Rete dei Comunisti
Come Rete dei Comunisti ci troviamo per l’ennesima volta davanti ad un Tribunale a fianco della nostra compagna Marta Collot.
Alcune volte siamo venuti qui davanti per supportare i compagni e le compagne imputati e denunciare come la repressione contro di loro avesse caratteri squisitamente politici e avesse ben poco a che fare con la giustizia, siamo venuti qui per urlare che i processi che si stavano tenendo dentro alle aule contro le nostre lotte altro non erano che deterrenza e intimidazione a rivendicare condizioni sociali migliori accanendosi su militanti e movimenti al fine di limitarne la libertà personale e l’agibilità politica.
Siamo venuti per stigmatizzare la repressione figlia di un modello politico autoritario di società in cui i diritti di proprietà e quelli di impresa prevalgono brutalmente sui diritti costituzionali all’abitare, al lavoro, alla salute, alla dignità, colpendo preventivamente e repressivamente chi ritiene che l’ordine di tali priorità vada rovesciato e quindi oppone resistenza.
Altre volte siamo venuti davanti al Tribunale come organizzazione perché di fronte alla violenza sessuale subita dalla nostra compagna Marta Collot e alla retorica di colpevolizzazione e di vittimizzazione propria di un modello di società individualista l’unico strumento concreto che abbiamo di riscatto e di emancipazione è la lotta e l’organizzazione. Processo che poi si è chiuso con la condanna al massimo della pena e nel quale la nostra compagna ha avuto modo di dire in faccia al suo stupratore che aver approfittato del suo vantaggio fisico non la ha piegata, e questo perché quello che questi uomini non sanno è che esiste qualcosa che rende più forti di qualsiasi forza fisica e si chiama organizzazione.
Oggi siamo nuovamente qui perché la stessa compagna è stata costretta a cambiare casa e abitudini di vita perché perseguitata da un soggetto che vanta gravi precedenti di stalking e molestie e contro il quale ha sporto denuncia due volte.
Il 1 marzo 2022 all’udienza preliminare del processo nato dalla prima delle due denunce che ha sporto, il giudice ha pronunciato il non luogo a procedere nei confronti dello stalker e questo benchè gli atti persecutori accompagnati da minacce fossero proseguiti fino all’arresto cautelare avvenuto un mese fa.
Oggi siamo qui per accusare pubblicamente la vergognosa ipocrisia di quel vano proclama che invita le donne a denunciare gli abusi e le violenze di genere, domestiche e non. La nostra compagna ha denunciato ma ha poi dovuto fare i conti con una giustizia vetusta che tratta le violenze di genere con una superficialità degna di altri secoli.
L’entrata nel dibattito pubblico del fenomeno dei femminicidi e delle violenze di genere e la conseguente richiesta di maggiori tutele e maggiori diritti per le vittime ha imposto ai partiti di prendere posizione sul tema. La risposta è stata del tutto inadeguata alla gestione del problema. La risposta legislativa è stata caratterizzata (come più volte abbiamo visto di questi tempi) da un populismo penale che si è occupato quasi unicamente di inasprire le pene per questi reati. All’irrigidimento sanzionatorio non si è però accompagnato un cambio di passo nelle pratiche dei Tribunali.
A fronte della leggerezza con cui vengono affrontati i reati connotati da violenza di genere nelle aule di tribunale non possiamo che constatare la solerzia e la severità con cui vengono affrontate le forme di lotta sociale e politica.
Due pesi due misure: basta contare. Nella stessa settimana contiamo da un lato un proscioglimento di uno stalker recidivo che ha costretto una donna a cambiare casa e abitudini di vita e dall’altra la condanna degli antifascisti per aver impedito alla Lega di speculare sulla pelle della popolazione Sinti del campo che fu in via Erbosa a pene alla reclusione tra i 2 mesi e un anno e mezzo di pena; per non dimenticare che nei prossimi mesi si concluderanno due processi: uno per le lotte per il diritto all’abitare e uno per una manifestazione non autorizzata a seguito dell’omicidio del lavoratore e sindacalista Abd El Salam. E ancora, proprio questa settimana abbiamo saputo dell’avvio di un ulteriore processo per fatti del 2016 quando salimmo sul tetto del comune per poter dar voce alle lotte per il diritto all’abitare.
Sappiamo che nessuna condanna potrà mai cancellare la violenza subita. Non siamo giustizialisti, siamo consapevoli che le carceri sono piene dei dannati della terra e degli sfruttati e che sono uno strumento di emarginazione sociale che calpesta la dignità e la libertà degli ultimi. E così come siamo al fianco dei detenuti che lottano contro le condizioni disumane delle carceri, così come combattiamo quotidianamente lo sfruttamento degli esseri umani nei posti di lavoro, difendiamo il diritto alla casa nei quartieri popolari e il diritto allo studio, allo stesso modo rifiutiamo la violenza di genere e dei rapporti sociali e riconosciamo come nostro nemico chi fa la scelta di opprimere un altro essere umano, di fare, come uomo, violenza ad una donna.
Di fronte a tutto questo, di fronte a una crisi di valori, all’imbarbarimento sociale e culturale dilagante noi opponiamo, ancora con più forza, la lotta e l’organizzazione come strumento concreto di riscatto e emancipazione da un mondo che calpesta tutto e tutti. La nostra compagna non è mai stata sola, chi tocca una tocca tutti.
LA NOSTRA SICUREZZA È L’ORGANIZZAZIONE.
LA NOSTRA ARMA È LA COSCIENZA COLLETTIVA.
LA NOSTRA DIFESA È L’AZIONE ORGANIZZATA.
CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE L’ORGANIZZAZIONE È SCELTA, RAGIONE E FORZA.