’Europa non può permettersi di avere alle sue porte un’Africa chiusa, ostile e instabile, la relazione Europa-Africa è soprattutto vitale per la Francia, che rimane la potenza neocoloniale per eccellenza. “Il nostro obiettivo è costruire l’Europa senza distruggere la Francia”, disse un altro ministro degli esteri francese, Georges Bidault, nel marzo 1953. Fin dall’inizio, Parigi ha cercato di preservare il proprio territorio in Africa dall’intrusione straniera, facendo in modo che i partner europei contribuissero agli oneri, soprattutto in campo economico e della sicurezza. In effetti, gli accordi europei sono sempre più discreti, meno frontali e più inglobanti delle reti legate all’Eliseo o al Ministero degli Esteri francese. Emmanuel Macron intende così approfittare del semestre di presidenza francese del Consiglio dell’Unione Europea per estendere la politica africana della Francia ai suoi partner europei, rinnovando così il tema dell’Eurafrica.
Per raggiungere questo obiettivo, il presidente francese potrà contare sul presidente senegalese Macky Sall, che presiede l’Unione Africana per l’anno 2022. Fortemente contestato da una parte del popolo e dei giovani senegalesi che lo accusano di difendere gli interessi francesi prima di quelli del Senegal, Macky Sall segue le orme del poeta e primo presidente del Senegal, Léopold Sédar Senghor, che è noto per essere uno dei grandi sostenitori di un progetto civile euro-africano che collega i due continenti in modo quasi fittizio, sempre a vantaggio degli interessi europei e neocoloniali. Inoltre, il riavvicinamento iniziato durante il periodo di Nicolas Sarkozy con il presidente ruandese Paul Kagame, uno dei grandi architetti delle riforme neoliberali dell’Unione Africana, così come la vicinanza tra Emmanuel Macron e il presidente francofilo del Ghana, Nana Akufo-Addo, danno a Parigi le carte per far convalidare la sua linea politica ed economica a Bruxelles da un gruppo di leader africani.
L’Europa è anche un vasto conglomerato di interessi pubblici e privati, statali e imprenditoriali, civili e militari, agricoli e industriali, tutti coinvolti in una competitività che non può che spingerli a guardare verso le terre ad alto potenziale dell’Africa che sembrano essere aperte per loro. Così, ci sono innumerevoli rapporti, dichiarazioni e discorsi che fanno dell’Africa il futuro dell’Europa o l’El Dorado della crescita europea. Pensare che il futuro dell’Europa sia in Africa (nei sottosuoli africani ricchi di petrolio, ferro, uranio, coltan, oro, diamanti, manganese, ecc.) è un modo per dire – senza presupporlo – che l’Europa non ha più un futuro, che è assolutamente incapace di reinventarsi e rigenerarsi se non intraprendendo un nuovo progetto di ricolonizzazione. L’Europa non deve essere il peso dell’Africa. L’Europa, che ha fatto dell’Africa “il suo futuro”, offre tuttavia la prospettiva di un futuro a tutta una generazione di giovani africani, inducendoli a tentare di aderirvi a rischio della loro vita.
Mentre rifiuta di riconoscere il suo passato schiavista e colonialista attraverso politiche di risarcimento, mentre rifiuta di impegnarsi in piani reali per combattere il razzismo anti-nero, mentre rifiuta di cambiare il suo paradigma xenofobo sulla questione dell’immigrazione, i leader europei chiedono agli africani di rafforzare i legami in un momento in cui le società civili e i giovani della stessa Africa chiedono una vera rottura. Finché l’Europa si pone come “partner” dell’Africa per ritardare quest’ultima nel suo desiderio di conquistare la sua piena sovranità politica, monetaria, culturale, tecnologica, energetica e sanitaria, sempre più africani si rivolgeranno ad alternative che hanno dimostrato il loro valore nella storia, come il panafricanismo.
Il panafricanismo come un modo per rendere l’Africa all’altezza delle sue sfide
Ignorando territori “europei” come Martinica, Guadalupa, Riunione, Guyana francese, Mayotte e Kanaky, territori che ci ricordano quanto la Francia sia ancora un impero coloniale, il vertice UA-UE si rifiuta di prendere atto della crescente convergenza tra questi territori “europei”, che hanno forti legami storici con l’Africa. Il vertice UE-UA di Bruxelles, come il “vertice Africa-Francia” di Montpellier, sembra far parte di questa logica di recupero inutile del “panafricanismo”. Ecco perché la diaspora, riconosciuta dall’Unione Africana come la sua “sesta regione”, è strategica. In un momento in cui l’Europa si congratula con se stessa per aver dato 65 miliardi di euro in aiuti ufficiali allo sviluppo all’Africa, non dimentichiamo mai che nello stesso periodo, la diaspora, che invia 83 miliardi di dollari (nel 2020) ai suoi paesi d’origine, costituisce una forza economica e politica reale e imprescindibile.
Solo una vera visione panafricanista che colleghi la dimensione continentale e quella della diaspora per rafforzare gli interessi reciproci degli africani del continente e della diaspora permetterà di riequilibrare questi “vertici” asimmetrici dove il finanziamento dell’UA da parte dell’UE non è più un segreto. Più l’Africa privilegia la sua diaspora, più sarà in grado di trattare alla pari con l’Europa, gli Stati Uniti o altri grandi gruppi, beneficiando di persone che possono difendere i suoi interessi nel tempo. Come per ogni vertice di questo tipo, c’è il rischio che i leader africani agiscano come uno solo a Bruxelles. L’UE stessa è divisa su molte questioni, con l’Ungheria e la Polonia per esempio che minacciano di rifiutare di riconoscere le risoluzioni del vertice UE-UA per il fatto che sono stati privati dei fondi del pacchetto di stimolo, eppure l’UE sarà in grado di mettere a tacere i suoi disaccordi nel tentativo di beneficiare della divisione degli africani.
Quello che si teme per i leader africani non dovrebbe essere il caso delle nostre organizzazioni che pretendono di denunciare questo vertice Europa-Africa. La pratica di “ognuno per sé” da parte dei leader africani richiede che coloro che si oppongono a loro, specialmente le organizzazioni politiche panafricane e i movimenti cittadini della diaspora che saranno presenti il 17 e 18 febbraio 2022 a Bruxelles, diano più che mai l’esempio incarnando le parole del primo presidente del Ghana Kwame Nkrumah: “le forze che ci uniscono riescono di gran lungaa controbilanciare quelle che ci dividono”.
Questo è il prezzo dell’emancipazione dell’Africa!
Forza alla mobilitazione della Diaspora panafricana del Belgio!
Umoja ni Nguvu! L’Unione fa la Forza!