Mettere le persone prima del profitto: il socialismo è il futuro— costruiscilo ora!
Dichiarazione del Partito Comunista Sudafricano Comitato Centrale, pronunciata dal Segretario Generale del SACP Blade Nzimande in occasione del suo raduno per il centenario
In occasione dei 100 anni del Partito Comunista in Sudafrica, questa non può essere una celebrazione ordinaria. Lo diciamo sia perché si tratta di un centenario, sia perché nelle ultime settimane abbiamo vissuto un momento estremamente pericoloso, con molti segnali di allarme per tutti coloro che hanno a cuore la democrazia e la pace nel nostro Paese. Non possiamo commemorare 100 anni di lotta ininterrotta come se gli eventi del luglio 2021 fossero a malapena accaduti.
Per il momento, l’offensiva insurrezionale contro la nostra democrazia è stata fermata dall’ampia unità della nostra Alleanza in Difesa della Democrazia e della Costituzione e dalla stragrande maggioranza dei sudafricani, che collaborano con uno Stato spesso indebolito e destabilizzato. Ma questa vittoria ha avuto un costo enorme in termini di posti di lavoro, sicurezza alimentare, salute e vite umane.
In occasione dei 100 anni di lotta comunista ininterrotta in Sudafrica, chiediamoci: come si è arrivati a questo? Quali lezioni possiamo trarre da 100 anni di lotta comunista sul suolo sudafricano? Quale eredità abbiamo che può aiutarci a capire e a rispondere concretamente alle sfide del presente?
Lo dobbiamo alle centinaia di migliaia di comunisti del nostro Paese che ci hanno preceduto. Dobbiamo imparare dalle loro lotte, emulare il loro coraggio e il loro impegno e riflettere e essere autoriflessivi, in modo costruttivo e critico come spesso hanno fatto, sul presente per il futuro.
Analizzando la fallita insurrezione controrivoluzionaria di luglio, non possiamo fare a meno di notare che essa proveniva da elementi dissoluti e dalle loro reti all’interno della stessa ANC. Per ammissione della stessa ANC, nelle conferenze che si sono succedute almeno dal 2000, si è verificata una preoccupante degenerazione del movimento. Cosa significa tutto questo per quasi un secolo di pensiero strategico e di lavoro del SACP all’interno del movimento di liberazione nazionale?
L’eredità duratura del SACP: la rivoluzione nazionale democratica come via più diretta al socialismo in Sudafrica.
Non dobbiamo negare le sfide, ma non dobbiamo nemmeno sottovalutare il contributo più duraturo che il Partito Comunista del Sudafrica ha dato in teoria e, soprattutto, in pratica. Questo contributo decisivo è stato l’elaborazione da parte del Partito della relazione critica tra l’oppressione nazionale e lo sfruttamento di classe capitalista; tra l’oppressione patriarcale razzializzata e l’iper-sfruttamento del lavoro nero; tra l’eredità di decenni di dominio delle minoranze bianche e la persistente subordinazione del nostro Paese come semi-periferia in crisi all’interno di un sistema globale dominato dall’imperialismo. La consapevolezza di queste interconnessioni critiche ha fondato la nostra prospettiva strategica di una lotta per il socialismo come parte integrante di una rivoluzione nazionale democratica.
Questo approccio strategico è stato la conseguenza del radicamento del Partito nel marxismo, del suo impegno con le lezioni di altre lotte attraverso l’Internazionale Comunista e delle tradizioni di lotta organica del popolo dell’Africa meridionale.
Se le popolazioni indigene del nostro Paese e quelle che furono trasportate qui in catene dall’Asia orientale, dal Madagascar, dall’Angola e da altri luoghi furono vittime, non furono mai vittime passive. La resistenza armata è stata alla fine sconfitta. Le rivolte degli schiavi furono stroncate senza pietà. Ma nonostante gli obiettivi spesso genocidi delle potenze coloniali, questa resistenza sostenuta ha fatto sì che (caso unico per un Paese della zona temperata con un esteso insediamento coloniale europeo) all’alba del XX secolo la stragrande maggioranza degli abitanti del Sudafrica non fosse di origine europea. Questa maggioranza ha portato nel XX secolo, per quanto malconcia, culture, lingue e, soprattutto, tradizioni di resistenza collettiva.
I colonizzatori lo chiamavano “il problema dei nativi”.
Il Partito Comunista, fin dai suoi esordi, ha capito che si trattava della potenziale forza motrice per la libertà, la democrazia e l’abolizione dello sfruttamento di classe.
È stata questa prospettiva strategica che ha portato il Partito Comunista, a partire dagli anni Venti, a fare da pioniere nella richiesta di un governo maggioritario e di pieni diritti di cittadinanza per tutti coloro che vivono in Sudafrica, molto prima che l’ANC avanzasse questo approccio, che era radicale per il suo tempo. È stata questa prospettiva strategica a portare i comunisti in prima linea in ogni momento chiave della storia dell’ANC: la svolta verso una linea di massa negli anni Cinquanta e l’adozione della Carta della Libertà; il Processo per Tradimento; la messa al bando dell’ANC negli anni Sessanta e l’esilio forzato della maggior parte dei suoi leader; il lancio della lotta armata; l’elaborazione di una strategia di guerra popolare nel bel mezzo delle ondate di lotta semi-insurrezionale tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta; fino a un accordo negoziale. In ogni momento chiave i quadri del SACP erano presenti sia come soldati semplici che come leader strategici e organizzatori.
In questo centenario riaffermiamo la responsabilità critica del Partito Comunista e dei suoi militanti nel difendere, ricostruire e consolare un ampio movimento di liberazione nazionale e un’Alleanza riconfigurata. Non permetteremo che un movimento che i comunisti, a decine di migliaia, hanno contribuito a costruire, venga ora dirottato da criminali e demagoghi.
Il non-razzialismo
Direttamente collegato a tutto questo, è il secondo grande contributo pionieristico e durante del Partito Comunista in Sudafrica: il non-razzialismo [1]. Non solo in teoria. Fin dall’inizio il CPSA è stato non-razziale nella pratica. Infatti, fino alla fine degli anni ’40 e alla breve vita del Partito Liberale, il Partito Comunista era l’unica formazione politica in Sudafrica con una politica non-razziale. Bianchi e neri erano membri alla pari nella lotta. Per tutti gli anni Venti, Trenta e Quaranta, questi militanti non-razziali hanno affrontato persecuzioni, sopportato deportazioni da parte della polizia, periodi di detenzione e, insieme, hanno affrontato e combattuto contro la violenza fascista delle Camicie Grigie anticomuniste, che cercavano di interrompere le riunioni del Partito e le proteste contro la legge sui pass [2]. I militanti bianchi e neri impararono gli uni dagli altri e svilupparono una tradizione duratura di leadership collettiva e non-razziale. Questo approccio al non-razzialismo è stato evidente anche nella formazione, guidata dai comunisti, del fronte ampio della Federazione delle Donne Sudafricane, che ha mobilitato le donne di tutte le classi e di tutti i gruppi razziali per resistere di fronte alle leggi sui pass dell’apartheid e alla repressione.
Questo contributo di lotta non-razziale del nostro Partito Comunista al nostro Paese è più che mai attuale. Siamo chiamati ora a combattere le forze controrivoluzionarie che cercano di ottenere un sostegno populista attraverso la mobilitazione etnica, l’agitazione xenofoba, un africanismo ristretto, una retorica anti-minoranza. L’eredità non-razziale del SACP è stata promossa dal chiaro appello della Carta della Libertà, secondo cui il Sudafrica appartiene a tutti coloro che lo abitano. È stato sancito nella nostra Costituzione democratica del 1996. Difendiamo questa eredità con la stessa determinazione di sempre.
Questi capisaldi della strategia e della pratica del Partito hanno gettato le basi per tutti gli altri importanti contributi pionieristici del Partito comunista.
Un secolo di lotta comunista multisettoriale
Sono stati i quadri del Partito ad essere in prima linea nell’organizzazione di sindacati militanti, a partire dagli anni ’20, organizzatori dell’ICU come i comunisti Jimmy La Guma e Johnny Gomas, attraverso gli anni ’30 e ’40, con Ray Alexander, JB Marks, e fino agli anni ’50, Billy Nair, Moses Mabhida, Harry Gwala, Liz Abrahams e migliaia di altri. È importante notare che questa sindacalizzazione includeva l’organizzazione in quelle industrie in cui erano impiegate molte donne, e molte donne leader del movimento di liberazione hanno imparato la loro politica e come organizzare la rivoluzione in questi sindacati.
Negli anni ’20 e ’30, furono i comunisti Josie Mpama e Edwin Mofutsanyana a organizzare nelle borgate le lotte per la casa. Negli anni ’40 e ’50 Dora Tamana organizzò cooperative, orti comunitari, assistenza all’infanzia e organizzazione femminile negli insediamenti informali di Cape Flats. Da Josie Mpama, attraverso Dora Tamana, una linea di discendenza diretta va a Matthew Goniwe, che fu in prima linea nella costruzione di organi di potere popolare, i proto-soviet sudafricani, mentre il regime dell’apartheid veniva respinto con continue rivolte di massa fino agli anni Ottanta.
Negli anni ’20, TW Thibedi, un membro fondatore del Partito, gestì scuole serali per i lavoratori, con corsi di alfabetizzazione combinati con l’educazione politica ed economica. Negli anni ’40 i comunisti furono determinanti nella formazione dell’Associazione culturale di Zoutpansberg, con una scuola serale che contava circa 3.000 partecipanti. Queste tradizioni sono state portate avanti dai comunisti nella prigione di Robben Island negli anni ’60 e da un gruppo di commissari nei campi MK in esilio, tra cui Cde Mzala.
Anche la Young Communist League (YCL) celebrerà presto il suo centenario. L’organizzazione giovanile di sinistra è stata un altro ruolo pionieristico del movimento comunista nel nostro Paese. Eddie Roux è stato uno dei fondatori della YCL. È diventato un botanico di fama mondiale e oggi è riconosciuto a livello internazionale, anche se non tanto nel nostro Paese, come uno dei primi contributori a quello che è diventato l’ecosocialismo marxista. All’inizio degli anni Venti l’YCL era attivo sul fronte antimilitarista, diffondendo pamphlet nelle scuole bianche, incoraggiando gli studenti a non arruolarsi nell’esercito sudafricano, anticipando così di circa sette decenni l’importante campagna End Conscription degli anni Ottanta. L’YCL fu rianimato attivamente all’inizio degli anni Quaranta e divenne una formazione chiave per molti di coloro che divennero rivoluzionari di spicco, tra cui Joe Slovo e Ahmed “Kathy” Kathrada.
Generazioni di comunisti sono state pioniere del giornalismo progressista. Ricordiamo Ruth First, Govan Mbeki e molti altri. La tradizione del giornalismo d’inchiesta, così importante per scoprire il saccheggio su scala industriale degli anni Gupta, ha radici nel ruolo svolto dai giornalisti comunisti che lavoravano in giornali come il Guardian negli anni Cinquanta.
Proprio il mese scorso, sono stati i compagni del SACP a organizzarsi all’interno degli ostelli del Gauteng, contrastando attivamente il tentativo di fomentare la mobilitazione etnica per i saccheggi. Hanno seguito le orme di Alpheus Maliba, che negli anni ’30 e ’40 combinava il lavoro rurale con l’organizzazione negli ostelli di Johannesburg.
Fu il nostro futuro segretario generale, Yusuf Dadoo, leader del Congresso indiano del Transvaal, a svolgere un ruolo chiave nella Campagna di resistenza passiva del 1946-8 contro la legislazione razzista diretta contro la comunità indiana sudafricana. In migliaia sfidarono le leggi razziali sull’occupazione delle terre.
Nelson Mandela, nella sua autobiografia, affermerà in seguito che questa campagna di resistenza antirazzista da parte delle comunità indiane in Sudafrica fu l’ispirazione per la Defiance Campaign guidata dall’ANC nel 1952. Essa segnò il primo decisivo passaggio dell’ANC a una linea di massa, l’inizio dell’Alleanza del Congresso e l’approfondimento del non-razzialismo attivo nella lotta.
In 100 anni di lotta comunista, i quadri del nostro Partito sono stati i primi a sacrificarsi. Contiamo migliaia di martiri. Johannes Nkosi, assassinato nel 1930 mentre si rivolgeva a un comizio anti-pass del Partito. Vuyisile Mini, sindacalista, compositore di canzoni, impiccato alla forca in Pretoria. La sua profonda voce di basso è stata messa a tacere. Le sue canzoni continuano a vivere. Basil February, comunista, soldato dell’MK, morto sul campo di battaglia nella campagna di Wankie del 1967. Ahmed Timol, comunista, insegnante, torturato a morte dalla polizia di sicurezza dell’apartheid. Nel 1976 ci fu un’eccezionale generazione di giovani comunisti coraggiosi, tra cui Petros Linda Jobane (“Gordon Dikebu”), il Leone di Chiawelo, che circondò e tenne testa da solo alla polizia dell’apartheid fino alla sua ultima pallottola. Ruth First, comunista, intellettuale rivoluzionaria, uccisa da un pacco bomba dell’apartheid. Chris Hani, segretario generale del Partito, assassinato il 10 aprile 1993. E, tragicamente, l’elenco dei martiri del Partito continua oltre il 1994, oltre la svolta democratica. Bomber “Radioman” Ntshangase, oppositore senza paura della corruzione all’interno del nostro movimento e del governo di Mpumalanga, è stato assassinato da mani ignote.
È a partire da questa storia, da questa eredità di 100 anni di teoria e di lotta, che dobbiamo affrontare la nostra realtà immediata, compresi gli ultimi eventi di luglio
La cospirazione controrivoluzionaria di luglio
La violenza e i disordini insurrezionali dell’inizio di luglio sono stati pianificati e promessi, a volte sfacciatamente, da coloro che ne sono stati artefici. È stata al tempo stesso ben finanziata, relativamente professionale e irrimediabilmente inetta dal punto di vista strategico. I complottisti hanno deliberatamente innescato e poi perso il controllo su un’ondata di saccheggi di massa, soprattutto da parte degli strati più emarginati della nostra società. Ma i centri commerciali non erano l’obiettivo principale della cospirazione. Il vero obiettivo era quello di paralizzare le principali arterie di trasporto, in particolare il corridoio N3 dell’Africa meridionale e del sud, di bloccare il porto di Durban, di strangolare il Gauteng [3], di eliminare l’elettricità, gli oleodotti, le infrastrutture di comunicazione e di bruciare i depositi di cibo.
Ci sono stati messaggi e dibattiti contrastanti sulla natura degli eventi di luglio. Si trattava di un’insurrezione pianificata? O opera di bande criminali in stile mafia? O un’opportunistica ondata di saccheggi di massa, come se ciò che è accaduto non coinvolgesse tutte queste dimensioni.
Come SACP riteniamo che sia importante capire che gli eventi in corso avevano tre livelli generali di partecipazione. C’era un nucleo cospirativo interno. Gli indizi indicano la forte probabilità che la pianificazione e l’innesco del tentativo di rivolta provengano da elementi rinnegati (del passato e forse anche attuali) dell’intelligence e dei circoli collegati. È da questa cerchia ristretta che sembrano essere stati selezionati gli obiettivi strategici chiave.
È da notare che le prime azioni non hanno comportato saccheggi, ma piuttosto incendi dolosi, in particolare la distruzione di circa 40 camion sulla N3 per bloccare questa arteria critica. È improbabile che il nucleo cospirativo interno sia stato direttamente coinvolto in questi attacchi incendiari, che hanno seguito lo schema di precedenti attacchi criminali sulla N3 diretti contro camionisti non sudafricani. È molto probabile che il camion di luglio e gli altri attentati incendiari siano stati compiuti dagli stessi elementi criminali, o da elementi simili, associati ai cosiddetti “business forum” di stampo mafioso, che cercano di accaparrarsi le imprese esistenti. Questi elementi criminali sono stati particolarmente attivi nel KZN [4].
Tutto ciò suggerisce, come crediamo da tempo, l’esistenza di connessioni attive tra controrivoluzionari politici e reti criminali.
Infine, il terzo strato sociale coinvolto negli eventi di luglio è rappresentato da coloro che hanno partecipato all’ondata anarchica di saccheggi di massa. I saccheggi di massa non avevano un’agenda politica o affaristica e sono stati compiuti in gran parte (ma non esclusivamente) dai poveri emarginati. Tuttavia, i saccheggi di massa sono stati chiaramente fomentati da una capacità relativamente professionale dei social media, collegata all’ANC e ad altre reti.
Nonostante una capacità di intelligence compromessa (deliberatamente neutralizzata da anni di cattura dello Stato), alcuni dei piani più pericolosi sono stati anticipati dalle forze di sicurezza. Ma la vulnerabile N3 è stata chiusa per circa cinque giorni, utilizzando strategie ben pianificate che erano state provate in precedenza negli attacchi xenofobi contro i camionisti non sudafricani.
I saccheggi di massa sono stati attivamente incoraggiati per mettere a dura prova le forze di sicurezza, per creare una cortina fumogena per gli obiettivi insurrezionali più duri e per conquistare la simpatia popolare. Con i livelli di crisi della disoccupazione e della povertà, con l’insicurezza alimentare che è una realtà per milioni di sudafricani, è stato possibile fomentare un saccheggio opportunistico che aveva poco a che fare con qualsiasi agenda politica, e con coloro che facevano il saccheggio che a malapena avanzavano richieste politiche nel corso del saccheggio.
Innescare questo saccheggio distruttivo era destinato a fallire come strategia di lungo corso. Mentre i centri commerciali venivano sventrati, mentre i negozi all’angolo venivano distrutti, il cibo e altri beni di prima necessità si esaurivano rapidamente. Invece di conquistare la simpatia popolare per i loro obiettivi politici, i complottisti dell’insurrezione, che per un decennio e più erano stati coinvolti in saccheggi globalizzati di alto livello su scala industriale, si sono trovati rapidamente in difficoltà di fronte a una massiccia e diffusa mobilitazione popolare.
I lavoratori e il movimento sindacale hanno capito che si stavano perdendo posti di lavoro, molti dei quali in modo permanente. Non c’è stato alcun sostegno da essi. L’industria dei taxi, nonostante la sua tendenza alla volatilità, ha compreso il suo rapporto simbiotico con i centri commerciali e ha svolto un ruolo attivo nella difesa di questi beni commerciali. I lavoratori dell’informazione che operano all’interno e intorno ai centri commerciali sono stati vittime collaterali. I leader tradizionali conservatori si sono espressi e hanno cercato di dissociare se stessi e i loro sostenitori da qualsiasi mobilitazione etnica sia per l’avventurismo politico legato a Zuma sia per i saccheggi. Le formazioni religiose hanno condannato i saccheggi di massa e l’attacco allo Stato di diritto.
Sono stati soprattutto i forum di polizia locale, le guardie di quartiere, le reti di azione comunitaria sorte nel bel mezzo della pandemia di Covid-19 e i gruppi spontanei di volontari a proteggere i quartieri e i beni della comunità. A volte si sono verificati alcuni casi di razzismo e casi di comunità di classe medio-bassa (bianchi e neri) che hanno escluso i loro vicini di insediamento informale più emarginati.
In alcune località si sono verificati brutti episodi di vigilantismo criminale, che spesso si giustificavano sulla base delle paure delle minoranze, tipicamente fomentate, a loro volta, da rabbiosi attacchi razziali anti-minoranza del tipo di quelli che provengono dalla cricca dei dirigenti delle organizzazioni scissioniste dell’ANC e altrove. Esiste una relazione simbiotica tra una serie di sciovinismi razzisti e un’altra. Questo, ovviamente, non giustifica minimamente la violenza dei vigilanti, e i responsabili devono affrontare la giustizia. Il SACP riconosce il ruolo svolto, in particolare a Phoenix, dalla YCL, che ha difeso il non-razzialismo, lo Stato di diritto e la nostra Costituzione democratica in una situazione molto difficile.
Ma le caratteristiche negative non sono state la realtà dominante della risposta a livello nazionale.
Al di là dell’asse critico KZN-Gauteng, i complottisti dell’insurrezione non sono riusciti a innescare un’espansione dei saccheggi di massa in altre province. In generale, le strutture dell’ANC in tutte le altre province hanno mantenuto la loro posizione, in parte per principio e in parte per ragioni regionali. Nel caso di sacche di elementi simpatizzanti della RET che avrebbero potuto essere tentati di fomentare il caos nelle loro province, il contraccolpo popolare contro i saccheggi in KZN e Gauteng sarebbe stato un chiaro freno. In Parlamento, il Presidente Ramaphosa ha unito attivamente tutti i partiti politici tranne uno, e nella legislatura del Western Cape tutti i partiti politici (compreso quello in questo caso) hanno sostenuto la difesa della democrazia e della Costituzione e condannato i saccheggi e la violenza.
Quali erano gli obiettivi dei cospiratori? Ovviamente, l’innesco di un’azione presumibilmente preparata da tempo è stata l’incarcerazione di Jacob Zuma. Il primo obiettivo [dei cospiratori] era quello di impedire che andasse in prigione e, quando sono stati colti di sorpresa dalla sua incarcerazione di mercoledì prima di quanto avessero previsto, hanno cercato di ottenere il suo immediato rilascio.
Il fatto di basare la cospirazione sulla persona di Zuma è stato un altro punto debole. A seguito di anni di esposizione del livello di saccheggio del patrimonio statale e dell’evidente doppiezza di Zuma, al di fuori del KZN, e persino nel KZN, l’appeal popolare di Zuma è diminuito in modo massiccio. Anche la causa di Zuma non è stata ben servita dalla cerchia ristretta e screditata di accoliti, portavoce e ricchi rampolli che lo circondano.
Colti di sorpresa dal contraccolpo contro il saccheggio di massa, alcuni nel campo della cospirazione hanno cercato di fare marcia indietro. Ci sono state contestazioni disperate, come quella di uno dei figli [di Zuma] che ha invitato color che saccheggiavano a “farlo con attenzione e in modo responsabile”. Un appello ridicolo che cercava contemporaneamente di prendere le distanze e di sostenere il tweet della sorella che aveva retwittato i video dei camion in fiamme sulla N3. Un personaggio caduto in disgrazia, che apparentemente agiva per conto dei veterani dell’MK, i quali in precedenza si erano vantati che non avrebbero mai permesso a Zuma di andare in prigione, ora ha consegnato con vanagloria un ultimatum di 14 giorni al presidente Ramaphosa affinché rilasciasse Zuma o affrontasse qualche conseguenza non meglio specificata. È stata un’ammissione indiretta del fatto che questa rete di degenerati era all’origine del caos. Speravano di presentare uno Zuma liberato come l’unica persona in grado di riportare la pace. Ma con i saccheggi di massa nel KZN fermati dagli sforzi congiunti delle forze di sicurezza e dell’autodifesa comunitaria, anche questa carta non era praticabile.
Se la liberazione di Zuma è diventata la richiesta immediata, gli obiettivi a medio termine erano (e restano) la rimozione dell’ANC guidata da Ramaphosa e quindi della presidenza di Ramaphosa, l’inversione dei progressi compiuti all’interno dell’ANC per fare pulizia e l’arresto del sistema giudiziario penale che sta lentamente prendendo piede nell’affrontare il crimine e la corruzione legati alla cattura dello Stato. Sebbene questa cospirazione abbia perso molto terreno nel corso del mese di luglio (ma con costi enormi per il nostro Paese, in particolare per la classe operaia e i poveri), dobbiamo rimanere estremamente vigili e uniti nella difesa della democrazia, della Costituzione e dello Stato di diritto.
Ma dobbiamo andare oltre la vigilanza. Dobbiamo chiederci come sia stato possibile tutto questo. Come è potuto accadere, a 27 anni dalla svolta democratica, tutto questo?
Ci sono tre fattori interrelati: la degenerazione del nostro movimento di liberazione, uno Stato indebolito e l’incapacità di usare la svolta democratica del 1994 come piattaforma per guidare una seria rivoluzione democratica nazionale, con la conseguente crisi persistente di livelli estremi di povertà, disuguaglianza, disoccupazione e violenza cronica.
La degenerazione del movimento di liberazione dell’ANC
La pericolosa cospirazione insurrezionale è emersa dal suo nido all’interno della stessa ANC. Tuttavia, nel dire questo dobbiamo essere estremamente chiari su una cosa. Gran parte dei media presenta i cospiratori come una fazione dell’ANC (la “fazione JZ”) contro un’altra (la fazione “CR”). Questo fa direttamente il gioco dei cospiratori, perché è così che cercano di presentare la loro lotta.
Rifiutiamo questa caratterizzazione assolutamente semplicistica. Il cosiddetto raggruppamento “JZ” o sedicente “RET” è in realtà una rete di elementi corrotti e opportunisti, che rischiano la galera e che fanno affidamento su forzieri accumulati con il saccheggio delle risorse pubbliche. Non c’è un programma politico serio che li unisca, al di là dell’incantesimo rituale e scarno di slogan non elaborati, vuoti e demagogici. Sono quelli che un politico britannico di sinistra ha descritto come “rivoluzionari”, coloro che conducono battaglie tra fazioni a colpi di slogan decorativi e demagogici nei congressi, invece di avere un dibattito serio sulle opzioni politiche, sulla strategia e sulla tattica. Queste forze hanno purtroppo volgarizzato a tal punto le parole “trasformazione economica radicale” che, sebbene abbiamo bisogno di una trasformazione economica radicale, sarebbe meglio trovare una terminologia diversa.
Per quanto riguarda il SACP, non facciamo certo parte di una “fazione RET”, ma nemmeno di una presunta fazione CR. Sosteniamo la leadership dell’ANC guidata da Ramaphosa nella sua difesa dello Stato di diritto, della nostra Costituzione e nello sforzo di ricostruire l’ANC su una base di principio. La sosteniamo e collaboriamo con essa nella lotta per riconfigurare l’Alleanza come una forza efficace sul territorio. Ma ci riserviamo il diritto di essere critici, e in effetti lo siamo, soprattutto nei confronti della persistente timidezza nel rompere le catene di un’austerità neoliberale autoimposta che, nel bel mezzo della pandemia di Covid-19 e della distruzione di massa di vite e di sicurezza operata dalla fallita insurrezione di inizio luglio, aggrava la povertà, la disuguaglianza, la disoccupazione e la sicurezza della comunità.
Gli attuali problemi all’interno dell’ANC vanno oltre i cosiddetti “nove anni sprecati” della presidenza Zuma. Almeno dai primi anni 2000, le successive conferenze dell’ANC hanno ripetutamente rilevato con preoccupazione i crescenti livelli di corruzione interna, il fazionalismo basato sul denaro, il gate-keeping e il generale declino morale.
Ma perché si è verificata questa degenerazione? Per rispondere a questa domanda è utile comprendere la traiettoria degli eventi a partire dai primi anni Novanta.
Il contesto globale, regionale e nazionale nel periodo di transizione democratica
Come disse Marx molto tempo fa, mentre noi facciamo la nostra storia, non la facciamo “in circostanze autoselezionate”. Ricordiamo quindi, molto brevemente, il contesto globale, regionale e nazionale in cui è avvenuta la vittoria della nostra svolta democratica del 1994.
Tra il 1989 e il 1991 l’equilibrio globale delle forze è cambiato radicalmente, con il crollo dell’Unione Sovietica e del suo blocco di Paesi del Comecon. Ciò ha richiesto da parte del SACP un importante riaggiustamento non delle nostre convinzioni socialiste, ma delle nostre ipotesi strategiche su come costruire il socialismo. Ma il crollo del blocco sovietico ha avuto un impatto anche sull’ANC che, almeno a partire dalla storica Conferenza di Morogoro del 1969, aveva premesso la possibilità di condurre una profonda rivoluzione nazionale democratica in Sudafrica all’esistenza di un blocco di Paesi socialisti solidali. Come dichiarato apertamente dall’ANC, era un blocco socialista che controbilanciava l’imperialismo. Si trattava di un imperialismo che sosteneva pienamente il regime dell’apartheid e che considerava l’ANC e Nelson Mandela come terroristi – fatti che oggi le élite al potere a Washington e Londra preferirebbero che dimenticassimo.
Nella nostra regione, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, le promesse iniziali e i guadagni sostanziali in termini di assistenza sanitaria e istruzione delle conquiste della liberazione nazionale in Paesi come il Mozambico e lo Zimbabwe, erano ormai spenti. Forze per procura sostenute, armate e addestrate dagli Stati Uniti e dal Sudafrica dell’apartheid, come l’Unita e la Renamo, insieme alle unità speciali dell’apartheid e alle invasioni dell’esercito su larga scala nell’Angola meridionale, hanno portato scompiglio in tutta la regione. Non dimentichiamo mai che la svolta democratica in Sudafrica è stata pagata con oltre un milione di morti nella regione dell’Africa meridionale, compresi quelli dei coraggiosi internazionalisti cubani.
La distruzione delle infrastrutture e l’aggravarsi della crisi economica in questi Paesi hanno fornito al FMI e alla Banca Mondiale il punto di ingresso per far abboccare all’amo della schiavitù del debito. Il debito su prestiti insostenibili ha portato, a sua volta, a duri programmi di aggiustamento strutturale che hanno devastato le prime conquiste economiche e sociali. L’arretramento della promessa di indipendenza si è accelerato e a sua volta è stato accelerato dalla degenerazione dei movimenti di liberazione al governo in tutta la regione.
Nel 1990, l’equilibrio delle forze a livello globale e regionale era quindi diventato meno favorevole per il movimento di liberazione sudafricano. Ma questa realtà sfavorevole era, in larga misura, l’esatto contrario della realtà sul campo in Sudafrica.
Ondate sostenute di lotta democratica semi-insurrezionale
La nostra svolta democratica del 1994 è stata alimentata da un’ondata sostenuta di lotte semi-insurrezionali che risalgono al riemergere del sindacalismo radicale all’inizio degli anni ’70, alle rivolte giovanili e studentesche del 1976 e al continuo slancio della lotta operaia e popolare. Queste lotte sono state sostenute per tutti gli anni Ottanta e, soprattutto, nel bel mezzo del processo negoziale dei primi anni Novanta. La svolta democratica del 1994 e la Costituzione del 1996 sono state il risultato di lotte di massa, non di accordi tra élite. C’erano formazioni femminili rurali e cittadine, formate in modo importante sul principio del non-razzialismo, organizzazioni civiche, sindacali con i loro consigli democratici di delegati e locali, formazioni giovanili e studentesche, organizzazioni di fede che si rifacevano alla teologia della liberazione. Era in atto una rivoluzione non solo politica ma anche culturale, con cori sindacali e poeti operai. Gli attivisti diventavano artisti, gli artisti diventavano attivisti, producendo manifesti e magliette. Fiorirono i giornali comunitari. In un susseguirsi di stati di emergenza, assassinii e detenzioni di massa, ondate su ondate di mobilitazione operaia e popolare sono state sostenute.
Nel corso di queste rivolte popolari, l’ANC e il SACP si raggrupparono e svolsero sempre più ruoli di primo piano. Perseguendo una strategia di guerra popolare, le unità dell’MK (vere e proprie unità dell’MK, è importante sottolinearlo) si integrarono nelle rivolte di massa e rafforzarono la capacità delle lotte popolari di difendersi di fronte all’intensificazione del terrore scatenato dal regime dell’apartheid, non da ultimo nel bel mezzo del processo negoziale dei primi anni Novanta. Senza questa presenza dell’MK e senza le Unità di autodifesa, i campi di sterminio delle Midlands del Natal, dell’East Rand e del Triangolo del Vaal sarebbero stati ancora più terribili.
Sempre più spesso, nel corso degli anni ’80, queste lotte hanno reso le comunità popolari “ingovernabili” (nel linguaggio dell’epoca), cioè ingovernabili dal regime dell’apartheid. In questo vuoto, sono emersi gli organi di base del potere popolare – comitati di strada, unità di autodifesa, classi di educazione alternativa, tribunali popolari – che hanno messo in atto ciò che la Carta della Libertà aveva prefigurato quando affermava che “Il popolo governa”. Inoltre, tendiamo a dimenticarlo, la Carta affermava chiaramente che il governo popolare non comprendeva solo la democrazia rappresentativa con una persona e un voto… ma anche, per citare direttamente la Carta: “organi democratici di autogoverno”.
Cosa è successo a tutte queste tradizioni ed esperienze? Alla luce dell’ampia risposta popolare agli eventi dell’inizio di luglio, forse è possibile riconoscere che queste tradizioni non sono andate del tutto perdute.
Allora, cosa è andato storto? Per comprendere meglio la nostra realtà attuale, è importante considerare le varie strategie e agende di classe in gioco dalla fine degli anni Ottanta e negli anni Novanta. Non dobbiamo mai essere timidi nel rivedere criticamente i nostri risultati passati. Ma allo stesso modo non dobbiamo mai immaginare che la lotta di classe sia un assolo, che sia sufficiente desiderare un risultato favorevole perché questo diventi realtà. Allo stesso modo, dobbiamo guardarci dal rovescio della stessa medaglia: l’evocazione disfattista dell'”equilibrio delle forze” che si suppone renda futile qualsiasi lotta seria per far retrocedere l’imperialismo e il capitalismo.
Agende strategiche concorrenti
Negli anni Novanta, per l’imperialismo, con la scomparsa del blocco sovietico e la fine della Guerra Fredda, il ruolo del regime dell’apartheid come poliziotto regionale non era più necessario. Il controllo e la subordinazione della nostra regione, con le sue ricche risorse minerarie in particolare, potevano ora essere esercitati prevalentemente attraverso il potere economico, in particolare dominando la politica macroeconomica e facendo leva sull’indebitamento. Con la marea montante dell’opposizione popolare all’apartheid, il regime è stato sottoposto a crescenti pressioni da parte dei circoli imperialisti di Washington e Londra, per aprire negoziati con l’ANC al fine di evitare una sconfitta totale.
Le forze imperialiste non sono rimaste inerti mentre la transizione negoziale era in corso qui in Sudafrica. Istituzioni come il FMI e la famigerata Goldman Sachs, con sede negli Stati Uniti, sono state attive con i loro metodi. Durante i primi e la metà degli anni Novanta hanno attivamente reclutato personalità selezionate dell’ANC per periodi di formazione. La maggior parte delle figure di spicco dell’ANC che hanno poi occupato posizioni di rilievo nella Banca Centrale e nel Ministero del Tesoro sudafricano si sono laureate in queste “scuole di perfezionamento” di Washington e New York. Le conseguenze per il nostro Paese, e soprattutto per la classe operaia e i poveri, sono state disastrose. Molti di questi laureati occupano ancora oggi i livelli più alti della Reserve Bank e del Tesoro. Si è fatto un gran parlare delle politiche di impiego dei quadri dell’ANC. Ma che dire del dispiegamento neoliberale di quadri progettato al di fuori del nostro Paese?
Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, il capitale monopolistico sudafricano consolidato condivideva le stesse prospettive strategiche generali del Nord imperialista. A causa delle sanzioni internazionali imposte al Sudafrica dell’apartheid e delle misure difensive adottate dal regime in risposta, tra cui l’imposizione di beni prescritti e di rigide norme di controllo delle transazioni, il capitale monopolistico sudafricano si è trovato in gran parte imbottigliato all’interno del Paese.
Questo era un periodo in cui le loro controparti globali e i loro rivali aziendali stavano guidando un’ondata accelerata di globalizzazione finanziarizzata alla ricerca di mega-profitti nelle economie a basso salario di una Cina appena aperta, in altre parti dell’Asia e successivamente nell’Europa centrale e orientale. Il capitale monopolistico sudafricano era in gran parte tagliato fuori da questa globalizzazione che massimizzava i profitti. Essi erano alla disperata ricerca di un accordo negoziale che prevedesse la rimozione delle sanzioni e la possibilità di disinvestire su larga scala fuori dal Paese. Inutile dire che la motivazione non era una conversione sulla via di Damasco al non-razzialismo e alla democrazia.
Mentre si profilava la prospettiva di una maggioranza elettorale dell’ANC, il capitale monopolistico locale era ansioso di coltivare una nuova élite politica legata all’ANC. È importante ricordare che quello che oggi è noto come Black Economic Empowermen (BEE), è stato di fatto inizialmente avanzato dal capitale monopolistico sudafricano. Era il loro programma prima che diventasse politica ufficiale del governo. Tra i primi a muoversi in questa direzione c’è stata Anglo-American. Ha venduto African Life e una serie di attività industriali, confezionate come Johnnic, a beneficiari neri. Anche l’imprenditoria afrikaner si è mossa rapidamente. Il dottor Nthato Motlana, che era stato respinto nell’affare Anglo, si sentì dire dall’allora Ministro del Turismo del Partito Nazionale: “Dimentica gli inglesi. Vieni a fare affari con gli afrikaner – la nostra è Metlife“. Quest’ultimo accordo ha dato vita al NAIL, che ha attirato al suo interno una serie di altri politici neri di spicco.
Una terza agenda strategica, legata alle due precedenti, fu avanzata dall’opposizione politica all’ANC. Queste forze politiche, alquanto eterogenee, comprendevano il Partito Nazionale, il Partito Democratico (precursore del DA) e Inkatha. L’obiettivo era chiaramente quello di indebolire l’impatto trasformativo della maggioranza democratica in un Sudafrica post-apartheid e di consolidare le enclave etniche. Sebbene la nostra Costituzione democratica del 1996 sostenga uno Stato unitario, l’ombra del federalismo e dei bantustan etnici persiste nell’attuale assetto provinciale. Le conseguenze negative di ciò sono state visibili nel corso delle giornate di luglio 2021, anche all’interno della stessa ANC.
Queste erano dunque le agende strategiche attive da parte dell’imperialismo, del capitale monopolistico sudafricano e dell’opposizione politica all’ANC all’inizio degli anni Novanta.
Da parte dell’alleanza guidata dall’ANC, il Programma di Ricostruzione e Sviluppo (PSR) rappresentava la nostra agenda di trasformazione immediata e a medio termine, che guardava oltre le elezioni democratiche del 1994. Il SACP ha partecipato attivamente allo sviluppo del PSR, insieme alla COSATU [5]. Molte delle politiche settoriali del PSR in materia di alloggi, istruzione, sanità, legislazione del lavoro, ambiente ed energia sono emerse direttamente dalle lotte settoriali e dallo sviluppo delle politiche del movimento democratico di massa. Sebbene il PSR potesse essere un documento disomogeneo, rappresentava un forte impegno programmatico per un’importante trasformazione strutturale dell’economia politica sudafricana. Aveva una forte enfasi redistributiva e, cosa fondamentale, prevedeva che il programma non fosse solo “centrato sulla gente”, ma anche “guidato dalla gente”. Ma fin dall’inizio fu chiaro che all’interno della leadership dell’ANC c’erano opinioni diverse. Alcuni lo hanno tranquillamente denigrato come “dilettantesco”. Altri cercarono di annacquarlo sostenendo che i suoi obiettivi distributivi potevano essere raggiunti solo garantendo prima la crescita economica (cioè la ricerca del profitto capitalistico).
All’indomani della storica svolta democratica dell’aprile 1994 e della schiacciante maggioranza dell’ANC, queste differenze emergenti divennero più evidenti. L’editoriale del numero di maggio 1994 dell’organo ufficiale dell’ANC, Mayibuye, era, implicitamente, un appello alla smobilitazione popolare. Citava uno storico conservatore della Rivoluzione francese (de Tocqueville) che avvertiva della necessità di smorzare le aspettative popolari e prometteva piuttosto debolmente che “a giugno si decideranno gli stanziamenti del bilancio. A quel punto si potrà iniziare in modo modesto…”. Al contrario, la copertina del numero di maggio di The African Communist recitava “A luta continua!”. – il che significava (come spiegava l’editoriale) non una lotta insurrezionale contro il nuovo Stato guidato dall’ANC, ma piuttosto che la conquista elettorale era un’importante ma limitata testa di ponte per una seria trasformazione socio-economica. Ciò richiedeva sia uno sforzo sostenuto da parte dello Stato che una lotta popolare.
Il progetto di classe del 1996
Le divisioni sempre più profonde sono diventate ancora più evidenti con l’annuncio da parte del Ministero del Tesoro di una terapia d’urto autoimposta sotto forma del pacchetto macroeconomico neoliberale GEAR nel 1996. Il GEAR è stato imposto all’ANC e ai suoi partner dell’alleanza senza alcun dibattito o discussione (cosa per la quale Mandela si scusò in seguito).
Un’aggiunta chiave della strategia GEAR da parte del gruppo allora dominante all’interno dell’ANC e del governo fu anche quella di utilizzare attivamente le risorse e le pressioni statali per creare una presunta “classe capitalista nera” a sé stante. GEAR e l’elite del BEE [6] erano, in effetti, l’adozione dell’agenda neoliberale ed elitaria del capitale monopolistico, ma configurata ora come politica ufficiale del governo e della ANC. La promozione attiva dei “capitalisti neri” mirava anche a trasformare la composizione di classe, la moralità e l’orientamento del movimento della ANC e a emarginare la classe operaia e i poveri.
Nel 2002, un ministro di alto livello dell’ANC (che probabilmente ora si pente di averlo detto) ha affermato che “i neri non dovrebbero vergognarsi di essere schifosamente ricchi”. Un altro stretto collaboratore del Presidente Mbeki dichiarò notoriamente “non ho lottato per essere povero”. Il Presidente Mbeki all’epoca (e anche di recente) ha citato (in realtà citando erroneamente) il riformatore cinese Deng Xiaoping, secondo cui “arricchirsi è glorioso”. (In realtà, Deng non ha mai detto questo. Quello che ha detto, in un contesto cinese molto diverso di uguaglianza radicale, ma povero, è stato: “Che alcuni si arricchiscano per primi”). La sfacciata rivendicazione di quello che era un nuovo insieme di valori e la sua legittimazione in una forma così incondizionata a parole (e sempre di più nei fatti) doveva creare scompiglio all’interno dell’ANC e della società in generale.
Non possiamo comprendere la degenerazione dell’ANC nel periodo successivo al saccheggio su scala industriale degli anni della cattura dello Stato senza guardare alla metà degli anni Novanta e ai primi anni Duemila. Gli accordi d’élite, legati al BEE, sono iniziati inizialmente come azioni a debito di politici selezionati dell’ANC, lasciando i beneficiari altamente esposti a una dipendenza finanziaria compradorista e a un’affinità culturale con la visione del mondo del capitale monopolistico. Molto presto sono scoppiate tensioni tra diverse fazioni di beneficiari e aspiranti tali. Alcune di queste si sono manifestate alla conferenza dell’ANC di Polokwane del 2007, con gli aspiranti provenienti dalle province e dalla Lega giovanile dell’ANC, che si erano sentiti esclusi dalla cerchia ristretta degli accordi BEE, che ora affermavano che era il loro turno di mangiare. Sempre più spesso l’enfasi dell’accumulazione primitiva promossa dal BEE si è spostata dalle transazioni azionarie gravose al saccheggio parassitario delle risorse pubbliche, in particolare delle principali aziende di Stato.
L’assalto anti-SACP
Dov’era il SACP in tutto questo? Per capire il posizionamento del Partito, ad esempio, alla conferenza nazionale dell’ANC del 2007, è importante comprendere gli anni precedenti. Fin dall’inizio degli anni ’90 c’è stato un tentativo molto deliberato da parte dei vertici dell’ANC di emarginare, e forse anche liquidare, il SACP. Molto prima della presidenza Zuma, le risorse statali, comprese quelle dei servizi segreti, sono state impiegate contro il SACP. Si è tentato, in modo assurdo, di dipingere il programma del SACP come “insurrezionalista”, come un piano per rovesciare lo Stato democraticamente eletto. Riferendosi alla leadership del SACP, una personalità di spicco dell’ANC ha chiesto di “schiacciare la testa del serpente”. Non è stato rimproverato da nessuno dei vertici dell’ANC. (È forse giusto notare che, sebbene il Partito abbia avuto una storia travagliata con Zuma, egli non era particolarmente coinvolto nell’offensiva anti-Partito di quegli anni).
Questo a livello nazionale. Nelle province il rapporto abusivo nei confronti dei compagni del Partito era spesso più estremo. Ricordiamo queste cose ora, non per suscitare compassione, non per presentarci come vittime dispiaciute, e nemmeno per scusare i nostri errori, ma piuttosto per comprendere meglio il presente nel recente passato.
Di fronte a questa offensiva, a partire dalla metà degli anni Novanta, il SACP ha deliberatamente intrapreso due grandi sforzi, uno strategico e l’altro organizzativo.
Il progetto di classe del 1996 ha tentato di rivedere la concezione dell’ANC della Rivoluzione Nazionale Democratica, presentandola come una fase che riguardava in gran parte la “de-razzializzazione” del capitalismo esistente e non la sua completa trasformazione. Di fronte a ciò, il SACP ha rivisitato quello che era ancora un residuo di bi-fasismo [two-stageism] nel nostro pensiero. Dal Congresso del 1995 in poi abbiamo correttamente affermato che la Rivoluzione Nazionale Democratica e la lotta per il socialismo non sono due fasi separate situate in fusi orari diversi, con la presunta “normalizzazione” del capitalismo che deve essere completata prima di poter pensare al socialismo.
Almeno dal 1995 il SACP afferma che il socialismo non è solo un obiettivo futuro, ma qualcosa che deve essere costruito nelle lotte di trasformazione in tutti i luoghi chiave del potere, attivamente nel presente e come parte integrante della lotta democratica nazionale. L’effettiva prosecuzione di una rivoluzione nazionale democratica richiede un orientamento socialista attivo. Allo stesso tempo, nella realtà sudafricana, la lotta contro un sistema capitalista che antepone i profitti alle persone (e all’ambiente) deve essere condotta come parte e nel mezzo di un’ampia e popolare lotta democratica nazionale.
Sul fronte organizzativo e delle campagne, ci siamo subito resi conto che l’emarginazione del Partito, se non la sua liquidazione, sarebbe stata facile se non fossimo riusciti a costruire un Partito relativamente grande. Già dopo la nostra messa al bando, c’è stata una massiccia pressione popolare per accedere all’iscrizione al Partito, inizialmente al di là della nostra capacità organizzativa. Il nostro congresso del 1995 ha deciso di costruire quello che abbiamo definito un partito di “avanguardia di massa”. Al compimento del nostro anno solare, abbiamo certamente raggiunto una dimensione di massa senza precedenti, con oltre 300.000 iscritti. La misura in cui siamo riusciti a costruire effettivamente un significativo gruppo dirigente all’interno di questi iscritti è una sfida che riconosciamo prontamente. Ci siamo anche resi conto che non si trattava solo di una questione di dimensioni degli iscritti, ma che il Partito doveva essere un partito attivo nelle campagne elettorali. Era una risoluzione che doveva essere portata avanti, in particolare attraverso le nostre campagne dell’Ottobre Rosso.
Nel corso degli anni Novanta abbiamo anche apprezzato l’importanza fondamentale di cementare quello che chiamavamo l’asse di sinistra, il SACP e il COSATU, pur non abbandonando la partecipazione attiva all’interno della stessa ANC. Questo asse di sinistra è diventato particolarmente importante nella lotta contro la privatizzazione delle risorse statali fondamentali. È stato inoltre fondamentale per sostenere la lotta, all’interno della stessa alleanza guidata dall’ANC, contro quello che era un negazionismo genocida dell’AIDS.
Questo è stato il contesto in cui il SACP ha affrontato la Conferenza nazionale dell’ANC di Polokwane del 2007. Insieme al COSATU non ci illudevamo che una parte della base di sostegno a favore di Zuma fosse costituita da accumulatori primitivi populisti, che credevano che ora toccasse a loro mangiare. Si consideravano i “feriti che camminano”. Alcuni provenivano da province in cui era stata sperimentata gran parte della cattura dello Stato e che ora aspiravano a portare i loro sforzi sulla scena nazionale.
Se dobbiamo fare autocritica, e dovremmo farlo, non è perché non eravamo consapevoli di queste forze, ma perché abbiamo dato troppo sostegno al culto della personalità vittimizzata di Zuma. Naturalmente, la carta della vittima è stata regalata a Zuma dalla gestione inetta del suo caso. Zuma non era certo il principale beneficiario nell’ANC dell’accordo sulle armi, ma era quasi l’unico a dover affrontare accuse penali. L’incriminazione di Zuma, all’epoca, fu gestita in modo gravemente scorretto dalla leadership di Mbeki. Una discussione politica sulle ramificazioni per l’ANC del suo vicepresidente è stata bloccata nel Comitato esecutivo nazionale con la motivazione che la questione era sub judice. Allo stesso tempo, c’è stata una chiara interferenza politica sul processo giudiziario, in particolare sulla sua tempistica. La politica è stata trasformata in una questione giudiziaria, il processo giudiziario è stato politicizzato.
Nulla di tutto ciò significa che Zuma fosse innocente, è qualcosa che i tribunali devono ora decidere in ritardo. Di certo, nulla di tutto ciò giustificava il suo comportamento scandaloso durante il processo per stupro.
Tutto questo è rilevante ora perché, ancora una volta, assistiamo a tentativi di mobilitazione sulla base di un culto esagerato del vittimismo. Non possiamo permettere che la responsabilità di essersi venduti al miglior offerente, del saccheggio multimiliardario delle risorse pubbliche, dell’erosione della sovranità democratica del nostro Paese, venga oscurata presentandosi come una triste vittima di presunti complotti.
Contro questi tristi tentativi di suscitare simpatia populista, dobbiamo sempre sostenere l’esempio di Cde Chris Hani, che è stato il bersaglio di numerosi tentativi di assassinio VERI (non immaginari) e la VERA vittima dell’ultimo tentativo. Eppure, Cde Chris non si è mai presentato, né avrebbe voluto che lo ricordassimo ora come una vittima. E non era solo.
La partecipazione, per quanto eroica o meno, a una lotta collettiva nel recente passato non è ora una cambiale da reclamare contro la storia a vantaggio personale. La lotta contro il regime dell’apartheid non serviva a guadagnare punti “fedeltà” per la propria gratificazione.
“Nove anni sprecati”?
Se guardiamo al periodo successivo alla conferenza di Polokwane del 2007 e all’insediamento di Zuma come Presidente nel 2009, è importante rifiutare, o almeno sfumare, la narrazione ormai comune dei “nove anni sprecati”. Ci sono stati anni sprecati prima del 2009, e dopo il 2009 non tutto è stato uno spreco. Questo non significa affatto negare l’enorme escalation di corruzione e saccheggio delle risorse pubbliche che ha assunto una scala industriale negli anni della presidenza Zuma.
Ma ci sono stati anche alcuni progressi immediati. Il più importante è stato l’avvio del più grande programma anti-retrovirale del mondo. Nel giro di pochi anni, l’aspettativa di vita è aumentata in modo significativo. Per gran parte del primo mandato di Zuma, l’attenzione del Presidente si è concentrata su un’agenda che prevedeva la permanenza fuori dalle carceri, servendosi del sistema giudiziario penale e i servizi fiscali sudafricani. Ciò ha lasciato spazio alla sinistra al governo per fare alcuni progressi provvisori in altri settori.
Nel 2011 la sinistra è riuscita a far istituire una Commissione presidenziale di coordinamento delle infrastrutture, con l’obiettivo di superare i silos dipartimentali e promuovere progetti strategici integrati. Nell’istruzione superiore è stato consolidato il National Students Financial Scheme, c’è stata un’espansione dell’educazione tecnica e professionale e un enorme aumento degli studenti universitari. La reindustrializzazione è stata incentivata e consolidata attraverso i programmi iterativi IPAP. La nostra politica commerciale è stata rafforzata, allontanandoci dalla precedente iper-liberalizzazione e dagli sfavorevoli accordi binazionali. I programmi per l’occupazione pubblica dell’EPWP [7] sono stati potenziati, ponendo l’accento sui mezzi di sussistenza sostenibili, piuttosto che sulla tendenza a considerarli come semplici lavoratori temporanei e a breve termine da inserire in un lavoro formale retribuito largamente inesistente. In altri settori, come quello della comunicazione e della radiodiffusione, i membri del SACP che hanno ricoperto il ruolo di ministri dell’ANC hanno lottato coraggiosamente contro la cattura da parte delle imprese e il saccheggio dell’emittente pubblica da parte del capitale monopolistico, fino a quando non sono stati scaricati senza tanti complimenti come ministri.
Ma, in misura diversa, tutte queste iniziative potenzialmente trasformative hanno finito per soffrire il doppio colpo di una persistente camicia di forza macroeconomica neoliberale, da un lato, e del saccheggio predatorio, dall’altro. Senza il sostegno del bilancio, sia la spinta all’industrializzazione che i programmi di occupazione pubblica non hanno mai potuto raggiungere una scala sufficiente, anche se, nel caso di questi ultimi, il Piano di Sviluppo Nazionale prevedeva un massiccio aumento anticiclico in caso di crescita debole e scarsa creazione di posti di lavoro formali.
I primi successi nella realizzazione di un importante programma di costruzione di infrastrutture strategicamente integrate sono stati colpiti dai processi di appropriazione dello stato da parte dei privati avvenuti nelle principali aziende di Stato (Eskom, Transnet, Prasa) la cui spesa per le infrastrutture e le cui capacità ingegneristiche e professionali erano fondamentali per la realizzazione del programma. La stretta di bilancio sulla spesa infrastrutturale del settore pubblico, il saccheggio delle risorse delle imprese statali, l’inserimento nelle gare d’appalto di ogni sorta di intermediari improduttivi o inesperti, legati alla politica, hanno ingolfato i progetti di costruzione delle infrastrutture. Ha persino portato al fallimento di molte aziende leader e alla perdita di molti posti di lavoro.
Ci sono lezioni che tutti noi, compreso ovviamente il SACP, possiamo trarre da questa esperienza. Dobbiamo continuare ad auto-interrogarci sulle nostre responsabilità e debolezze. Ciò che è innegabile, tuttavia, è che almeno a partire dal 2016, è stato il SACP, insieme ad alcuni coraggiosi informatori interni all’ANC, ad essere in prima linea all’interno dell’alleanza ANC nella lotta contro la cattura dello Stato da parte di interessi privati. In un momento critico in cui la leadership dell’ANC (e anche quella del Cosatu) era spesso bloccata da divisioni interne, è stato il SACP a parlare con forza e coerenza contro la cattura dello Stato.
Che fare?
Quali sono ora i compiti che il SACP deve affrontare nelle lotte intrecciate per la ricostruzione di un movimento popolare nazionale, per l’avanzamento, l’approfondimento e la difesa di una rivoluzione nazionale democratica e per l’avanzamento verso il socialismo?
Costruire la capacità sociale della classe operaia e popolare
Il capitalismo sopravvive non perché non sia costantemente immerso in crisi da lui stesso create, ma perché trasforma le sue crisi in crisi per le masse popolari e per la sostenibilità del nostro ecosistema.
Le crisi del capitalismo pesano sulle comunità operaie e povere con i licenziamenti e la disoccupazione di massa di lunga durata che devastano le comunità. La vita quotidiana della classe operaia e dei poveri è appesantita da trasporti pubblici disfunzionali che consumano un terzo dei guadagni delle famiglie, dall’insicurezza alimentare, dalla mancanza di una sicurezza comunitaria di base, che colpisce soprattutto le donne e i bambini, da uno stato d’animo di profonda alienazione tra i giovani che non hanno alcun senso del futuro.
L’idea che “peggio vanno le cose per la classe operaia e i poveri, meglio è per la rivoluzione” è una terribile falsità. In queste condizioni di crisi sociale, i membri delle comunità hanno poco tempo e poche risorse per organizzarsi, imparare e discutere. Le comunità potrebbero rivoltarsi l’una contro l’altra, la violenza di genere rischia di diventare una spirale e si assiste alla distruzione insensata di proprietà pubbliche per le quali non c’è alcun senso di proprietà o responsabilità comunitaria.
Per questo motivo, avanzare, approfondire e difendere la Rivoluzione Democratica Nazionale e costruire la capacità per il socialismo deve, in primo luogo, essere finalizzato a costruire la capacità sociale, la resilienza sociale e i mezzi di sussistenza sostenibili.
Capacità sociale per il socialismo
Ecco perché il SACP si unisce a un’ampia schiera di forze progressiste che ora chiedono l’introduzione di un sussidio per il reddito di base universale. Non è una panacea. Non è una pallottola d’argento. Ma, se fissato a un livello efficace, può fare una differenza drammatica. Se abbiamo qualche dubbio su questo, allora non stiamo imparando nulla dai primi giorni di luglio. Al di là e al di sotto del sinistro zoccolo duro di aspiranti insurrezionalisti, c’erano elementi di una rivolta alimentare.
Allo stesso modo, dobbiamo notare la disperata corsa ad accaparrarsi la pietosa e temporanea sovvenzione speciale di 350 Rand per il Covid-19, che ora è stata introdotta nuovamente e prorogata fino alla fine di marzo 2022. Il SACP si è battuto per la continuazione di questo sussidio, perché diventi la base per l’introduzione di un sussidio universale per il reddito di base, come parte di un reddito minimo garantito e di uno sforzo più ampio per istituire un sistema di sicurezza sociale completo. E questo non deve avvenire a scapito di tagli ad altri bilanci disperatamente necessari.
I programmi pubblici per l’occupazione, soprattutto quelli rivolti ai giovani, devono ora essere drasticamente incrementati. Un livello di disoccupazione giovanile del 60% e oltre significa che stiamo vivendo in una realtà totalmente insostenibile. Non possiamo affidarci a un mercato del lavoro capitalista e disfunzionale per risolvere il problema. Ci sono milioni di disoccupati sudafricani disposti e in grado di lavorare e ci sono vaste aree di lavoro socialmente necessarie (assistenza all’infanzia, manutenzione delle infrastrutture delle township, coaching sportivo nelle township e nelle scuole rurali, lavoro di assistenza sanitaria comunitaria, sicurezza della comunità, assistenza alle donne maltrattate, orti comunitari, costruzione della resilienza ambientale). Il mercato del lavoro capitalista, che privilegia i profitti rispetto alle persone, non è neanche lontanamente in grado o disposto ad affrontare questa enorme sfida.
L’avanzamento, l’approfondimento e la difesa di una seconda fase più radicale della nostra transizione democratica, la Rivoluzione Democratica Nazionale, sono diventati più urgenti di fronte alla pandemia di Covid-19 che ha aggravato gli alti livelli di disoccupazione, povertà e disuguaglianza preesistenti e la relativa crisi della riproduzione sociale che si riflette in molte famiglie che faticano a mantenersi. Negli ultimi decenni, il SACP ha promosso una vasta gamma di campagne di trasformazione economica e di sviluppo sociale più ampio. Molte di queste campagne della classe operaia rimangono importanti per espandere la nostra democrazia, in linea con l’obiettivo strategico di approfondire le basi per un’avanzata verso una transizione socialista.
È fondamentale, ad esempio, intensificare la campagna per la trasformazione del settore finanziario, non solo per mettere le banche e le altre istituzioni di servizi finanziari al servizio del popolo ma, come imperativo chiave della trasformazione e dello sviluppo nazionale, per costruire settori bancari statali e cooperativi in via di sviluppo. Dobbiamo smonopolizzare e diversificare la partecipazione della proprietà nel settore finanziario. Attualmente il settore bancario, ad esempio, è dominato da oligopoli, poche banche commerciali guidate dal profitto.
Allo stesso modo, dobbiamo continuare a spingere con determinazione lo sviluppo costituzionale e legislativo, altre misure esecutive e la mobilitazione popolare affinché lo Stato acceleri la ridistribuzione delle terre per consentire ai sudafricani di accedere alla terra su base equa. La ridistribuzione della terra deve dare priorità all’uso produttivo della terra, per costruire mezzi di sussistenza sostenibili e contribuire all’eliminazione della fame e della povertà, e garantire alloggi dignitosi basati su un programma integrato di insediamento umano e industrializzazione per affrontare la disoccupazione. Anche la campagna per ottenere l’accesso all’acqua e ai servizi igienici per tutti è più che mai cruciale.
Mentre i dipendenti pubblici continuano a impegnarsi con il governo sul salario sociale, a sostegno dell’impegno il SACP chiede l’istituzione di un programma di alloggi a prezzi accessibili e di programmi di istruzione e assistenza sanitaria che possono essere resi possibili da un uso creativo dei fondi pensione! Abbiamo bisogno di un passo avanti più deciso per rendere l’assistenza sanitaria di qualità per tutti una realtà attraverso l’assicurazione sanitaria nazionale.
Nel concentrarsi sulla costruzione di mezzi di sussistenza sostenibili, occorre prestare molta più attenzione all’economia solidale, al sostegno alle cooperative e ai lavoratori del settore informale. I commercianti del settore informale sono stati tra i più colpiti dagli eventi di luglio. Ma le loro sfide sono continue, sia che debbano affrontare la xenofobia opportunistica, sia che debbano affrontare le continue vessazioni da parte della polizia e dei funzionari comunali, compresa la confisca delle loro merci.
Il SACP è profondamente preoccupato dall’annuncio del governo che i beni saccheggiati, in particolare gli alimenti non deperibili, saranno distrutti. Ovviamente non dobbiamo tollerare i saccheggi, ma il cibo non deperibile confiscato dovrebbe essere ricircolato in modo responsabile attraverso un’ampia gamma di organizzazioni non profit già attivamente impegnate nel fornire sostegno alle comunità emarginate colpite dall’insicurezza alimentare.
Costruire la capacità organizzativa
La costruzione della capacità sociale deve andare di pari passo con la costruzione della capacità organizzativa.
Ciò significa che il SACP stesso deve rivedere la propria capacità organizzativa. Siamo diventati un importante partito di massa, ma siamo sufficientemente radicati nelle lotte quotidiane della classe operaia e dei poveri? Un compito fondamentale è ora quello di costruire un numero significativo di quadri efficaci all’interno della nostra ampia membership, quadri in grado di svolgere un ruolo di avanguardia non settario, ma attivo, nelle loro comunità, nei loro luoghi di lavoro e di studio.
Il movimento sindacale è stato sventrato dalla disoccupazione, dall’intermediazione di manodopera e dall’informalizzazione. Queste realtà hanno costretto i sindacati sulla difensiva e persino alla competizione interna e alla frammentazione. Il Cosatu e il più ampio movimento sindacale devono essere ricostruiti, l’unità d’azione deve essere guidata e i legami critici tra lavoratori formali e informali, tra il luogo di lavoro e le lotte comunitarie devono essere forgiati.
L’Alleanza deve essere riconfigurata in particolare per costruire una presenza attiva sul territorio.
Occorre sostenere la nascita di reti di azione comunitaria di fronte alla pandemia di Covid-19, l’organizzazione di orti, la distribuzione di cibo e molto altro. Come SACP dobbiamo imparare da loro e stare in mezzo a loro, ma in modo non settario. Lo stesso vale per la miriade di reti di volontariato di base, spesso non-razziali, per la sicurezza della comunità, emerse di fronte al tentativo di insurrezione contro la nostra democrazia.
Costruire la capacità di sviluppo dello Stato
La capacità di sviluppo delle nostre istituzioni pubbliche è stata seriamente indebolita sia dalla cattura dello Stato sia da un’austerità dissennata, autoimposta e autodistruttiva. Nel bel mezzo dei saccheggi di massa di inizio luglio, il Business Day [8] si è improvvisamente lamentato del fatto che il Sudafrica avesse meno polizia di 10 anni fa, mentre c’erano 8 milioni di sudafricani in più. Ma solo la settimana prima, lo stesso Business Day aveva elogiato la fermezza del Ministero del Tesoro nell’attenersi al suo piano di tagliare altri 162.945 poliziotti e donne entro il 2023/4.
Fino a poche settimane fa, nel bel mezzo della più grave pandemia globale con un’impennata della terza ondata, centinaia di medici laureati non erano ancora stati assunti. Il motivo? Vincoli di bilancio. Questo è sicuramente di una stupidità criminale.
Si perdono vite umane. Si perdono vite, si subiscono danni per miliardi di Rand e tutto questo perché pensiamo di risparmiare. Naturalmente, non possiamo limitarci a buttare soldi in una forza di polizia spesso disfunzionale, corrotta dalla cattura da parte dello Stato e resa inefficace da un addestramento insufficiente. Certamente, ora più che mai, abbiamo bisogno di una profonda pulizia della polizia. Le carenze della polizia, e forse anche quelle carenze deliberate osservate nei fatti all’inizio di luglio devono essere indagate. Ma non possiamo permettere che un’austerità miope (e alla fine costosa) si ponga come se fosse la risposta alla disfunzionalità. In realtà, spesso ne è la diretta responsabile.
La costruzione della capacità dello Stato deve comprendere anche la ricostruzione della capacità dello Stato, compreso il settore critico delle aziende di Stato, di guidare un programma di costruzione di grandi infrastrutture a guida statale, di espandere il programma industriale a guida statale e di costruire la resilienza e la sostenibilità ambientale attraverso una giusta transizione verde. Tutti questi programmi devono dare priorità alla creazione di posti di lavoro.
La capacità dello Stato deve essere costruita per garantire il consolidamento di un pilastro fondamentale di qualsiasi sforzo democratico nazionale, vale a dire la costruzione di una sovranità nazionale democratica, che consenta di superare il più possibile il destino di essere sempre un’economia semiperiferica e subordinata, continuamente bloccata in una riproduzione guidata dall’imperialismo delle nostre crisi di sottosviluppo.
Un aspetto di questa lotta in difesa della sovranità nazionale democratica è stata l’importante lotta globale che il presidente Ramaphosa ha condotto contro il nazionalismo sui vaccini (in realtà si tratta di imperialismo sui vaccini). Ma c’è molto di più nella lotta per consolidare la sovranità nazionale democratica, compresa la lotta critica per evitare la schiavitù del debito denominato in dollari nei confronti del FMI. È per questo motivo che il SACP si è indignato per l’accensione di un prestito del FMI da parte del Ministero del Tesoro lo scorso anno. Si trattava di un prestito di cui non avevamo bisogno e, peggio ancora, sono stati assunti impegni di austerità totalmente estranei allo scopo nominale del prestito. L’unica spiegazione possibile è che si sia trattato di un cinico tentativo di usare la forza del FMI per dare peso al programma di austerità del Ministero del Tesoro per il nostro Paese.
Le nostre istituzioni finanziarie statali, comprese le istituzioni di regolamentazione e la Banca Centrale, sono spesso esaltate come modelli di perfezione e baluardi contro la cattura dello Stato. Laddove hanno svolto un ruolo contro la cattura dello Stato, lo riconosciamo. Eppure, in questi ambienti si è assistito a un enorme fallimento nel frenare gli enormi flussi finanziari in uscita dalla nostra economia, in gran parte illeciti. Grazie alla Commissione d’inchiesta sulla cattura dello Stato, ora abbiamo un’idea dell’incredibile saccheggio e riciclaggio di risorse pubbliche per svariati miliardi di Rand fuori dal nostro Paese. I Gupta erano davvero così intelligenti da riuscire a eludere i nostri regolatori finanziari? E cosa facevano le nostre banche commerciali private?
La costruzione della capacità dello Stato deve essere centrata sulla costruzione della capacità di disciplinare il capitale privato nell’interesse pubblico. È un obiettivo che abbiamo ampiamente fallito in 27 anni. Per fare solo un esempio. Perché, ad esempio, con il prezzo del greggio Brent che ora si aggira intorno ai 75 dollari al barile, non stiamo estraendo una tassa sui super-profitti della Sasol? Un breve promemoria: SASOL era un’azienda pubblica di grande successo fondata dal regime dell’apartheid con i soldi dei contribuenti. Con l’imminente transizione verso una democrazia non-razziale, è stata svenduta a basso costo ai capitalisti clientelari del National Party. Oggi, circa un terzo del fabbisogno di carburante del Sudafrica è prodotto dalla SASOL. Come Paese, paghiamo la SASOL per questo carburante al prezzo di mercato globale, come se si trattasse di carburante trasportato da qualche parte in Medio Oriente. All’inizio degli anni 2000 il SACP ha condotto una campagna prolungata, chiedendo l’imposizione di un’imposta sulle entrate alla SASOL quando il prezzo globale saliva sostanzialmente al di sopra dei suoi costi di produzione (stimati a circa 35 dollari al barile). Alla fine, il Ministero del Tesoro istituì una commissione per indagare sulla fattibilità della questione, e la commissione concordò con la proposta di un’imposta sulle plusvalenze. L’allora Ministro delle Finanze dell’ANC respinse le conclusioni della sua stessa commissione. Non c’è timidezza nell’imporre l’austerità alla classe operaia e ai poveri, ma quando si tratta di disciplinare il capitale privato nell’interesse pubblico sembrano prevalere timidezza e complicità.
È per questo motivo che negli ultimi due anni il SACP ha affermato che la lotta è su due fronti: contro la cattura dello Stato e le reti che vi stanno dietro, e contro l’austerità neoliberista e il piegarsi agli interessi del capitale privato a spese dell’interesse pubblico. Questi ultimi giorni di luglio hanno sottolineato quanto sia rilevante questa prospettiva strategica.
Avanti verso una Rivoluzione Nazionale Democratica di stampo socialista
In questa occasione solenne ma celebrativa del centenario del SACP, affermiamo ciò che abbiamo affermato per la maggior parte di questi 100 anni. Lo facciamo ora con maggiore convinzione che mai: la lotta per il socialismo in Sudafrica e la lotta democratica nazionale non sono due lotte separate. Non si svolgono in due zone temporali o spazi geografici distinti. Senza un orientamento socialista più profondo, la lotta per difendere il mandato elettorale popolare sarà ulteriormente erosa dalla continua sottomissione alla volontà delle agenzie di rating antidemocratiche, dei profeti dell’austerità e dei loro sicofanti locali. Se non si antepogono deliberatamente le persone ai profitti, gli obiettivi della Carta della Libertà e le aspirazioni così chiaramente espresse nella nostra Costituzione democratica del 1996 si allontaneranno per sempre. Se non rivendichiamo con coraggio i valori socialisti, se non instilliamo una morale popolare di solidarietà, se non sosteniamo quel profondo slogan operaio “un danno a uno è un danno a tutti”, se non lo facciamo di fronte a coloro che proclamano “non ho lottato per essere povero”, che glorificano l’accumulazione primitiva personale, la continua degenerazione del nostro movimento continuerà.
Non siamo autostoppisti. Non siamo entristi nell’ampio movimento democratico nazionale. In 100 anni, i militanti del Partito Comunista del Sudafrica hanno contribuito immensamente alla costruzione di questo movimento. Non permetteremo che continui a declinare verso una degenerazione sempre più profonda. Ma l’ANC non è il padrone della Rivoluzione Nazionale Democratica. Se noi, insieme a molte migliaia di incorruttibili membri e sostenitori dell’ANC, non riusciamo a fermare il declino, allora sarà ancora necessario costruire un ampio movimento popolare nazionale per superare il profondo retaggio dell’oppressione razziale, per sconfiggere il patriarcato e per mettere le persone prima dei profitti.
Come socialisti siamo impegnati in questa prospettiva strategica. Affermiamo che il movimento democratico nazionale si rinnoverà solo se il suo carattere e il suo attivismo saranno sempre più orientati in senso socialista. Non lo diciamo da settari di sinistra. Non rifiutiamo di lavorare con tutti i patrioti democratici, pacifici, antisessisti e non-razziali, che si considerino socialisti o meno. Ma, come hanno affermato i militanti del nostro Partito nel corso di 100 anni, è imperativo far retrocedere l’impero dell’accumulazione del profitto privato. Siamo più che mai convinti della correttezza di questa prospettiva.
Solidarietà internazionale
Esprimiamo la nostra solidarietà al popolo dello Swaziland che lotta per la democrazia e il socialismo. Il SACP chiede il rilascio incondizionato dei prigionieri politici e la messa al bando dei partiti politici in Swaziland con effetto immediato.
Esprimiamo la nostra solidarietà al popolo del Sahara occidentale e della Palestina contro l’occupazione della loro terra da parte del Marocco e del regime israeliano di apartheid. Il SACP ribadisce il suo appello al Marocco e a Israele affinché pongano fine senza condizioni all’occupazione con effetto immediato.
Il SACP esprime la sua incrollabile solidarietà al popolo cubano e al suo governo contro l’aggressione imperialista guidata dagli Stati Uniti e la macchinazione del cambio di regime. Il SACP condanna fermamente le ulteriori sanzioni imposte a Cuba dall’amministrazione di Joe Biden.
Quest’anno, per la 29esima volta consecutiva dal 1992, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha condannato con forza il blocco illegale imposto dagli Stati Uniti contro Cuba e ha chiesto agli Stati Uniti di revocare il blocco criminale. Un totale di 184 Paesi ha votato a favore della risoluzione, e tra tutti i Paesi del mondo solo il regime israeliano di apartheid si è schierato con gli Stati Uniti imperialisti in minoranza. Il bloqueo ha implicazioni extraterritoriali di vasta portata. Comprende sanzioni effettive contro altri Paesi, ad esempio nel settore finanziario.
Oltre al blocco illegale, gli Stati Uniti continuano a occupare illegalmente il territorio cubano di Guantanamo Bay.
Gli Stati Uniti devono porre fine incondizionatamente al bloqueo contro Cuba e all’occupazione della Baia di Guantanamo con effetto immediato.
Viva il Partito Comunista Sudafricano!
Il Socialismo è il futuro, costruiscilo ora!
Note del traduttore
[1] ↑ In originale non-racialism, termine proprio della politica Sud-Africana, che non si può rendere adeguatamente con “non-razzismo”. Il non-razzialismo nega l’idea della razza come fatto scientifico, ma allo stesso tempo riconosce la divisione causata dal costrutto sociale della razza .
[2] ↑ Le leggi sui pass sono state promosse dal governo dell’apartheid per rafforzare il controllo statale sul movimento dei neri sudafricani.
[3] ↑ La provincia più industrializzata del paese.
[4] ↑ Provincia costiera del Sudafrica.
[5] ↑ La più grande confederazione sindacale sudafricana.
[6] ↑ Black Economic Empowerment
[7] ↑ L’Expanded Public Works Program è programma governativo volto a fornire sostegno al reddito attraverso il lavoro temporaneo per i disoccupati
[8] ↑ quotidiano finanziario sudafricano.