“Nessuno ha ancora realizzato una rivoluzione vittoriosa senza una teoria rivoluzionaria”
(Intervento alla Prima Conferenza Tricontinentale di La Havana, 6 gennaio 1966)
Rete dei Comunisti in “L’arma della teoria” scritti di Amilcar Cabral
A cinquant’anni dal suo assassinio, il 20 gennaio 1973, ad opera di agenti infiltrati della polizia segreta portoghese, Amilcar Cabral rimane una delle figure storiche e politiche più importanti della lotta per l’indipendenza e la decolonizzazione dell’Africa, del panafricanismo e dell’internazionalismo rivoluzionario contro la dominazione imperialista.
Nato da genitori capoverdiani in Guinea-Bissau – allora colonia portoghese – il giovane Amilcar Cabral partì nel 1945 per il Portogallo per studiare agronomia. A Lisbona incontrò altri studenti provenienti dalle colonie portoghesi e che da lì a poco diventeranno i leader dei movimenti di indipendenza nei rispettivi Paesi, come Agostinho Neto (MPLA) in Angola o Eduardo Mondlane e Marcelino dos Santos (Frelimo) in Mozambico.
Il ritorno di Cabral in Africa fu una scelta politica e di vita chiara, avendo rinunciando ad un posto di ricercatore a Lisbona per un lavoro come responsabile del censimento agricolo in Guinea. Questa esperienza gli permise di attraversare il paese per due anni, di osservare il funzionamento socio-politico del sistema coloniale portoghese e, in seguito, di proporre una dettagliata analisi delle società guineane e capoverdiane, base fondamentale della strategia di lotta per l’indipendenza.
Nel 1956, Cabral creò, insieme ad un gruppo di compagni, il Partito africano d’indipendenza della Guinea e di Capo Verde (PAIGC), evidenziando già dalla scelta del nome come “nessuno può dubitare, nel nostro popolo come in qualsiasi altro popolo africano, che questa guerra di liberazione nazionale in cui siamo impegnati appartenga a tutta l’Africa”. In modo particolarmente originale per l’epoca, la nuova organizzazione incluse fin dall’inizio sia l’arcipelago di Capo Verde che la Guinea-Bissau nella sua lotta.
Il PAIGC comincerà il suo lavoro clandestino nelle grandi città, alla ricerca di quel “proletariato urbano” considerato “tradizionalmente” punta di lancia della lotta contro il colonialismo portoghese. Una scelta che tuttavia non si rivelò particolarmente fruttuosa per la crescita del PAIGC, che in quegli anni poteva contare su una cinquantina di militanti attivi quasi esclusivamente a Bissau.
La scelta di un cambiamento radicale di strategia avvenne solo dopo un tragico evento, che determinò un’accelerazione nella strutturazione della resistenza e contestualmente di costruzione dell’offensiva. Su iniziativa del PAIGC, il 3 agosto 1959 una manifestazione dei lavoratori portuali si concluse con un massacro al porto di Pidjiguiti. Da quel momento, il partito decise di sviluppare la lotta armata e di concentrare la sua attività nelle aree rurali. La diffidenza verso il dogmatismo e la necessità di uno sforzo teorico ancorato alla realtà concreta furono le due lezioni di cui Amilcar Cabral fece tesoro nel corso degli anni successivi.
Grazie alla “analisi concreta della situazione concreta” – Mehdi Ben Barka lo soprannominò addirittura il “Lenin africano” –, Amilcar Cabral sviluppò il suo pensiero teorico e la sua strategia pratica per organizzare la lotta armata contro il potere coloniale portoghese. L’esperienza acquisita durante il suo lavoro per il censimento e lo studio profondo delle “divisioni e contraddizioni” delle società guineana e capoverdiana permisero a Cabral di individuare quali gruppi sociali fossero maggiormente in grado di sostenere la lotta contro il colonialismo.
Spesso ridotto esclusivamente a “stratega militare”, per Cabral organizzare e sviluppare la lotta di liberazione nazionale era possibile non solo attraverso una profonda e basilare conoscenza della “situazione concreta” del Paese, ma anche con un’adeguata formazione teorica e politica dei suoi compagni: “noi siamo dei militanti armati, non dei militari”.
Infatti, la lotta armata lanciata nel 1963 fu preceduta da un lungo e paziente lavoro di preparazione politica dei militanti, formati dallo stesso Cabral, e di presa di contatto e conoscenza nelle campagne, tra le popolazioni locali e i contadini. È in questa fase preliminare all’avvio della lotta armata che in Cabral si rafforzò la convinzione di “non avere paura del popolo e coinvolgerlo in tutte le decisioni che lo riguardano: è questa la condizione di base della democrazia rivoluzionaria che dobbiamo realizzare gradualmente”.
Le prime azioni armate ebbero luogo nell’estate del 1962 e in pochi anni le forze rivoluzionarie ottennero il controllo di gran parte del territorio. Le truppe portoghesi, asserragliate nelle zone urbane, decisero di bombardare le aree rurali per terrorizzare la popolazione civile, mentre i paesi NATO continuavano a fornire al regime fascista di Salazar equipaggiamenti militari, munizioni e tutto quando fosse necessario per questi massacri.
Cabral ha sempre messo la teoria al servizio della pratica, avendo una prospettiva migliore sugli sviluppi storici in corso nel continente africano. Poiché la decolonizzazione portoghese era in ritardo rispetto alle altre, Cabral e i suoi compagni poterono studiare le esperienze – gli aspetti positivi e negativi – delle prime indipendenze e beneficiare del contributo teorico e politico di coloro che li avevano preceduti sulla strada della liberazione. Rimane iconica la frase pronunciata alla Conferenza di Algeri nel 1968: “I cristiani vanno in Vaticano, i musulmani alla Mecca e i rivoluzionari ad Algeri”.
La visione di Cabral e dei suoi compagni non poteva che basarsi su un cosciente internazionalismo: la loro lotta sarebbe stata pienamente vittoriosa soltanto in un rapporto di forza internazionale favorevole alle rivoluzioni che si andavano moltiplicando nel mondo, dopo la sconfitta storica dell’imperialismo occidentale a Dien Bien Phu nel 1954. Numerosi furono gli scambi e le relazioni con i movimenti di liberazione dell’Africa e dell’Asia, nonché con le giovani rivoluzione di Cuba e dell’Algeria.
Dall’incontro con Che Guevara nel 1965 e con Mehdi Ben Barka, nacque l’idea di organizzare la Prima Conferenza della Tricontinentale che avrà luogo l’anno successivo (il 6 gennaio 1966) a La Havana. In quella sede, Cabral pronunciò il suo discorso su “L’arma della teoria”, presentato a nome dei tre movimenti contro il potere colonialista portoghese, ovvero il PAIGC, il MPLA et il Frelimo, che rappresenta uno dei testi di riferimento per comprendere a pieno il suo pensiero rivoluzionario.
“Se è vero che una rivoluzione può fallire, anche se alimentata da teorie perfettamente concepite, nessuno ha ancora realizzato una rivoluzione vittoriosa senza teoria rivoluzionaria”, osservava Cabral nello sforzo costante di spiegare l’importanza della teoria e il suo rapporto con la pratica rivoluzionaria nella situazione concreta.
Non accontentarsi dell’indipendenza formale, avere come ambizione la liberazione sociale del continente africano all’interno di una visione della lotta globale dei dominati e darsi i mezzi teorici e pratici per raggiungerla, sono le conclusioni dell’evoluzione politica di Amilcar Cabral. “I colonialisti hanno l’abitudine di dire che sono stati loro a farci entrare nella storia. Oggi dimostreremo che non è così: ci hanno portato fuori dalla storia, dalla nostra Storia, per seguirli sul loro treno, all’ultimo posto, sul treno della loro storia”, disse nel 1965 alla Conferenza di Dar es Salaam, in Tanzania.
Per Cabral, si trattava di riprendere la dinamica storica interrotta dalla colonizzazione, anche dal punto di vista culturale. L’espulsione definitiva della dominazione coloniale, che per Cabral era molto più difficile della dipartita fisica del colonizzatore, presupponeva la ripresa in mano della cultura da parte della popolazione non più sfruttata. Un’impresa che non aveva nulla di idealistico, ma che passava concretamente dalla trasformazione della vita concreta degli uomini delle donne, a partire proprio dalle zone liberate dal giogo coloniale.
“Poiché la dominazione imperialista è la negazione del processo storico della società dominata [e] necessariamente del suo processo culturale, la lotta di liberazione è soprattutto un atto di cultura. […] La dinamica della lotta richiede la pratica della democrazia, della critica e dell’autocritica, la crescente partecipazione del popolo alla gestione della propria vita, l’alfabetizzazione, la creazione di scuole e servizi sanitari, la formazione di quadri provenienti da ambienti contadini e operai, e molte altre conquiste che implicano una vera e propria marcia forzata della società sulla strada del progresso culturale. Questo dimostra che la lotta di liberazione non è solo un fatto culturale, ma anche un fattore culturale”.
Il 24 settembre 1973 la Guinea-Bissau proclamò la sua indipendenza, riconosciuta ufficialmente dal Portogallo soltanto il 10 settembre dell’anno successivo. Di lì a poco, la “rivoluzione dei garofani” dell’aprile 1974 fece crollare il regime di Salazar. Il 30 giugno del 1975 i capo-verdiani elessero l’Assemblea nazionale e Aristides Pereira, uno dei dirigenti del PAIGC, divenne primo presidente del Paese.
Nonostante nei fatti e sul campo le forze rivoluzionarie del PAIGC avessero già vinto la per l’indipendenza, Cabral rimaneva con il suo portato teorico e carismatico un rivoluzionario troppo pericoloso per l’imperialismo occidentale che decise di assassinarlo il 20 gennaio 1973, come fatto con altri prima e dopo di lui (da Patrice Lumumba a Thomas Sankara). Cabral non vide il risultato compiuto del suo impegno militante, ma la sua eredità teorica e pratica costituisce un tassello fondamentale per comprendere le sfide politiche, sociali ed economiche che ancora oggi vedono protagonisti nuove generazioni di attivisti e militanti panafricanisti contro il dominio neocoloniale e il saccheggio imperialista del continente africano.
Pertanto, in occasione nel 50esimo anniversario del suo assassinio, abbiamo deciso di mettere a disposizione di tutti coloro che sono interessati ad approfondire il pensiero di Amilcar Cabral una rara raccolta in italiano dei suoi testi e discorsi pubblicata nel 1971 con il titolo “Guerriglia: il potere delle armi”. Per accompagnare questa lettura, oltre a questa nostra introduzione, abbiamo inoltre tradotto la prefazione di Amzat Boukari-Yabara alla raccolta francese “Ne faites pas croire à des victoires faciles”.
CREDITS
Immagine in evidenza: Amilcar Cabral e Fidel Castro alla Prima Conferenza Tricontinentale, Cuba
Autore: sconosciuto; gennaio 1966
Licenza: public domain
Immagine originale ridimensionata e ritagliata