Amilcar Cabral – capitolo I di “L’arma della teoria” scritti di Amilcar Cabral
1. L’assurdità della nostra situazione.
La situazione dei nostri popoli, come quella degli altri dominati dal Portogallo, sembra assurda. I diritti fondamentali dell’uomo, le libertà essenziali, il rispetto della dignità umana, tutto ciò è sconosciuto nel nostro paese. Mentre le potenze coloniali accettano, in generale, il principio dell’autodeterminazione dei popoli, cercando di trovare, ciascuna a proprio modo, una soluzione al conflitto che li oppone ai popoli oppressi, il governo portoghese si intestardisce a mantenere il dominio e lo sfruttamento su 15 milioni di esseri umani, di cui 12 milioni sono africani.
Mentre la stragrande maggioranza dei popoli africani, malgrado le contraddizioni e le difficoltà che affrontano, hanno iniziato la pacifica costruzione del progresso, i nostri popoli sono costretti, per colpa dei colonialisti portoghesi, a continuare a vivere in estrema miseria, nell’ignoranza e nella paura.
I colonialisti portoghesi cercano, e, per quanto facciano, senza risultati, di convincere l’opinione pubblica mondiale che essi non hanno delle colonie e che i nostri paesi africani non sono altro che delle «provincie del Portogallo» [1]
I colonialisti portoghesi perseguitano, arrestano, torturano, uccidono, massacrano, conducono una guerra coloniale in Angola e si preparano febbrilmente ad una nuova guerra nella Guinea «portoghese» e nelle isole del Capo Verde. Tuttavia, la situazione imposta ai nostri popoli dai colonialisti portoghesi non è così assurda come si potrebbe credere. Evidentemente, la violenza e la menzogna furono, e sono ancora, le principali armi di qualunque genere di colonialismo. Nondimeno, quando il paese colonizzatore ha un governo fascista, quando il popolo di questo paese è in maggioranza analfabeta, non conosce né gode i diritti fondamentali dell’uomo ed ha un livello di vita molto basso, quando, ancora, l’economia della metropoli è ad un livello di sotto-sviluppo, com’è il caso del Portogallo, la violenza e la menzogna raggiungono un grado senza precedenti, la mancanza di rispetto per la dignità dell’uomo africano passa tutti i limiti.
Nel corso di questi ultimi trentacinque anni, questa situazione si è fortemente aggravata. Caricature del sistema politico ed economico portoghese, nuove forme di oppressione e repressione furono messe in pratica, ed i nostri popoli cominciarono a vivere in un autentico stato d’assedio. Per molto tempo, il governo fascista del Portogallo è riuscito col silenzio, il cinismo e l’ipocrisia ad impedire che l’opinione pubblica mondiale venisse a conoscenza dei crimini perpetrati. Non bisogna dimenticare che il temporaneo successo di questa politica del silenzio è stato in gran parte dovuto alla complicità e all’aiuto di alcune forze economiche di altri paesi, le quali avevano, ed hanno ancora, il più grande «interesse» a conservare le colonie portoghesi [2].
Non si tratta più qui di smascherare i colonialisti portoghesi, il cui mostruoso comportamento è oggi estremamente evidente. Noi vogliamo unicamente ricordare che la denuncia del crimine coloniale è stata opera degli stessi popoli delle colonie portoghesi, il risultato di un sistematico piano rivoluzionario, realizzato dai patrioti africani a livello internazionale. Affrontando i più grandi sacrifici e la resistenza (si legga ostilità) di alcuni ambienti occidentali, questi patrioti africani, coscienti della necessità strategica di isolare i colonialisti portoghesi anche dai loro alleati, non hanno risparmiato sforzi per la riuscita di questa missione storica.
La certezza della nostra vittoria totale sul colonialismo portoghese, sul piano internazionale, è oggi evidente. Essa fu sancita dalla Assemblea generale dell’ONU del 14 dicembre 1960 che confermò, a stragrande maggioranza, la risoluzione del Consiglio di Tutela che esigeva dal Portogallo informazioni precise sulla situazione dei popoli che dominava.
Anche tenendo conto del carattere formale, morale di questa vittoria, essa rappresenta un gran passo in avanti nella nostra lotta di liberazione, poiché noi siamo riusciti ad isolare il nostro nemico.
Nessuna forza potrebbe sviarci dalla nostra determinazione, né evitare la liquidazione totale ed urgente della dominazione portoghese sul nostro paese. Comunque, liberarsi dalla dominazione straniera non è il solo desiderio dei nostri popoli. Essi hanno imparato per esperienza e sotto l’oppressione coloniale che lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è il maggiore ostacolo allo sviluppo ed al progresso di un popolo, al di là della liberazione nazionale. Esso è determinato a partecipare attivamente alla costruzione di un’Africa nuova, realmente indipendente e progressista, fondata sul lavoro e la giustizia sociale, in cui la potenza creativa dei nostri popoli, soffocata per secoli, dovrà trovare la sua più libera e costruttiva espressione.
Siamo coscienti del fatto che la nostra vittoria non sarà facile. Noi abbiamo una esperienza multisecolare della natura del nostro nemico e delle particolarità che lo caratterizzano, rispetto alle altre forze colonialiste. Nonostante che esso sia isolato, non dimentichiamo che dispone ancora di forze distruttive superiori alle nostre, che è aiutato da altre forze nemiche della libertà e del progresso dei popoli africani. Noi lottiamo anche contro l’imperialismo mondiale.
2. Le caratteristiche essenziali del nostro tempo. L’agonia dell’imperialismo. Il caso portoghese.
L’imperialismo, o la tappa monopolista del capitalismo, non è potuto sfuggire alle proprie contraddizioni e, con la violenza, le potenze vincitrici della Prima Guerra mondiale hanno fatto una nuova spartizione del globo, fondata in particolare sul rafforzamento della posizione coloniale dell’Inghilterra e della Francia, sulla esclusione della Germania dallo sfruttamento diretto dei popoli e dei paesi detti arretrati.
Nella fase finale di questo conflitto, la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre e la stabilizzazione definitiva del socialismo su un sesto della terra, hanno inferto all’imperialismo il primo grande colpo. Privato delle fonti di materie prime e dei superprofitti, il capitale finanziario tedesco, alleatosi al capitale italiano e giapponese, ha cercato di risolvere il problema passando per la via più breve: colonizzare i propri vicini europei.
La Seconda Guerra mondiale fu il risultato degli antagonismi che caratterizzarono lo sviluppo dell’imperialismo, ma essa ha influenzato in maniera decisiva il destino di altri popoli, particolarmente quelli africani.
A fianco del rafforzamento del campo socialista, un’altra caratteristica essenziale della nostra epoca è costituita dal risveglio dei paesi dipendenti, che hanno iniziato la lotta di liberazione, dando corso, in questo modo, alla fase finale della liquidazione dell’imperialismo. La risoluzione finale di questo nuovo conflitto, può richiedere più o meno tempo, ma è indubitabile che, più ancora della lotta delle classi nei paesi capitalisti e l’antagonismo fra questi paesi ed il mondo socialista, la lotta di liberazione dei popoli coloniali è la caratteristica essenziale, direi il motore principale, della marcia della storia della nostra epoca: è a questa lotta, a questo conflitto su tre continenti, che si integra la nostra lotta di liberazione nazionale contro il colonialismo portoghese. Di fronte alla potenza delle principali nazioni imperialiste, non si può che domandarsi come è stato possibile al Portogallo, paese sotto-sviluppato ed arretrato, mantenere le sue colonie, malgrado la redistribuzione di cui fu oggetto il mondo.
Il colonialismo portoghese è riuscito a sopravvivere malgrado la spartizione dell’Africa, realizzata dalle potenze imperialiste alla fine del XIX secolo, perché l’Inghilterra aveva sostenuto le ambizioni del Portogallo che, dopo il trattato di Metwen (1703), era divenuto una semicolonia inglese.
L’Inghilterra aveva interesse a servirsi delle colonie portoghesi, non solo per sfruttarne le risorse economiche, ma anche per occuparle come basi di appoggio nella rotta per l’Oriente, mantenendo così una dominazione assoluta nell’Oceano Indiano.
Per ottenere l’avidità delle altre potenze coloniali e difendere i propri interessi nelle colonie portoghesi, la Inghilterra ha trovato la migliore delle soluzioni: essa ha difeso i diritti della sua «semi-colonia».
È per questo che, per esempio, il Portogallo ha concesso ad una impresa privata, dominata da interessi inglesi, dei diritti sovrani su una estensione corrispondente al 17% del territorio del Mozambico.
Di fatto, il Portogallo non è stato che il guardiano, talvolta invidioso, delle risorse umane e materiali del nostro paese, al servizio dell’imperialismo mondiale [3].
Ecco la vera ragione della sopravvivenza del colonialismo portoghese in Africa e del possibile prolungamento della nostra lotta. Dunque, più della presenza di qualche altra potenza in Africa, quella del Portogallo fu, e resta tuttora, dipendente da altre potenze colonizzatrici, in particolare dall’Inghilterra.
3. La rivoluzione africana. Vittorie e sconfitte. L’evoluzione dell’Africa.
È sufficiente osservare la carta politica dell’Africa attuale per riconoscere che sono già state riportate grandi vittorie da parte dei popoli africani.
Ma è sufficiente anche aver seguito con attenzione gli avvenimenti essenziali di questa lotta per riconoscere che molti grandi errori sono stati commessi. L’anno 1960, «l’anno dell’Africa», è fertile di esempi concernenti le vittorie e le sconfitte delle lotte di liberazione dei popoli africani.
Ancora una volta, l’eroico popolo d’Algeria ha accelerato la marcia della storia. Parecchi popoli hanno visto le proprie aspirazioni beffeggiate da una indipendenza nominale. I popoli del Sud Africa, così come quelli del nostro paese, dell’Angola, del Mozambico e delle altre colonie portoghesi, continuano ad essere sottoposti al più violento sfruttamento ed alla più barbara repressione coloniale.
La pratica della solidarietà africana rivela una certa esitazione ed anche un’improvvisazione che i nostri nemici hanno saputo sfruttare in loro favore. Il più importante forse e sicuramente il più drammatico degli scacchi (e anche degli errori) è il caso del Congo, il cui coronamento fu l’assassinio di Patrice Lumumba.
In realtà, queste sconfitte e questi errori ci hanno insegnato delle cose molto importanti. Si può dire che l’anno 1960, e più precisamente il dramma del Congo, ha reso all’africano le sue dimensioni umane.
Di fronte alle nostre vittorie, o di fronte alle nostre sconfitte, non bisogna scordare che nessuno dei nostri nemici fu realmente e totalmente vinto e cacciato dall’Africa.
Tuttavia, se vogliamo neutralizzare l’azione ritardatrice compiuta dai nostri nemici e dai loro lacché, dobbiamo rafforzare i mezzi d’azione e la vigilanza della rivoluzione africana.
Siamo precisi: per noi, «rivoluzione africana», vuol dire trasformazione della vita economica attuale nel senso del progresso. Ciò esige, innanzi tutto, la liquidazione della dominazione economica straniera da cui ogni altro tipo di dominazione è dipendente.
La nostra «vigilanza», significa: selezione rigorosa degli amici, sorveglianza e lotta permanente contro i nemici (esterni ed interni), neutralizzazione o liquidazione di tutti i fattori contrari al progresso.
Nell’ora attuale, la difficoltà primaria — quella della conquista dell’autonomia politica — è già superata, malgrado la permanenza di qualche zona di colonialismo classico, i cui giorni sono contati; le più grandi difficoltà concernono la conquista dell’indipendenza economica, la lotta contro il neo-colonialismo. Il bilancio positivo del 1960, non può far scordare la realtà di una crisi di crescita e, soprattutto, di una «crisi di conoscenza».
In parecchi casi, la pratica della lotta di liberazione e la prospettiva dell’avvenire, sono non solamente prive di una base teorica, ma anche più o meno slegate dalla realtà concreta dell’ambiente.
Le esperienze locali riguardanti la conquista dell’indipendenza, l’unità nazionale e le basi per la costruzione del progresso, furono e sono scordate. Oggi, il nostro fondamentale problema, consiste nel risolvere le contraddizioni principali fra interessi del nostro popolo ed interessi dei colonialisti portoghesi.
Ciò vuol dire liquidazione urgente e totale della dominazione portoghese in Guinea e Capo Verde, in un combattimento per la vita o per la morte.
Noi contiamo, del resto, sull’appoggio e l’aiuto concreti dei popoli africani, specialmente dei nostri paesi vicini.
Pur essendo la lotta per l’indipendenza nazionale la nostra principale preoccupazione, dobbiamo però, attraverso la lotta di liberazione, inquadrare il problema dell’avvenire dei nostri popoli, della loro evoluzione economica, sociale e culturale sulla via del progresso.
Rispetto all’Africa, noi siamo per la collaborazione fraterna fra i popoli africani, contro i ristretti nazionalismi che non servono i veri interessi del popolo. Una analisi geografica, storica ed anche etnica dell’Africa, consente di ammettere che delle nuove forme di esistenza economica, politica e sociale sono in sviluppo sul continente.
Attraverso le contraddizioni ed anche i conflitti, queste nuove forme, ancora embrionali, si definiranno progressivamente nella loro struttura e, forse, nella loro originalità.
Noi siamo per l’unità africana, a livello regionale o continentale, in quanto mezzo necessario alla ricostruzione del progresso dei popoli africani, e per garantire la loro sicurezza e la continuità di questo progresso.
4. Il nostro nemico. Isolamento e contraddizioni. La lotta del popolo dell’Angola e delle altre colonie.
I nostri popoli distinguono fra il governo coloniale fascista ed il popolo del Portogallo: essi non lottano contro il popolo portoghese. Tuttavia, la situazione oggettiva delle larghe massi popolari del Portogallo, sfruttate ed oppresse dalle classi dirigenti del loro paese, deve fare loro comprendere i grandi vantaggi che verrebbero ad esse dalla vittoria dei popoli africani sul colonialismo portoghese.
Agli ambienti colti del Portogallo, e specialmente a quelli democratici e progressisti, spetta il compito di aiutare il popolo portoghese a distruggere le vestigia virulente dell’ideologia schiavista e colonialista le quali determinano, in modo generale, il suo comportamento negativo di fronte alla giusta lotta dei popoli africani.
Tuttavia, questi ambienti colti dovranno, per questo, vincere anche la loro mentalità imperialista, fatta di pregiudizi e di disprezzo infondati di fronte al valore ed alle reali capacità dei popoli africani.
I democratici portoghesi saranno effettivamente nell’impossibilità di comprendere le giuste rivendicazioni dei nostri popoli, finché non saranno convinti che la tesi di «immaturità per l’autodeterminazione» è falsa e che l’oppressione non è e non sarà mai una scuola di virtù e di capacità.
Bisogna ribadire chiaramente che pur essendo contro qualunque forma di fascismo, i nostri popoli non lottano contro il fascismo portoghese: noi lottiamo contro il colonialismo portoghese. La distruzione del fascismo in Portogallo dovrà essere compito dello stesso popolo portoghese: la distruzione del colonialismo portoghese sarà compito nostro. Se il crollo del fascismo in Portogallo potesse non implicare la fine del colonialismo portoghese — questa ipotesi era d’altronde sostenuta da qualche leader portoghese d’opposizione — noi siamo certi che la liquidazione del colonialismo portoghese comporterà la distruzione del fascismo in Portogallo.
Con la nostra lotta di liberazione, noi contribuiamo efficacemente alla caduta del fascismo portoghese e diamo al popolo del Portogallo la migliore prova di solidarietà.
Questo fattore è un motivo di fierezza per i nostri popoli che si aspettano dal popolo portoghese la stessa solidarietà, per il rafforzamento della lotta contro il fascismo.
Se l’opposizione portoghese fosse stata capace di realizzare la propria unità, di accettare apertamente il principio di auto-determinazione ed indipendenza per i nostri popoli (come già hanno fatto alcuni suoi settori), e di guidare il popolo portoghese nell’azione diretta contro il fascismo, noi saremmo sul punto di considerare un’alleanza fra le nostre forze e quelle democratiche e progressiste portoghesi, per la liquidazione simultanea del colonialismo e del fascismo portoghesi.
La lotta comune contro le stesse forze nemiche, creerebbe le basi di una amicizia e di una futura collaborazione al servizio degli interessi dei nostri rispettivi popoli.
Per molto tempo i nostri popoli hanno sperato in una pacifica soluzione. Ma il governo portoghese è ricorso alla guerra coloniale di sterminio in Angola. Oggi noi siamo fermamente convinti che i colonialisti portoghesi possono essere cacciati dall’Africa solo con la forza.
Per ciò che concerne l’O.N.U., malgrado le risoluzioni favorevoli che la solidarietà dei popoli africani ed asiatici e delle forze progressiste del mondo ha fatto adottare a proposito della nostra lotta, essa si è dimostrata incapace di risolvere i conflitti fra popoli colonizzati e potenze colonialiste. L’ipotesi di un cambiamento di posizione, o di deterioramento del colonialismo portoghese, non è che un sogno opportunista o il risultato di una analisi errata della natura della colonizzazione portoghese.
Non resta dunque che una strada: prepararci il meglio possibile per distruggere, nel nostro paese, le principali forze dei colonialisti portoghesi.
I nostri popoli hanno formato con quelli delle altre colonie portoghesi un fronte unito di lotta contro il colonialismo portoghese.
La Conferenza delle Organizzazioni Nazionaliste delle Colonie Portoghesi (Casablanca, 18-21 aprile 1961) e la creazione d’un organismo permanente di coordinazione della nostra lotta comune, costituiscono la più recente manifestazione di questa unità.
Nondimeno, il governo portoghese è cosciente di una realtà: nessuna forza potrà impedire la liquidazione totale del colonialismo portoghese.
La dialettica della repressione coloniale ha provato che, ai nostri giorni, nessun aggressore colonialista può essere vincitore dei popoli decisi a conquistare la loro libertà.
Coscienti del fatto che la liberazione dipende principalmente dall’azione dei nostri popoli, dalla loro unità, dalla loro capacità d’organizzazione e preparazione alla lotta, noi siamo fermamente determinati a sviluppare la nostra battaglia.
5. La situazione del nostro paese. Lo sviluppo e le prospettive della lotta.
La resistenza del popolo della Guinea e del Capo Verde non ha mai cessato di manifestarsi: rivolte, resistenza passiva, emigrazioni in massa verso i territori vicini, rifiuto totale di pagare l’imposta di sovranità portoghese, innumerevoli rivolte hanno espresso, dopo il periodo dello schiavismo, l’odio del popolo verso la dominazione portoghese. Particolarmente a S. Tiago, S. Antâo e S. Vicente, con manifestazioni, scioperi e rivolte, il popolo si è sollevato più volte contro i padroni della terra e contro la dominazione straniera. La nostra lotta si rinnova.
In Guinea, dopo il massacro di Pidjiguiti (Bissao, 3 agosto 1959) nel corso del quale militari e civili portoghesi uccisero decine di lavoratori guineani in sciopero, un’ondata di repressione e terrore, orchestrata e comandata dalla P.I.D.E. (polizia politica) rese ancora più dura la vita e la lotta del popolo di Guinea.
Nello stesso tempo, l’amministrazione coloniale è riuscita a creare, con l’aumento dell’esportazione di riso ottenuto a spese d’una gran parte del popolo guineano, una nuova arma d’oppressione: la fame.
Sempre recentemente, oltre alla repressione poliziesca ed armata, l’amministrazione coloniale ha utilizzato delle tattiche non violente (regali, subordinazioni, invito dei «capi tradizionali» in Portogallo, concessione di borse di studio, emissioni radiofoniche speciali per gli «indigeni», creazione di dissidi e liti fra diversi gruppi etnici) con l’obbiettivo di conquistare a sé una parte della popolazione e di «dividere per regnare». L’amministrazione coloniale è rimasta disorientata davanti alla ferma determinazione del popolo guineano, dopo lo scarico di alcuni «meetings» di sondaggio, concernenti la presenza portoghese.
Per assicurarsi l’appoggio di alcune potenze, il governo portoghese accorda delle grandi facilitazioni ai capitali non portoghesi per lo sfruttamento coloniale delle ricchezze naturali (petrolio, bauxite etc…) e dei valori umani in Guinea. Inoltre, egli auspica l’installazione di basi militari della NATO in Guinea e nelle isole del Capo Verde, sperando di rafforzare i mezzi di repressione. Il governo portoghese sta ancora elaborando un piano per l’urgente invio di migliaia di famiglie di coloni portoghesi in Guinea, ritenendo che l’aumento della popolazione europea potrà fermare lo sviluppo della nostra lotta di liberazione.
Intanto, nelle isole del Capo Verde, il governo portoghese ha lasciato morire di fame, ancora una volta, tra il 1958 e il 1959, circa 10.000 persone. La popolazione capoverdiana che nel corso di sei anni (dal 1942 al 1947) era diminuita di 30.000-40.000 abitanti, decimati dalla fame, e sempre alla mercé di pretese «crisi agricole» e sottomessa allo «spostamento» di migliaia di suoi figli, in quanto «lavoratori sotto contratto», verso le piantagioni portoghesi delle altre colonie.
La disoccupazione ha raggiunto limiti catastrofici, soprattutto a S. Vicente, dove centinaia di operai sono stati licenziati dalle compagnie inglesi. I contadini, che costituiscono la maggioranza della popolazione e la sua totalità nelle isole agricole (S. Tiago, S. Antào, S. Nicolau, Fogo) vivono alla mercé delle piogge, giacché lo pseudo «piano di sviluppo economico» non è altro che una mistificazione, una fonte di arricchimento delle autorità coloniali. L’emigrazione massiva clandestina verso il Senegal è una prova evidente della situazione disperata in cui il popolo del Capo Verde è costretto a vivere.
Questa condizione, paragonabile a quella della Guinea, è divenuta molto difficilmente sopportabile con l’accentuarsi della repressione poliziesca.
In Guinea, la produzione agricola, sola base dell’economia, fondata del resto sulla monocoltura dell’arachide, registra dei cali progressivi. Migliaia di contadini abbandonano le loro zone e cercano nei paesi vicini la pace ed i mezzi indispensabili al sostentamento.
Così migliaia di Balanta entrano nella Repubblica di Guinea, mentre i coltivatori d’arachide si installano nella Repubblica del Senegal.
Nelle zone urbane, là dove la repressione è più intensa, i lavori intrapresi dallo Stato e dalle imprese private sono stati sospesi. Centinaia di operai sono stati licenziati senza alcuna giustificazione. Numerose imprese, soprattutto quelle situate nella boscaglia, hanno cessato le loro attività, strangolate dal monopolio della C.U.F. (Compagnia-Unione-Fabril), vera padrona della Guinea, o spinte dalla paura delle conseguenze della nostra lotta di liberazione.
La situazione politica è dunque ogni giorno più tesa. La Guinea vive oggi in stato d’assedio, essendo tutti i coloni armati e le popolazioni autoctone sottomesse a frequenti provocazioni da parte dei militari e della polizia coloniale.
Per far fronte alla marea montante della nostra lotta di liberazione, i colonialisti portoghesi rafforzano senza tregua l’esercito. Quasi tutte le settimane, arrivano in Guinea dei battelli che sbarcano soldati e materiale bellico.
Circa 350 patrioti africani si trovano detenuti nelle prigioni della P.I.D.E. e parecchie centinaia di essi sono stati deportati nei campi di concentramento dell’isola di Galinhas; a Bissao si comincia a mormorare che le P.T.T. cesseranno presto di funzionare, giacché una gran parte degli impiegati si trovano imprigionati o in fuga verso i paesi vicini.
Lo stesso dicasi per la Banca Nazionale d’OItre-Mare, poiché la crisi economica non ha, né può avere, una soluzione.
Nel Capo Verde, dove la miseria, particolarmente nelle isole più svantaggiate, raggiunge i limiti della disperazione, oltre un centinaio di giovani sono stati arrestati a Mindêlo e a Praia e deportati nel campo di concentramento di Tarrafal. Misure di sicurezza repressiva sono state adottate contro gli intellettuali particolarmente popolari. Risultato concreto del lavoro rivoluzionario dei patrioti africani, la coscienza delle masse popolari aumenta continuamente, ed esse si impegnano nella lotta di liberazione, non chiedendo che dei mezzi efficaci per liquidare le forze colonialiste.
Ma la nostra lotta ha riportato una vittoria di più vasta portata con l’unità fra i patrioti guineani e capoverdiani residenti in Guinea, in seno al P.A.I.G.C. ed al Fronte che esso ha creato.
I colonialisti portoghesi, che hanno sempre cercato di separare i guineani dai capoverdiani, sono rimasti disorientati di fronte alla solida unione di tutti gli africani.
Oggi, le prigioni sono piene di guineani e capoverdiani, e la lotta per la liquidazione del colonialismo portoghese ha rafforzato i legami storici e di sangue che uniscono questi due popoli.
Quali che siano le forze dei nostri nemici, la nostra vittoria sul colonialismo portoghese dipende principalmente da noi stessi, dai nostri militanti. Noi dobbiamo essere coscienti delle forze reali di cui disponiamo, fondare il nostro lavoro rivoluzionario sulle masse popolari.
Nondimeno, è evidente che l’aiuto concreto e l’appoggio dei paesi vicini, potranno giocare un ruolo importante e decisivo, se i loro dirigenti lo vorranno. Noi siamo sicuri della solidarietà di tutti i popoli africani con la nostra lotta. Siamo coscienti del fatto che la nostra lotta di liberazione nazionale non serve solamente ai nostri popoli: essa serve ugualmente agli interessi fondamentali ed al progresso di tutti i popoli africani e del mondo.
NOTE
[*] Articolo pubblicato dalla rivista «Partisans», n. 7, 1962.
[1] ↑ L’accezione esatta data dai portoghesi è «provincie d’oltre mare»
[2] ↑ Un elenco abbastanza completo degli interessi stranieri in Guinea detta portoghese è contenuta nell’appendice di Lotta armata in Africa, di G. Chailland, Ed. Lerici.
CREDITS
Immagine in evidenza: Appello mattutino alla base del PAIGC a Hermangono.
Autore: Roel Coutinho; 1974
Licenza: Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Immagine originale ridimensionata e ritagliata