Rete dei Comunisti
Oggi, giovedì 15 dicembre, la sollevazione di massa contro il golpe ordito dalle oligarchie peruviane avrà uno dei suoi momenti chiave.
Ieri il ministro della difesa Alberto Otarola ha annunciato che inizierà lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale. Una misura che impedisce la libertà di riunione, la libera circolazione e rende violabile il domicilio, dando di fatto pieni poteri di intervento a polizia ed esercito nell’esercizio dell’ordine pubblico.
Il “braccio armato” delle élite economiche che governano da sempre il paese, si è fatto strumento di ulteriore militarizzazione del conflitto sociale in corso, con l’esercito che interverrà per sgomberare quelli che sono ritenuti i “siti di interesse strategico” teatro, in questi giorni, dell’azione per la rivolta sociale in atto con blocchi che hanno paralizzato il traffico viario, occupato tre scali aereo-portuali e alcune centrali idro-elettriche.
Nella giornata di mercoledì si è svolto un incontro tra il Ministro preposto del governo e le gerarchie delle forze armate per un maggior coordinamento, dopo che la polizia dall’inizio della settimana aveva già alzato il livello operativo disponendo l’uso delle pallottole di gomma.
Inoltre lo Stato d’emergenza, predisposto per 60 giorni nel dipartimento di Andahuaulas, è stato esteso in un primo tempo anche a Areqipa ed a Ica, epicentri della protesta, per poi appunto essere allargato all’interno paese.
L’autorità giudiziaria, uno degli strumenti della reazione, ha disposto la custodia cautelare per il presidente deposto Pedro Castillo per 18 mesi. Una detenzione arbitraria che sembra più un “sequestro” nei confronti dell’ex maestro proveniente da una delle zone più povere del Paese.
Dina Boluarte, quella che secondo Castillo è una presidente usurpatrice, venerdì scorso ha dichiarato – come riportato da Viativù Perù – che è disposta ad impegnarsi affinché le elezioni anticipate si tengano nel dicembre del prossimo anno, ritrattando per la seconda volta la tempistica elettorale.
Aveva affermato in precedenza che avrebbe governato fino al 2026 e successivamente – su spinta delle mobilitazioni popolari – fino all’aprile del 2024: segno evidente di un incertezza di fondo su come muovere i primi passi dopo la destituzione lampo di Castillo e di una tattica che vorrebbe coniugare “il bastone con la carota” per far rientrare le proteste.
Durante l’orazione funebre tenuta dal padre del giovane ucciso Roberto Medina, trasmessa dalla pagina FB di Radio Titanka Apurimac, di fronte ad una folla commossa e determinata, è stato ribadito che il figlio lottava per il suo popolo e per il suo paese che “non era un terrorista, non siamo terroristi”, rimarcando il fatto che la Boluarte non è la “nostra presidente, perché nessuno l’ha eletta”.
Si sono moltiplicati gli appelli alla mobilitazione da parte di differenti settori della società peruviana – minatori, contadini, studenti ed insegnanti – con chiara una convergenza di obiettivi: chiusura del Congreso, convocazione delle elezioni per eleggere una Assemblea Costituente che cambi la Carta Costituzionale elaborata sotto la dittatura di Alberto Fujimori, liberazione di Pedro Castillo e fine della repressione che ha mietuto almeno 6 vittime.
Per il 15 dicembre anche la centrale sindacale peruviana (CGTP) ha invitato alla mobilitazione generale verso Lima, ed il sindacato degli insegnanti – SUTEP – si è mosso in questa direzione. La CGTP da appuntamento alle 16 in piazza Due Maggio la Jornada National de Lucha a Lima.
G. L. Sevillano, segretario generale della CGTP, in un incontro tenutosi il 13 dicembre con la “neo” presidente Dina Boluarte, ha enfatizzato il fatto che: “la crisi che vive il paese è il risultato degli attacchi costanti del Congresso alla democrazia e alla governabilità, con il sostegno politico e logistico dei gruppi di potere economico che controllano il paese”, riporta il quotidiano UNO.
Sui siti d’informazione “comunitari”, come su quelli delle varie organizzazioni organiche alla protesta, si sono moltiplicate le immagini ed i video che testimoniano la violenza poliziesca e la preparazione per la giornata del 15, con carovane che dalle Perù profondo porteranno gli insorti nella capitale.
I popoli peruviani, questa volta non sembrano essere soli nelle loro richieste perché numerosi governi progressisti del continente non riconoscono la destituzione del Presidente legittimamente eletto.
I “dannati della terra” in Perù vogliono farla finita con le oligarchie corrette asservite all’occidente, di fronte hanno un blocco di potere che si è tolto gli orpelli democratici e difende una secolare rendita di posizione.
La storia è in marcia.