Amzat Boukari-Yabara in “L’arma della teoria” scritti di Amilcar Cabral
Originario di Capo Verde e della Guinea-Bissau, due territori spesso dimenticati nella storia delle lotte anticoloniali, Amilcar Cabral (1924-1973) è senza dubbio la figura africana che meglio incarna la prassi della rivoluzione popolare e vittoriosa. La sua traiettoria è di per sé un esempio di come si costruiscono forti rivoluzionari.
La capacità di Cabral di usare formule o inventare metafore per galvanizzare i suoi compagni deriva dai suoi scritti giovanili, composti da racconti e poesie, ispirati in particolare alla negritudine e al surrealismo. L’ispirazione e il potere erano quindi presenti molto presto negli scritti di Cabral, e molte delle sue citazioni sono entrate a far parte del dizionario dei “colpi” di qualsiasi attivista antimperialista.
Con una sicurezza di sé fatta di umiltà e ambizione, Cabral non appare come un insegnante o uno studioso, ma piuttosto come un modello che dà l’esempio e si assume la responsabilità delle sue azioni. Fu così che, in seguito a una siccità che colpì l’arcipelago di Capo Verde, decise di partire nel 1945 per studiare a Lisbona e diventare ingegnere agrario. Otto anni dopo, in un articolo pubblicato nel numero speciale della rivista Présence africaine, Cabral dimostrava una certa maturità sottolineando che “il ruolo che lo studente africano intende svolgere in Africa dipende da molti fattori: la sua consapevolezza dei problemi vitali del continente, la sua capacità professionale e i limiti che incontra nella sua attività”.
Durante gli studi in Portogallo, Amilcar Cabral acquisì una cultura generale enciclopedica. Per formarsi ha letto molta letteratura e scienze politiche. La teoria è stata essenziale per Cabral, che si è politicizzato nelle reti comuniste e panafricane, dissidenti e d’avanguardia. Così, la sua osservazione dell’allineamento del Partito Comunista Portoghese con Mosca gli mostrò la necessità di sviluppare un antidogmatismo necessario per piegare la teoria alle realtà locali. Poiché il contrario non è lontano da un approccio puramente coloniale, un’ideologia antimperialista può rivelarsi erroneamente neocolonialista se non tiene conto delle realtà africane, in particolare dell’esistenza di organizzazioni e resistenze locali che sono già in prima linea.
Se il lato lusofono del panafricanismo è poco conosciuto, è a Lisbona che gravitano altri futuri leader pro-indipendenza come Mario de Andrade, Agostinho Neto e Marcelino dos Santos. Incontrando studenti angolani e mozambicani, Cabral ha potuto comprendere meglio il rapporto tra le varie colonie portoghesi e il ruolo svolto da questo impero – il più antico e il più debole di tutti – al servizio delle potenze occidentali.
Legando i suoi studi sul campo al suo impegno militante, Cabral ha poi effettuato censimenti in Guinea, contando anche il numero di alberi. Scoprendo lo stile di vita dei diversi popoli africani, comprese, ancor prima di Thomas Sankara, come il colonialismo avesse distrutto l’ecosistema tradizionale. Soprattutto, credeva che la lotta potesse essere vittoriosa solo se basata su organizzazioni sociali e politiche in sintonia con la realtà socio-culturale del popolo.
Così, da poeta e ingegnere agricolo, Cabral divenne un importante teorico e stratega politico alla fine degli anni Cinquanta, quando si stavano formando i movimenti di liberazione delle colonie portoghesi, a partire dal 1956 con il suo, il Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde (PAIGC). A volte presentato come un’avanguardia di intellettuali, il PAIGC avrebbe sviluppato una strategia, grazie alle tesi di Cabral sul “suicidio di classe”, il cui risultato si è concretizzato in un motto che ha preso piede nei primi anni Settanta: “il popolo in armi”.
In realtà, dal 3 agosto 1959, quando la polizia portoghese massacrò i portuali in sciopero nel porto di Pidjiguiti a Bissau, il PAIGC era pronto a lanciare la mobilitazione nelle campagne. Nel settembre successivo, il PAIGC ha lanciato una lotta armata contro il colonialismo portoghese che si è presto estesa all’Angola e al Mozambico. Utilizzando la Guinea di Sékou Touré come base posteriore, Amilcar Cabral organizzò sessioni di addestramento in cui pose grande enfasi sulla mentalità delle reclute. Inviando combattenti da addestrare in Algeria, recandosi in Cina per studiare le modalità dell’assistenza militare, Cabral rifiutò di allearsi con l’opposizione portoghese, il che gli permise di mantenere una libertà di tono e un margine di manovra.
Così, vista la grande presenza di armi italiane e francesi nelle mani dei soldati portoghesi catturati, Cabral si interroga persino sul silenzio dei movimenti progressisti europei di fronte al sostegno dei loro stessi governi al colonialismo portoghese, attraverso la NATO. Ancora oggi, gli attivisti africani possono gridare e denunciare i crimini dell’imperialismo, ma l’eco dei movimenti progressisti basati nelle ex metropoli europee rimane spesso inascoltato. Per questo motivo Cabral, come Patrice Lumumba, rifiutò che le decisioni sulla lotta e la liberazione del suo popolo fossero prese a Lisbona, New York, L’Avana o Mosca. Diplomatico che si preoccupò di dissociare la lotta contro il colonialismo portoghese dalla lotta contro il popolo portoghese, Cabral si occupò della comunicazione del movimento, che creò un organo di stampa, Libertaçao.
Il leader anticolonialista osservò anche segnali come la sconfitta della Francia in Algeria, che rafforzarono la sua scelta della guerriglia. Infatti, con un numero di uomini sei volte inferiore rispetto ai trentamila soldati portoghesi, dislocati principalmente alle frontiere per evitare un’incursione dalla Guinea o dal Senegal, il PAIGC decise di fare la guerra all’interno del Paese, costringendo i combattenti a rafforzare il lavoro clandestino, a imparare a raccogliere l’appoggio della popolazione, a mobilitare i villaggi e a organizzare le periferie. Mentre addestrava i quadri e armava solo il numero di combattenti necessario a mantenere le posizioni, Cabral raggruppava le unità di combattimento in cellule che poi formavano colonne, dispiegate in zone, regioni e interzone, attraversando il Paese.
In uno schema di lotta in cui il partito politico deve essere solido sulla linea ideologica ma flessibile nella sua organizzazione per potersi adattare a tutte le circostanze senza compromettere l’obiettivo finale, coloro che combattono devono essere solidamente addestrati, ma anche le masse devono essere informate sugli obiettivi per poter fornire ai combattenti le informazioni necessarie sui movimenti delle truppe coloniali. Cabral non esitò a punire i combattenti indisciplinati, invitando i capi militari a rispettare l’autorità dei capi tradizionali a patto che essi stessi rispettassero i contadini ed esortando le donne a partecipare attivamente alla lotta. Osservò anche come altri Stati africani già indipendenti non fossero in grado di costruire la propria autorità interna.
Comprendendo l’importanza di rafforzare l’internazionalismo di fronte all’imperialismo, Amilcar Cabral rappresentò i movimenti di liberazione dell’Africa lusofona alla Conferenza Tricontinentale del gennaio 1966 all’Avana. Il suo discorso sull’”arma della teoria” ha sottolineato che “non è gridando o lanciando insulti all’imperialismo che otterremo la sua liquidazione”, ma prendendo le armi. Con l’esperienza concreta della lotta armata, Cabral rifiuta l’uso dogmatico della lotta di classe. La lotta è innanzitutto quella che colloca il popolo nella sua storia. Questa visione di unire le lotte senza diluirle non è estranea al desiderio dei movimenti latinoamericani di integrare le dinamiche africane e asiatiche, costituendo al contempo la propria Organizzazione Solidale Latinoamericana (OLAS).
Nel 1970, Cabral presentò la sua visione de “la liberazione nazionale e la cultura” all’Università di Syracuse: un popolo senza cultura non può identificare gli obiettivi della sua liberazione. Le realtà socio-economiche e politiche vissute dalle persone corrispondono a livelli di cultura. Sono tanto gli elementi della cultura quanto gli interessi economici a determinare l’atteggiamento di un gruppo sociale in una lotta per il potere. Pur denunciando il “razzismo primitivo”, Cabral ritiene che la guerra non derivi da un bisogno di ricchezza, ma da una mancanza di cultura.
Che cosa dobbiamo ricordare in conclusione? Ogni buon stratega deve padroneggiare la teoria rivoluzionaria, avere esperienza pratica sul campo e, soprattutto, avere una conoscenza culturale degli errori del passato e delle impasse del presente per trovare soluzioni. È questa alchimia perpetua che rende l’unità e la lotta una dialettica essenziale dell’eredità di Cabral. Abbiamo bisogno di “unità per combattere il colonialismo e lottare per raggiungere la nostra unità, per costruire il nostro Paese come dovrebbe essere”. L’unità è un mezzo di lotta e, come tutti i mezzi, è sufficiente in quantità. Non è necessario, per lottare in un Paese, unire tutti. È sufficiente raggiungere un certo grado di unità.
Senza riuscire a portarla realmente a termine, a causa del suo assassinio il 20 gennaio 1973 a Conakry da parte di agenti imperialisti infiltrati, Amilcar Cabral ha condotto una delle lotte di liberazione più equilibrate a livello politico, militare, mediatico, diplomatico, economico, culturale e scientifico, con l’ambizione di gettare le basi di una “democrazia rivoluzionaria” che si confrontasse con il razzismo, il colonialismo e il capitalismo con la sincerità di “non far credere a facili vittorie”. La lotta per l’emancipazione è davvero lunga e l’opera di Amilcar Cabral, se non è una scorciatoia, è senza dubbio un acceleratore su cui le nuove generazioni devono tenere ben piantati i piedi.
Amzat Boukari-Yabara (storico militante e presidente Ligue Panafricaine – UMOJA)
Prefazione al libro “Ne faites pas croire à des victoires faciles” (Premiers Matins De Novembre, Novembre 2021)
CREDITS
Immagine in evidenza: Militante n.1 de nos povo
Descrizione: Manifestazione a Praia, nell’isola di Santiago, per accogliere la visita del segretario generale del PAIGC, Aristides Pereira, primo presidente di Capo Verde indipendente. 1
Autore: United Nations Photo; 1 gennaio 1975
Licenza: Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)
Immagine originale ridimensionata e ritagliata