Massimo Gabella
Nel momento in cui la storia conosce un nuovo passaggio di fase, dalla nuova globalizzazione (o mondializzazione) capitalista seguita al crollo dell’Unione Sovietica alla competizione globale tendente con sempre maggior decisione alla guerra, il processo di costruzione di un’ipotesi adeguata di socialismo per il XXI secolo – che abbia solide basi teoriche e storiche – necessita anche di un approfondimento di ricerca su un doppio binario: da un lato, la teoria marxista, dall’altro la storia del movimento comunista e operaio e dunque l’analisi dei fondamentali snodi storici con cui esso si è dovuto misurare.
L’interesse non solo accademico per una figura come Antonio Labriola sta nell’intreccio tra questi due piani di ricerca, su cui egli si misura da protagonista. Rispetto a questi piani la sua riflessione va inquadrata, per non ridurlo a figurina da inserire in uno statico pantheon di riferimenti teorici e politici – e tantomeno per inventarne un ruolo da precursore di un presunto «marxismo teorico italiano» privato di ogni prospettiva di fuoriuscita dal capitalismo – ma per tentare di coglierne punti forti e deboli, aspetti che ne conservano una rilevante attualità e difficoltà che solo la successiva esperienza storica e teorica del marxismo e del movimento comunista, in particolare nel loro sviluppo ad opera di Lenin e dei bolscevichi, avrebbero saputo affrontare in modo più adeguato.
Labriola nasce nel 1843 a Cassino, e giunge al socialismo e ad un primo approdo al marxismo solo nel 1890, al termine di una graduale e complessa evoluzione politica e filosofica che lo aveva visto partire da posizioni moderate, vicine alla Destra storica al governo nei primi anni dell’Italia unitaria.
Labriola è il primo interprete di livello e «traduttore» di Marx ed Engels in Italia; interviene assiduamente nel dibattito del socialismo italiano ed europeo, tenendo un fitto carteggio con dirigenti di primo piano del movimento operaio internazionale, a cominciare proprio dal vecchio Engels.
La sua opera di rielaborazione e sviluppo critico del marxismo, svolta fino alla morte nel 1904, è di assoluta profondità e originalità. Essa è in primo luogo consegnata ai tre Saggi intorno alla concezione materialistica della storia che egli pubblicò tra il 1895 e il 1897 (e che Lenin conobbe e apprezzò); ipotizzandone poi in più occasioni un quarto, che tuttavia non portò mai a termine.
Il marxismo come concezione del mondo e teoria rivoluzionaria
I Saggi forniscono un contributo di altissimo livello per pensare il marxismo come Weltanschauung, «concezione generale della vita e del mondo», in grado di offrire una visione oggettiva unitaria della realtà storico-sociale eporsi così all’apice del pensiero moderno. Non semplicemente invenzione soggettiva di Marx ed Engels, il marxismo è per Labriola «autocritica delle cose stesse», prodotto dello sviluppo complessivo della società moderna.
«Midollo» del materialismo storico è la «filosofia della praxis», dove «praxis» è principio dello sviluppo storico del lavoro sociale e insieme delle «attitudini mentali e operative» dell’essere umano: ciò che pone le basi per una trattazione raffinata del problema educativo, di contro a quelle che Labriola chiamava pedagogie «individualistiche e soggettive», saldamente egemoni oggi nel mondo della formazione in Occidente.
La sua non è in ogni caso un’operazione intellettualistica, ma un contributo per dotare il movimento operaio di una teoria rivoluzionaria, a suo avviso indispensabile per una azione politica storicamente incisiva.
Con i Saggi e un’azione politica a tutto tondo, egli non intende tanto divulgare e popolarizzare la teoria di Marx in Italia, quanto lottare nel campo socialista contro l’eclettismo e il positivismo – similmente a quanto Engels si era proposto di fare con l’Anti-Dühring – e contribuire a creare le condizioni teoriche per la formazione di un soggetto storico. Senza organizzazione politica non si dà coscienza di classe; ma, a sua volta, una vera organizzazione è per Labriola impensabile senza una solida base teorica.
Si tratta di un lavoro di prospettiva, destinato a non dare frutti immediati: la sua ipotesi esce sostanzialmente sconfitta dallo scontro con Turati dei primi anni ‘90, e il Partito socialista italiano – alla cui nascita nel 1892 pur diede un contributo rilevante – si svilupperà negli anni successivi con una impostazione eclettica e riformista, riservandogli un ruolo abbastanza marginale.
Di qui la successiva proposta gramsciana di «rimettere in circolazione» Labriola, proprio per l’accento posto sull’autonomia teorica e politica del proletariato e sulla sua concezione «forte» del marxismo come orientamento teorico/filosofico unitario.
Davanti all’imperialismo: «crisi» o sviluppo critico del marxismo?
A partire all’incirca dal 1896, il modo di produzione capitalistico supera la grande depressione dei decenni precedenti e avvia un nuovo ciclo espansivo; l’intreccio tra capitale industriale e finanziario impone nuove configurazioni globali dei processi produttivi e rilevanti modifiche delle strutture sociali e degli scenari politici, mentre la competizione tra le potenze per la spartizione del mondo si fa sempre più accesa, fino a sfociare più tardi nella Prima Guerra Mondiale.
È la maturazione della fase dell’imperialismo, che pone anche il marxismo e il movimento socialista davanti a un complesso di problemi teorici e politici inediti: basti qui ricordare quello del partito (esso deve fondamentalmente sostenere un proletariato inarrestabilmente creato e rafforzato dallo sviluppo industriale, oppure ha una più marcata funzione di direzione politica?), la questione coloniale (e dunque l’atteggiamento da adottare nei confronti dei popoli extra-europei) e la tendenza alla guerra (che mette in soffitta l’idea di un’unica, omogenea borghesia internazionale).
L’esigenza che si pone è insomma quella di adeguare gli strumenti analitici a disposizione, e di conseguenza la complessiva strategia politica.
In questo contesto, nel marxismo dell’epoca della Seconda Internazionale emergono oscillazioni e ambiguità, e si verificano polarizzazioni e vere e proprie fratture.
Se in buona parte del socialismo europeo le tendenze riformiste gradualmente prendono il sopravvento, fino ad arrivare all’appoggio di molti partiti ai rispettivi governi nel 1914 (emblematico il caso della Socialdemocrazia tedesca, riferimento del movimento operaio internazionale), è in questo stesso contesto che si sviluppa il leninismo, considerabile il prodotto più avanzato di questo conflittuale sforzo di ripensamento interno al marxismo del passaggio tra i due secoli.
Significativo è negli ultimi anni dell’Ottocento il dibattito, intorno e all’interno del socialismo europeo, sulla cosiddetta «crisi del marxismo», i cui fautori tendono, con diversi gradi di consapevolezza, a disarticolarne i fondamenti storico-filosofici (il materialismo storico, la dialettica, la lotta di classe, la rivoluzione stessa come «salto» del processo storico rispetto all’evoluzione graduale) e dunque a indebolire l’azione politica del proletariato.
In netta controtendenza, la riflessione di Labriola intende invece ribadire rigorosamente e sviluppare criticamente l’autosufficienza filosofica del marxismo, che non richiede affatto il completamento di altre filosofie, bensì lo sviluppo del nocciolo filosofico che Marx ed Engels hanno elaborato: sviluppo mai considerabile concluso, in quanto la realtà oggettiva cui esso si deve adattare, cioè il processo storico complessivo, è di per sé in continuo divenire.
L’appoggio al colonialismo, o sulle difficoltà dell’interpretazione di una nuova fase storica
Un approccio metodologico dialettico e raffinato, che tuttavia Labriola – peraltro sempre più isolato nei suoi ultimi anni – non riesce a tradurre in un complessivo disegno adeguato alla nuova fase. Come scriveva Alessandro Mazzone (Questioni di teoria dell’ideologia, La Libra, Messina 1981, p. 103), «la teoria dell’imperialismo, che […] era del tutto al di fuori delle vedute di Labriola, è il nome di quello sviluppo categoriale e di ricerca, senza del quale la “affermazione” dell’autonomia filosofica del materialismo storico restava appunto “affermazione”».
La mancata comprensione dei caratteri della fase dell’imperialismo mina alla radice la possibilità di un congruo sviluppo del marxismo, e di una reale autonomia teorica e politica del proletariato.
Pare che nel pensiero di Labriola affiori una concezione caratteristica di molto marxismo della Seconda Internazionale e non completamente estranea anche agli stessi Marx ed Engels – ma del tutto inadeguata nella nuova fase – che potremmo definire del capitale educatore.
Da un lato, il capitale facilita esso stesso la sedimentazione organizzativa e la parallela acquisizione di una coscienza di classe del proletariato, proprio in quanto tende a ingrandirne le file e a concentrarlo in fabbrica. D’altra parte, esso svolge una funzione educativa «civilizzatrice», nella misura in cui, tramite la creazione di un mercato mondiale, tende a realizzare l’unificazione della storia sotto il suo segno, portando, se pure in modo traumatico e violento, la civiltà a tutti i popoli che altrimenti rimarrebbero nella storia passiva, e così preparando dappertutto le condizioni necessarie per una successiva transizione al socialismo.
In Labriola questa concezione, già implicita in alcune oscillazioni sulla funzione del partito e della politica socialista (in particolare rispetto al nodo del rapporto tra direzione e spontaneità), si palesa nel modo più stridente in una serie di interventi effettuati tra il 1897 e il 1902, nei quali il filosofo sostiene convintamente la necessità di una espansione coloniale italiana.
Le due dimensioni dell’azione educativa del capitale trovano qui un punto di sintesi proprio nel colonialismo, necessario sia per lo sviluppo (educazione) del proletariato italiano (in quanto preliminarmente indispensabile per la formazione di una vera borghesia), sia per i popoli coloniali altrimenti destinati a rimanere «senza storia».
Il filocolonialismo di Labriola non è solo il portato di un’ottica schiettamente eurocentrica, ma anche la manifestazione più evidente di una impasse davanti ai nuovi problemi posti all’ordine del giorno dalla nuova fase dell’imperialismo, su cui non esistevano risposte già pronte negli scritti di Marx di Engels, e tanto meno potevano trovarsene in «catechismi» o «vade-mecum della rivoluzione proletaria» da cui egli invitava sempre a guardarsi.
Analizzare l’atteggiamento di un pensatore della sua statura davanti a tale complesso di problemi può fornire un utile contributo allo studio della storia del marxismo in un’epoca di transizione, nella quale si preparava non solo l’immane catastrofe della Grande Guerra, ma anche un’esperienza rivoluzionaria in grado di segnare la storia del Novecento.
Per un approfondimento di questi temi rimando a M. Gabella, La rivoluzione come problema pedagogico. Politica e educazione nel marxismo di Antonio Labriola (1890-1904), Il Mulino, Bologna 2022.
I primi due Saggi labrioliani sono ora ristampati in volumi autonomi da Bibliopolis, Napoli 2021 (e a breve seguirà il terzo). In commercio si trovano tuttavia più economiche edizioni unitarie di questi scritti: per esempio Saggi sul materialismo storico, Editori Riuniti, Roma 1964 o ristampe; oppure La concezione materialistica della storia, Laterza, Roma-Bari 1965.
CREDITS
Immagine in evidenza: Antonio Labriola
Autore: sconosciuto
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