Amilcar Cabral – capitolo IV di “L’arma della teoria” scritti di Amilcar Cabral
Che ne è della lotta di liberazione nei centri urbani, e in particolare nella capitale Bissau e nel Capo Verde?
La nostra esperienza, per quanto concerne la lotta nelle città e centri urbani del nostro paese, si è notevolmente accresciuta. All’inizio, abbiamo organizzato delle manifestazioni di massa, degli scioperi etc…, per esigere dai portoghesi un cambiamento di posizione a proposito dei diritti legittimi del nostro popolo all’autodeterminazione ed alla indipendenza nazionale.
Ci siamo resi conto che nelle città e nei centri urbani, la concentrazione delle forze repressive, militari, poliziesche etc… dei portoghesi ci causava delle perdite notevoli.
È stato così che, nell’agosto del 1959, durante uno sciopero di portuali ed altri lavoratori del porto di Bissau e dei battelli che trasportavano merci, i portoghesi hanno ucciso, con armi da fuoco, nel volgere di venti minuti, cinquanta lavoratori africani e ferito più di cento persone lungo le vie di Pidjiguiti.
Nello stesso momento il nostro Partito ha deciso di tenere una conferenza clandestina a Bissau ed è allora che abbiamo mutato orientamento.
Vale a dire che ci siamo messi a mobilitare le campagne ed abbiamo deciso di prepararci attivamente alla lotta armata contro le forze colonialiste portoghesi. Insomma, abbiamo deciso che, nelle città, l’organizzazione clandestina del Partito sarebbe rimasta, guidata dai nostri dirigenti che continuano a lavorare nelle città e fra i quali si trovava l’attuale presidente del Partito che, dopo diciotto mesi di lavoro clandestino a Bissau, è stato arrestato dalle autorità portoghesi ed è ancora oggi sotto un arresto domiciliare.
Abbiamo deciso che le masse popolari non dovevano fare nessuna manifestazione che potesse dar luogo a rappresaglie criminali da parte dei colonialisti portoghesi
Oggi, a Bissau, Bafata, Farim etc…, principali centri urbani del nostro paese, esiste una organizzazione clandestina del Partito ma non siamo ancora passati a una forma d’azione diretta contro i colonialisti portoghesi nelle città.
Bisogna precisare che il nostro paese è esclusivamente una colonia di commercio, e non d’installazione di popolazioni, di modo che gli stessi civili portoghesi, i coloni, non hanno molto interesse ad installarsi sulle nostre terre; quelli che vi vivono sono sia degli impiegati dell’amministrazione, sia degli impiegati del commercio. Dall’inizio della lotta, essi hanno adottato una certa posizione esitante, leggi indifferente, rispetto alla nostra lotta e molti di loro hanno espresso il desiderio di ritornare in Portogallo.
Così noi non abbiamo delle ragioni di agire, sul piano terroristico, contro i civili portoghesi. È anche per questo che l’azione che conduciamo nelle città dovrà essere diretta contro i militari portoghesi e contro l’infrastruttura di guerra del Portogallo.
Noi stiamo preparandoci a questo e pensiamo che se i portoghesi non si decidono a riconoscere, come si deve, il nostro diritto all’autodeterminazione ed alla indipendenza dopo quattro anni di lotta armata, ci vedremo costretti ad attaccare anche nelle città.
E lo faremo, poiché è evidente che i portoghesi sono decisi a proseguire i loro atti criminali contro le nostre forze pacifiche nelle regioni liberate.
Fino ad oggi, non abbiamo compiuto nessuna azione nelle città, ma siamo decisi a farlo nella misura in cui ciò significa un avanzamento della lotta e anche delle rappresaglie contro gli atti barbari commessi dai portoghesi contro la nostra popolazione delle regioni liberate.
Per quel che riguarda il Capo Verde, riteniamo che la lotta in questi luoghi è di primaria importanza per il progresso della nostra battaglia, non soltanto in Guinea, ma in tutte le colonie portoghesi, e possiamo garantire che il nostro Partito è pronto a scatenare la lotta nelle isole del Capo Verde. Nel corso degli ultimi anni si sono avuti dei grandi progressi politici nelle isole del Capo Verde. La direzione del Partito vi funziona bene. Abbiamo dei contatti perfetti con queste isole e, come ho già detto, siamo pronti ad iniziare la lotta armata: ciò dipende solamente dalla direzione del Partito che deve esaminare i fattori favorevoli e non allo scatenamento totale di questa lotta.
Qual’è l’obbiettivo strategico della lotta armata? Esistono possibilità di negoziati con il colonialismo portoghese?
L’obbiettivo strategico della lotta armata di liberazione nazionale è, evidentemente, la liberazione del nostro paese dal giogo coloniale portoghese. È l’obbiettivo strategico, in definitiva, di tutti i movimenti di liberazione nazionale che, spinti dalle circostanze, prendono le armi per lottare contro la repressione e la presenza coloniale.
Nella nostra lotta, noi abbiamo fondato i nostri principi su una conoscenza profonda delle condizioni del nostro popolo. Per esempio, abbiamo deciso di iniziare la lotta all’interno del paese e di non lottare al di fuori di esso: per questo non abbiamo mai avuto forze armate all’estero.
È per la stessa ragione che, nel 1963, abbiamo iniziato la lotta armata tanto nel centro che nel nord e nel sud del paese. Ciò significa che, contrariamente a quanto hanno fatto i popoli che lottano in Africa o in altri luoghi per l’indipendenza nazionale, noi abbiamo adottato una strategia che potremmo definire centrifuga: partire dal centro verso la periferia del paese.
Questo fatto ha suscitato grande sorpresa nei portoghesi che avevano radunato le loro truppe lungo le frontiere della Guinea e del Senegal, pensando che noi avremmo invaso il nostro paese partendo dall’esterno.
Ma noi abbiamo mobilitato il nostro popolo, lo abbiamo organizzato clandestinamente, sia nelle città che nelle campagne. Abbiamo preparato i nostri quadri, abbiamo armato quella poca gente che potevamo, con armi tradizionali e moderne, e abbiamo iniziato la nostra azione partendo dal centro della Guinea.
Oggi, la lotta si estende a tutte le zone del paese, tanto a Boè che a Gabu e nel sud; nel nord, a San Domingos. nella regione di Farim; a ovest, vicino al mare, nella regione di Mandjakos e speriamo di poter lottare fra qualche tempo anche nell’isola di Bressau. E, d’altra parte, come avete avuto occasione di vedere al sud del paese e come altri cineasti e giornalisti hanno visto a nord e ad est, noi abbiamo liberato una grande parte del territorio nazionale, la qual cosa fa parte del quadro della nostra strategia.
Per quanto concerne le possibilità di negoziati, possiamo dire che la nostra lotta ha un obbiettivo politico; noi non facciamo la guerra perché siamo dei guerrieri o amiamo la guerra. Non facciamo la guerra per conquistare il Portogallo. Noi la facciamo perché vi siamo costretti, e per poter conquistare i nostri diritti umani, il nostro diritto di nazione, di popolo africano che vuole la propria indipendenza; ma l’obbiettivo della nostra guerra è politico, vale a dire, la liberazione totale del popolo guineano e capoverdiano, la conquista della nostra indipendenza nazionale e della nostra sovranità tanto all’interno che sul piano internazionale.
Anche per questo ci interesserebbe se, oggi, domani, in qualunque momento, i colonialisti portoghesi spinti dalle nostre forze armate, dalla eroica lotta del nostro popolo, riconoscessero che è giunto il momento di sedersi ad un tavolo e discutere con noi (non importa quando, se oggi, domani, in qualunque ora); noi siamo pronti ad intavolare la discussione.
Ma le possibilità di negoziare, giacché l’O.N.U. è incapace di indurre a patti il Portogallo, non dipendono che dal Portogallo stesso. Siamo ugualmente convinti che queste possibilità dipendono da ciò che avremo fatto nel quadro della nostra lotta armata. Questa è la nostra posizione rispetto alle possibilità di negoziati col Portogallo. E considerando quel che noi abbiamo già fatto, i sacrifici compiuti dal nostro popolo durante questa lotta difficile ma vittoriosa, considerando che l’Africa marcia verso la totale indipendenza, la nostra posizione non può essere che questa: negoziare coi portoghesi quando lo vorranno, quando saranno disposti a farlo, ma negoziare per l’indipendenza totale cd incondizionata del nostro popolo.
Ciò non significa che non siamo interessati, in quanto popolo cosciente, a stabilire col Portogallo stesso, nonostante i crimini commessi dai portoghesi sul nostro suolo, le migliori relazioni di collaborazione, di cooperazione, in termini d’uguaglianza, in assoluta reciprocità di vantaggi, ma anche col più grande rispetto per la nostra sovranità.
Quali sono i principi tattici utilizzati dall’esercito guerrigliero del P.A.I.G.C.?
Attualmente, per condurre una lotta armata di liberazione, non basta inventare grandi cose sul piano generale. Esiste già una grande esperienza di lotta di liberazione nazionale. Il popolo cinese ha lottato, il popolo vietnamita sta lottando da oltre 25 anni, il popolo cubano ha lottato eroicamente e sconfitto i reazionari e gli imperialisti nella sua isola che è oggi un bastione del progresso. Altri popoli ancora hanno lottato e la loro esperienza di lotta è conosciuta nel mondo.
Voi sapete molto bene che Che Guevara, per noi il grande Che Guevara, ha scritto un libro sulla lotta guerrigliera. Questo libro, per esempio, così come altri documenti della lotta guerrigliera di altri paesi, ivi compresa l’Europa in cui si è avuta anche una lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale, ci è servito da base d’esperienza generale per la nostra propria lotta.
Ma nessuno, in generale, commette l’errore di applicare ciecamente l’esperienza degli altri nel proprio paese.
Per definire e stabilire le teorie di lotta nel nostro paese, abbiamo dovuto prendere in considerazione le condizioni geografiche, storiche, economiche, sociali e culturali del nostro paese, tanto in Guinea che nel Capo Verde.
È basandosi su una conoscenza concreta della realtà del nostro paese che stabiliamo i principi tattici e strategici della nostra lotta guerrigliera.
Possiamo dire che il nostro paese presenta molte differenze rispetto agli altri. In primo luogo, è un paese molto piccolo: circa 36.000 Km2 per la Guinea e 4.000 Km2 per il Capo Verde. Mentre la Guinea si trova incastrata nel continente africano, il Capo Verde è in mezzo al mare in quanto arcipelago.
Noi prendiamo ciò in considerazione, ma occorre anche dire che la Guinea è un paese piatto, non ha montagne, e si sa che, in genere, le guerriglie utilizzano le montagne come punto di partenza per la lotta armata.
Abbiamo dovuto costruire per il nostro popolo anche la montagna necessaria per poter lottare nel nostro paese.
Ed abbiamo dovuto utilizzare tutte le possibilità che abbiamo trovato nelle foreste e nei terreni impervi per creare delle condizioni difficili al nemico nel suo confronto con la marcia vittoriosa della nostra lotta armata.
Per quanto riguarda le altre tattiche, noi manteniamo questo principio fondamentale della lotta di liberazione nazionale o, se si preferisce, della guerra coloniale: il nemico, per dominare una data zona, è costretto a disperdere le proprie forze; disperdendo le proprie forze, esso si indebolisce e noi possiamo vincerlo.
Ma, per difendersi da noi, egli deve concentrare le proprie forze, e quando lo fa, ci permette di occupare le zone che lascia libere e di lavorarvi politicamente per impedire il suo ritorno.
Questo è il dilemma che il colonialismo conosce sul nostro suolo, così come lo ha conosciuto in altri paesi, e questo dilemma, se sarà perfettamente sfruttato da noi, porterà sicuramente alla disfatta del colonialismo portoghese nel nostro paese.
Questo è certo, poiché il nostro popolo è mobilitato e cosciente di quanto sta facendo e, inoltre, le regioni liberate del paese in cui conduciamo una vita nuova, sono una forza di propaganda costante per la liberazione delle altre parti del nostro territorio.
Quali sono i principi tattici e strategici di antiguerriglia impiegati dall’esercito portoghese?
Se non abbiamo avuto grandi cose da inventare, i portoghesi ancor meno. La sola cosa che i portoghesi fanno da noi è di seguire le tattiche e le strategie usate dagli imperialisti nord-americani, o da altri imperialisti, per esempio, nella lotta contro i popoli che essi non vogliono liberare dalla dominazione.
I portoghesi, in primo luogo, hanno cercato di lavorare politicamente dopo aver sperimentato l’arte della repressione armata, poliziesca, della tortura, assassini, uccisioni etc… Tutto ciò non ha fermato la nostra lotta. In seguito, essi hanno scelto di fare un lavoro politico, diviso il nostro popolo, sfruttato le contraddizioni tribali.
Sono arrivati al punto di sfruttare il razzismo, facendo delle distinzioni fra più chiari e più scuri, tirando fuori la questione delle genti dette civilizzate e non civilizzate etc… e sfruttato anche la posizione privilegiata dei capi tradizionali.
Tutto ciò non è riuscito. I portoghesi hanno iniziato la guerra coloniale cd utilizzato, nel corso di questa guerra, la strategia e la tattica comuni a tutti gli imperialisti in guerra contro i popoli.
Hanno impiegato contro di noi le armi più moderne, fornite dai loro alleati nord-americani, tedeschi, belgi, italiani, francesi etc…
Hanno utilizzato contro di noi bombe d’ogni genere, ad eccezione di quelle atomiche. In particolare essi hanno fatto uso abbondante, all’inizio della lotta nel sud del paese, di bombe al napalm. Hanno usato anche dei carri armati. Hanno impiegato degli aerei B-26, T-6, P-2V, caccia a reazione come, per esempio, i FIAT 82, i FIAT 91, i Sabres forniti dal Canada con la mediazione della Germania Federale etc… Nulla di tutto ciò ha dato risultati. Ultimamente hanno utilizzato degli elicotteri armati per delle azioni combinate fra marina e fanteria. Siamo certi che anche questo non darà risultati.
Avete potuto rendervi conto della posizione in cui si trovano i portoghesi che non vengono, malauguratamente, nel nostro paese come voi che siete giornalisti. Essi rimangono chiusi nelle loro caserme e cercano di tanto in tanto di fare una sortita per eseguire atti criminali contro la nostra popolazione. Intraprendono combattimenti con le nostre forze e bombardano praticamente tutti i giorni i nostri villaggi, cercando di bruciare le nostre colture. Cercano insomma, di terrorizzare le nostre popolazioni.
Noi siamo decisi a resistere, e le tattiche e le strategie del colonialismo portoghese che sono le stesse praticate dall’imperialismo nel Viet Nam, per esempio, così come falliscono nel Viet Nam, falliranno nel nostro paese.
Vi sono dei tentativi di recupero dei territori liberati compiuti dai Portoghesi?
Il grande sogno dei portoghesi è di recuperare i territori liberati. Per esempio, nel 1964, essi hanno scatenato una grande offensiva contro l’isola di Como nella quale erano impiegati circa 3.000 uomini. Recuperare Como avrebbe avuto due vantaggi: innanzi tutto un vantaggio strategico perché Como è una sicura piattaforma per la dominazione del paese. In secondo luogo, un vantaggio politico, perché significherebbe una gran propaganda in favore dei portoghesi e potrebbe servire a demoralizzare le popolazioni.
Ma i portoghesi sono stati sconfitti a Como, dove hanno perduto più di 900 soldati e molto materiale e sono stati costretti a ritirarsi, mentre Como continua ad essere libera e oggi è una delle zone più sviluppate del nostro territorio liberato. I portoghesi hanno cercato e cercano di recuperare terreno. Possiamo dire che durante l’ultima stagione secca, hanno tentato diversi sforzi, sia a nord che a sud, ma non sono riusciti ad installarsi in alcuno di questi luoghi. Essi hanno l’abitudine di venire, ora con cento uomini, mai di meno, ora con mille. È nostra opinione che è più facile causare loro delle perdite quando sono numerosi; quanto più sono numerosi, tanto più noi abbiamo probabilità.
Siamo oggi pronti a respingere qualunque attacco dei portoghesi; quando vengono con l’aviazione abbiamo generalmente maggiori difficoltà, ma i nostri combattenti hanno imparato, attraverso la propria esperienza, a lottare anche in quelle condizioni.
Così noi siamo convinti che, quale che sia il nummo dei portoghesi che vengono (e più saranno, tanto peggio sarà per loro), noi siamo decisi ad infliggergli, ogni volta, delle maggiori sconfitte.
Lei ha citato il libro di Che Guevara «Guerra di GUERRIGLIA». In questo libro, Guevara divideva la lotta guerrigliera in tre fasi. In quale fase si trova la lotta in Guinea detta portoghese?
Abbiamo generalmente delle riserve, quando si tratta della sistematizzazione dei fenomeni. In realtà, nella pratica, i fenomeni non si sviluppano sempre come previsto negli schemi prestabiliti. Abbiamo una immensa ammirazione per Che Guevara, basata essenzialmente sulla lotta del popolo cubano e su altre esperienze, e siamo convinti che se ne facciamo un’analisi profonda, questo schema può, in certo modo, applicarsi alla nostra lotta. Tuttavia, diciamo, senza peraltro affermarlo, che questo schema è assolutamente adattabile alle nostre condizioni.
Ciò detto, pensiamo che attualmente, nella fase in cui si trova la nostra lotta, noi ci troviamo in piena guerra di movimento. È questa la ragione per cui noi abbiamo ristrutturato le nostre forze e creato delle unità più forti dell’armata regolare e circondato le forze portoghesi; le nostre forze si sono fatte sempre più mobili e quindi l’importanza delle posizioni guerrigliere è divenuta minima per avanzare contro le posizioni nemiche.
Ma oggi, le caratteristiche essenziali della nostra lotta sono l’attacco sistematico dei campi fortificati e delle fortezze portoghesi.
Ciò fa comprendere di per sé che siamo in piena guerra di movimento. E noi speriamo che non sia molto lontano il momento in cui potremo, grazie alla avanzata di questa guerra di movimento, iniziare nello stesso tempo, date le condizioni in cui ci troviamo, la nostra offensiva generale per finirla con la dominazione portoghese sulla nostra terra.
Come avvengono le comunicazioni guerrigliere ed il lavoro di propaganda?
Abbiamo molte difficoltà nel lavoro di propaganda. Per prima cosa, a tutt’oggi non disponiamo d’una stazione radio che potrebbe avere un ruolo particolarmente importante, anche più di parecchi cannoni.
Il nostro Partito lavora attivamente per arrivare a disporre di un posto d’emissione per parlare tutti i giorni (e se non tutti i giorni, almeno parecchie volte alla settimana) alle nostre forze, al nostro popolo ed anche al nemico.
Nell’attesa, siamo convinti che i popoli amici che dispongono di emittenti, come la Repubblica di Guinea il Senegal, Cuba ed altri paesi del mondo potranno fare un lavoro in questo senso, perché le loro emissioni sono ricevute da noi.
Essi potranno sostituirsi a noi ed aiutare la propaganda in favore della nostra lotta. Per questo non è indispensabile che noi forniamo loro molte informazioni perché tutti sanno che la nostra lotta è giusta e ragionevole. D’altra parte, noi stessi comunichiamo, di tanto in tanto, i risultati della nostra lotta armata. Non possiamo comunicare con molta frequenza perché, da una parte, le comunicazioni dai diversi centri di lotta con il centro che coordina queste comunicazioni (non disponiamo ancora di un sistema radio efficace e siamo sul punto di montare un sistema di radio-comunicazione) sono difficili, per la quale ragione i nostri comunicati subiscono un certo ritardo.
Ma ciò non vuol dire in nessun caso che la lotta si arresta in qualunque settore. Al contrario succede che i nostri comunicati non traducono generalmente la grande intensità della lotta, la frequenza dei combattimenti e spesso le stesse vittorie che riportiamo sul nemico.
Per quanto concerne le comunicazioni, la nostra lotta ha sue proprie caratteristiche: noi non possiamo lottare stando sulle jeeps o sui camions; siamo i primi a conoscere il cattivo stato delle nostre strade; siamo noi stessi a far saltare i ponti esistenti, a distruggere una parte delle strade e il nostro popolo abbatte degli alberi per sbarrarle; di fatto il nemico non può circolare su nessuna strada del nostro paese. Tuttavia, non disponiamo né di camions, né di jeeps etc… per occupare le strade, per circolare lungo i percorsi che noi stessi abbiamo minato.
Come avete potuto vedere, siamo costretti a camminare a piedi sul nostro territorio. Ciò rende le comunicazioni estremamente difficili. Come ho già detto, lavoriamo attivamente per il miglioramento delle nostre radiocomunicazioni al fine non solamente di poter avere delle informazioni quotidiane sul progresso della lotta su tutti i fronti, ma anche per facilitare il coordinamento della lotta su questi fronti, per progredire nella lotta armata.
Avete incontrato delle difficoltà, nel corso della lotta armata, concernenti i problemi tribali, linguistici e i capi feudali della Guinea?
Le difficoltà della lotta sono state soprattutto delle difficoltà inerenti la nostra condizione di popolo sottosviluppato la cui storia è stata arrestata dalla dominazione colonialista, imperialista.
Un popolo che parte dal niente, come il nostro, un popolo che ha dovuto cominciare a lottare semi-nudo, un popolo che aveva il 99% di analfabeti (e avete già potuto vedere lo sforzo dell’alfabetizzazione che abbiamo compiuto per creare le scuole); un popolo che aveva solamente 14 uomini con formazione universitaria, non poteva non avere delle difficoltà per intraprendere la sua lotta armata.
Inoltre, sapete bene che questa situazione non era così, in generale, in Africa, ma era particolarmente accentuata da noi. Il nostro popolo non era soltanto sotto-alimentato ma anche vittima di numerose malattie perché i portoghesi non si sono mai preoccupati di creare una sanità pubblica decente da noi. Tutto ciò ha creato delle difficoltà all’inizio della nostra lotta.
Un’altra difficoltà è la seguente: la nostra propria cultura africana, che corrisponde alla struttura economica che è ancora la nostra, ha provocato delle difficoltà in parecchi aspetti della lotta. Queste sono le cose che, da coloro che giudicano la lotta dall’esterno, non vengono tenute in conto, ma che noi abbiamo, noi, dovuto prendere in considerazione perché una cosa è lottare in una situazione in cui tutti sanno molto bene cosa sono la pioggia, le piene, i lampi, la tempesta, il tifone, un tornado e ben altra cosa è lottare laddove i fenomeni naturali possono essere interpretati come il risultato della volontà degli spiriti.
Ciò è molto importante per una lotta come la nostra. Un’altra difficoltà è questa: il nostro popolo ha lottato utilizzando le armi tradizionali contro la dominazione coloniale. Ma oggi noi dobbiamo fare una guerra moderna, una guerra di guerriglia, ma moderna, con tattiche moderne. Anche questo ci ha creato delle difficoltà: è necessario formare dei quadri, preparare i combattenti in modo da adattarli a questo genere di lotta. Siamo stati costretti a prepararli nel corso stesso della lotta, perché non abbiamo il tempo di creare delle scuole. Soltanto oggi abbiamo potuto realizzare delle scuole per combattenti, come si sa. Tutto ciò ha comportato difficoltà nel senso che abbiamo dovuto fare l’apprendistato della lotta armata. Mentre gli ufficiali portoghesi che dirigono la lotta portoghese, escono dalle accademie militari, dopo sette anni di preparazione in più corsi da loro frequentati (corsi di base), noi abbiamo dovuto guidare al combattimento dei giovani che vengono dalle città o dalle campagne, di cui molti senza alcuna istruzione, costretti ad acquisire nel corso della lotta anche l’esperienza necessaria per affrontare gli ufficiali portoghesi.
Basti dire che il governo portoghese è stato costretto a cambiare cinque volte lo Stato Maggiore nel nostre paese e che alcuni ufficiali sono stati perfino puniti, per provare, alla fine dei conti, che non è necessario andare all’accademia militare per lottare sulla propria terra, per conquistare la libertà del proprio popolo.
Quanto alle questioni tribali, la nostra opinione a questo proposito è assai differente da quella degli altri. Noi riteniamo che, allorquando i coloni sono arrivati in Africa, la struttura tribale stava già disgregandosi per la stessa evoluzione economica e per gli avvenimenti storici che si erano prodotti nell’ambito africano.
Non si può dire oggi che l’Africa è tribale. Vi sono ancora in questo continente dei resti di tribalismo, in particolare nella mentalità della gente, ma non nella struttura economica, parlando propriamente.
D’altra parte, se il colonialismo ha fatto qualcosa di positivo, è stato proprio di distruggere in gran parte quanto era rimasto del tribalismo che sussisteva in qualche zona del nostro paese.
Così non abbiamo avuto grandi difficoltà sul piano tribale. Abbiamo avuto delle difficoltà a creare nel nostro popolo una coscienza nazionale ed è la lotta stessa che cementa questa coscienza nazionale.
Ma, in generale, quale che sia il gruppo etnico cui appartengono, è facile indurre le nostre genti a considerare che noi siamo un popolo, una nazione che deve lottare per finirla con la dominazione portoghese, perché non siamo ricorsi a frasi fatte né alla lotta contro il colonialismo, contro l’imperialismo, ma a cose concrete. È una lotta per avere il pane, la terra, ma liberamente. Una lotta per avere scuole, perché i bambini non soffrano, per avere ospedali. Questa è la nostra lotta. È anche una lotta per dimostrare al mondo che noi siamo gente dignitosa, decorosa, con una propria personalità.
Queste sono le ragioni che hanno trascinato il nostro popolo. Sappiamo anche che quanto restava del tribalismo è stato distrutto dalla lotta armata che noi conduciamo. D’altra parte, teniamo ad insistere sul fatto che il popolo africano, tanto nel nostro paese che nel Congo in cui avvenimenti terribili si sono prodotti dal punto di vita tribale, non è tribalista.
Presso gli africani, la tendenza è di comprendersi il meglio possibile. Vi sono degli opportunisti politici che sono tribalisti: si tratta di individui che sono anche stati nelle università europee e che hanno frequentato i caffè di Bruxelles, di Parigi, di Lisbona o di altre capitali, che sono completamente staccati dai problemi della propria gente: di questi si potrà dire che sono tribalisti, persone che spesso disprezzano il proprio popolo e che, per ambizione politica, ricorrono a principi che non esistono più nella mentalità dei nostri popoli, per cercare di realizzare i loro obbiettivi opportunisti, i loro fini politici, le loro ambizioni di comando e dominio politico.
Per quanto concerne il nostro paese, vogliamo aggiungere che la lotta armata non solamente ha liquidato i postumi di idee tribali che potevano ancora sussistere, ma, in più, sta trasformando completamente il nostro popolo. Avete potuto avere l’occasione di rendervi conto che, nonostante che noi si viva ancora nella miseria, nonostante che si manchi di vestiti, che, sul piano dell’alimentazione, il nostro regime manchi di vitamine, di alimenti freschi ed anche di carne, di proteine — tutte cose che sono un’eredità del colonialismo ed il risultato della nostra condizione di sottosviluppati, come accade anche altrove — ci sono tra noi degli uomini nuovi. Un uomo nuovo sta nascendo sulla nostra terra. Una donna nuova si sta formando sul nostro suolo e se aveste l’occasione di parlare coi nostri bambini, potreste constatare che i bambini delle nostre scuole hanno già una coscienza politica, patriottica e che vogliono lottare per l’indipendenza del paese. Una coscienza che permette che si comprendano gli uni con gli altri, un sentimento d’unità nazionale e di unità sul piano africano.
Ci teniamo ad insistere sul fatto che la donna del nostro paese sta conquistando una indipendenza per la quale molti hanno lottato senza ottenerla.
Avete potuto vedere che i responsabili, tanto dei comitati dei tabanka che dei comitati regionali, ed anche i responsabili a più alti livelli, come i comitati interregionali, sono spesso donne responsabili, donne coscienti del proprio valore e del loro ruolo nel Partito; si può affermare che nel nostro Partito, a tutti i livelli, la donna è presente.
Come si esercita la direzione politico-militare della lotta?
La direzione politico-militare della lotta è unica: è la direzione politica della lotta. Nella nostra lotta, abbiamo cercato di non creare niente di militare. Siamo dei politici ed il nostro Partito, che è una organizzazione politica, dirige la lotta sul piano civile, politico, amministrativo, tecnico, e dunque militare. I nostri combattenti sono per definizione dei militanti armati. È l’Ufficio Politico del Partito che dirige la lotta armata e la vita, tanto nelle regioni liberate, quanto in quelle che non lo sono ed in cui abbiamo i nostri militanti. Nel quadro dell’ufficio Politico, esiste un Consiglio di Guerra, formato da membri dell’ufficio Politico, che dirige la lotta armata. A livello di ogni fronte, esiste un comando di fronte. A livello di ogni settore, esiste un comando di settore ed ogni unità del nostro esercito regolare ha anch’esso il suo comandante.
Questa è la struttura della nostra lotta armata. I guerriglieri sono installati in basi, ognuna delle quale ha il suo capo-base ed un commissario politico. Sempre a proposito dell’organizzazione propriamente detta, il Partito dispone di un congresso che si dovrebbe tenere generalmente ogni due anni ma, nel quadro della lotta, si terrà ogni volta che sarà possibile. Il Partito ha anche un Comitato Centrale, un Ufficio Politico che dirigono direttamente gli organi locali, vale a dire i comitati inter-regionali del nord e del sud, i comitati di settore e quelli dei villaggi o tabanka. Questa è la nostra struttura. Nelle città e nei centri urbani, l’organizzazione del Partito continua ad essere clandestina, generalmente sotto la direzione di un numero molto ristretto di individui.
Sui paesi che aiutano la lotta guerrigliera
Abbiamo stabilito un principio di base della nostra lotta: contare sulle nostre proprie forze, sui nostri sacrifici, sui nostri sforzi, ma tenendo conto del sotto-sviluppo caratteristico del nostro popolo, del nostro paese, del ritardo economico della Guinea (basti dire che non abbiamo ferro, così che ci sarebbe difficile costruire delle armi). Tenendo conto di queste circostanze, tenendo conto del fatto che il 99% della nostra popolazione è analfabeta, il che rende difficile l’esistenza immediata di quadri, tenendo conto che anche del fatto che il nemico non ha nessuno scrupolo e riceve aiuto dai suoi alleati della NATO e particolarmente dagli U.S.A. e dalla Germania Federale, oltre che da altri paesi ancora fra cui spiccano in particolare i suoi alleati razzisti dell’Africa australe, tenendo conto di tutto ciò e anche delle caratteristiche essenziali della nostra epoca, che è quella della lotta generale dei popoli contro l’imperialismo e della esistenza di un campo socialista, che è il principale bastione contro l’imperialismo, noi accettiamo e chiediamo l’aiuto di tutti i popoli che sono in grado di fornircelo.
Non chiediamo aiuto in uomini: siamo sufficientemente numerosi per cacciare il colonialismo dalla nostra terra. Noi chiediamo un aiuto in armi, in materiali di prima necessità per approvvigionare le regioni liberate, delle medicine per curare i nostri feriti e i nostri malati e per recare una assistenza sanitaria alle popolazioni delle regioni liberate. Noi chiediamo tutto l’aiuto, non importa quale, che ci può dare qualunque popolo. Chiediamo anche un aiuto per la formazione di quadri, cosa che ci hanno già dato parecchi paesi. La nostra etica dell’aiuto è la seguente: noi non chiediamo mai l’aiuto di cui abbiamo bisogno. Noi speriamo che ciascuno in coscienza, ci darà l’aiuto che può fornire al nostro popolo in lotta per la propria liberazione nazionale.
A proposito di questi aiuti, dobbiamo segnalare particolarmente quelli delI’Africa. Attraverso l’O.U.A. [Organizzazione dell’Unità Africana – ndr], l’Africa ci ha aiutati. Riteniamo che questo aiuto, fino ad oggi, non corrisponda a quello di cui abbiamo bisogno, non è pari al livello di sviluppo della nostra lotta che è oggi una autentica guerra contro un nemico che possiede delle armi potenti che utilizza contro di noi e che è aiutato dai suoi alleati. Per esempio, la Germania Federale invia anche dei tecnici della aviazione a Bissau ed inoltre essa raccoglie i feriti portoghesi per condurli in Germania al fine di evitare che il popolo portoghese veda le ferite causate da noi.
È nostra opinione che l’aiuto delI’Africa è buono ma è insufficiente. Per questo speriamo che i popoli africani, gli Stati africani, attraverso l’O.U.A., aumenteranno i loro sforzi sia sul piano finanziario che su quello materiale.
E sul piano finanziario, ci teniamo a dire che attualmente le nostre spese sono enormi. Solo di benzina, ci vogliono oltre 40.000 litri per rifornire i fronti di lotta. Tutto questo implica delle grandi spese e fino ad oggi non abbiamo ricevuto un aiuto finanziario che ci permetta di far fronte alla guerra, mentre il Portogallo, oltre al suo bilancio di Stato, dispone d’un aiuto favoloso in dollari, in marchi ed in lire, forniti dai suoi alleati.
Aggiungeremo che, sul piano africano, esiste qualche paese che ci aiuta bilateralmente. Per esempio, la Repubblica di Guinea ci dà un grandissimo aiuto, e grandissime facilitazioni per lo sviluppo della nostra lotta.
Anche il Senegal ci fornisce delle facilitazioni per la nostra lotta. La R.A.U. [Repubblica Araba Unita: Egitto, Siria e Yemen del Nord tra il 1958 e il 1961, poi il solo Egitto fino al 1971 – ndr] pure ci aiuta. Il Marocco ci ha aiutati all’inizio della lotta e non comprendiamo per quale ragione non ci fornisce oggi lo stesso aiuto di prima.
In Africa, vi sono altri paesi che ci aiutano: per esempio, la Tanzania, che aiuta anche il popolo del Mozambico, e il Congo Brazzaville, che aiuta l’Angola.
Ci teniamo particolarmente a menzionare tutto l’aiuto particolare datoci dai paesi socialisti. Noi comprendiamo che questo aiuto è un obbligo storico, un dovere storico perché noi riteniamo di lottare anche per la difesa dei paesi socialisti. Vogliamo dire in particolare che l’Unione Sovietica in primo luogo, e la Cina, la Cecoslovacchia, la Bulgaria ed altri paesi socialisti continuano ad aiutarci, cosa che riteniamo molto utile per lo sviluppo della nostra lotta armata. Vorrei anche segnalare in particolare gli sforzi incessanti, i sacrifici, che apprezziamo immensamente, che il popolo di Cuba, piccolo, senza grandi possibilità, che deve lottare contro il blocco nord-americano e di altri imperialisti, realizza per darci un aiuto efficace.
Ciò è per noi un continuo incoraggiamento e contribuisce a cementare sempre di più la solidarietà fra il nostro partito ed il partito cubano, fra il nostro popolo e quello cubano, un popolo che consideriamo come africano.
Ed è sufficiente conoscere Cuba, vedere il modo d’essere dei cubani, per convincersene. È sufficiente vedere i legami di sangue storici e di scelte politiche che ci uniscono per affermare tutto ciò.
Così noi siamo molto contenti dell’aiuto fornitoci dal popolo cubano e siamo certi che Cuba, malgrado le proprie difficoltà, aumenterà sempre di più il suo aiuto alla nostra eroica lotta di liberazione.
Qual’è la posizione del P.A.I.G.C. sul conflitto del Medio-Oriente?
Noi abbiamo per principio la difesa delle giuste cause. Siamo per la giustizia, per il progresso dell’uomo e per la libertà dei popoli. Su questa base, consideriamo che la creazione di Israele, compiuta dagli Stati imperialisti per mantenere il proprio dominio sul Medio Oriente è stato qualcosa di artificiale il cui scopo era di creare dei problemi in questa importante zona del mondo.
Ecco la nostra posizione: il popolo ebreo che pratica la religione ebrea ha il diritto alla vita ed è vissuto molto bene in vari paesi del mondo. Siamo immensamente dispiaciuti che i nazisti abbiano assassinato più di 6 milioni di ebrei durante la seconda guerra mondiale. Ma noi non pensiamo che ciò possa dare agli ebrei il diritto di occupare una parte della nazione araba. Consideriamo che il popolo palestinese ha diritto alla sua terra. Consideriamo dunque che le misure prese dai popoli arabi, dalla nazione araba per riconquistare la patria palestinese sono giustificate. Noi, in questo conflitto che mette in pericolo la pace del mondo, siamo totalmente per i popoli arabi che sosteniamo incondizionatamente. Speriamo che non vi sia più guerra, ma desideriamo che i popoli arabi riescano a liberare il popolo palestinese, a liberare la nazione araba da questo motivo di sconvolgimento e di dominazione imperialista che è Israele.
Qual’è la posizione del P.A.I.G.C. sulla lotta nel Viet-Nam?
La lotta nel Viet Nam, per noi, è come la nostra lotta. Consideriamo che nel Viet Nam si stanno giocando non soltanto i destini del nostro popolo, ma quelli di tutti i popoli che lottano per la loro indipendenza e sovranità nazionale Siamo solidali con il popolo del Viet Nam ed ammiriamo immensamente la sua lotta contro l’aggressione nord-americana, contro i reazionari della parte sud del Sud-Viet Nam che non sono altro che marionette dell’imperialismo U. S. A.
Diamo tutto il nostro sostegno al popolo vietnamita Nelle circostanze storiche attuali del nostro popolo, non possiamo offrire null’altro che di lottare tutti i giorni con decisione, con coraggio, contro i colonialisti portoghesi che sono anche i servi dell’imperialismo internazionale.
Cosa pensa della lotta rivoluzionaria latino-americana?
Nel quadro della nostra ferma posizione di solidarietà di fronte ai popoli, pensiamo che quelli dell’America Latina hanno sofferto molto. L’indipendenza dei popoli latinoamericani è stata una falsa indipendenza. I popoli della America Latina non sono mai stati veramente indipendenti. Si sono costituiti dei governi che si sono interamente sottomessi all’imperialismo ed in particolare all’imperialismo nordamericano. Tutti sanno che la dottrina di Monroe è stata il punto di partenza della dominazione totale della America Latina. Ciò significa che i popoli latino-americani che erano stati sottomessi al giogo spagnolo, o portoghese come nel caso brasiliano, sono passati sotto il giogo imperialista nonostante che avessero avuto dei governi; detto altrimenti, la loro indipendenza era fittizia.
Oggi i popoli dell’America Latina (il cui sviluppo ha raggiunto un livello più alto di quello dei popoli africani, e dove le contraddizioni di classe si definiscono meglio e dove, per conseguenza, le posizioni dei diversi individui, rispetto alla vera indipendenza, sono più chiare) sono decisi e lo provano nella pratica, ad utilizzare i mezzi necessari per lottare per la loro autentica indipendenza nazionale.
Non possiamo far altro che dare loro tutto il nostro sostegno. Noi seguiamo con molta attenzione gli sviluppi dei nuovi focolai guerriglieri in America Latina. Speriamo che si sviluppino ogni giorno di più; che i dirigenti mostrino la loro decisione in questa lotta.
Consideriamo che ogni popolo, ogni governo è libero di scegliere la via che gli conviene per la lotta, ma speriamo anche che ogni popolo, ogni governo saprà riconoscere il momento della vera lotta, poiché il nemico lotta con tutti i mezzi, sempre. Si possono avere delle discussioni per sapere se si deve o meno impegnarsi nella lotta armata; nel quadro della liberazione dei popoli, non esiste il problema della lotta armata o no. Per noi, vi è sempre lotta armata. Vi sono due tipi di lotta armata: quella durante la quale i popoli combattono a mani nude, senza armi, e in cui l’imperialismo ha delle armi ed uccide la gente; e la lotta armata in cui noi proviamo che non siamo pazzi. È in quest’ultimo tipo di lotta clic anche noi prendiamo le armi per rispondere a quelle criminali degli imperialisti.
Noi crediamo che il popolo d’America Latina ha già compreso ciò e dà prova della sua lucidità prendendo le armi per lottare coraggiosamente contro le forze reazionarie imperialiste che infestano il continente nordamericano.
NOTE
[*] Intervista concessa alla Tricontinentale, resa a Conakry al ritorno dal fronte dell’est. Pubblicato nel 1969.
CREDITS
Immagine in evidenza: Guerriglieri del PAIGC che trasportano le parti di un cannone senza rinculo B10 (82 mm) di fabbricazione sovietica.
Autore: sconosciuto; anni tra il 1966 e il 1970
Licenza: public domain
Immagine originale ridimensionata e ritagliata