Intervento di Giacomo Marchetti al sierramaestra.camp di cambiarerotta e osa
Parto da una considerazione un po’ alta. Da una domanda che si dà subito una risposta. Viviamo in tempi rivoluzionari? Sì, viviamo in tempi rivoluzionari. Viviamo in tempi in cui è in atto un processo rivoluzionario in Occidente? Non ancora.
Dobbiamo essere noi stessi quella chiave che può farci fare il salto di qualità, essere noi stessi l’innesco per far sì che esista una possibilità di trasformazione di un mondo che sennò va verso la catastrofe. Questo dobbiamo averlo molto chiaro. Non stanno cambiando solo gli assetti geopolitici che c’ha consegnato la fine del mondo bipolare ormai più di trent’anni fa.
Si è aperta una possibilità concreta anche in Italia, dove il movimento rivoluzionario è stato schiacciato dalla controrivoluzione dal farsi stato del PCI, dal fatto che hanno inondato le strade delle nostre città di eroina e dal fatto che una parte di quello che era stato il movimento che aveva dato l’assalto al cielo è stato cooptato all’interno dei meccanismi di compatibilizzazione.
È una possibilità non da poco che ci vede non solo come diretti protagonisti ma come necessari protagonisti perché se non siamo noi a innescare questo tipo di processo, questa possibilità non si dà, soprattutto in un contesto, e ne avete discusso ampiamente, di letargia sociale quasi strutturale, in cui ogni volta che agiamo, agiamo tendenzialmente anche se siamo all’interno di alcune situazioni (un posto di lavoro, una scuola, un quartiere) come elemento esterno, che deve soprattutto sbriciolare tutte le illusioni riformiste, con cui questo sistema ha imposto la sua declinante egemonia.
Dobbiamo essere molto consci che abbiamo una missione storica. In questo momento, in questo paese, per come si è andata a strutturare questo tipo di società, tutto ciò che riusciamo ad ottenere, e non parlo solo di vittorie vertenziali importantissime, perché danno la fiducia di far vedere che la lotta può portare alla vittoria, o alla manifestazione di una contraddizione che veniva sottaciuta, abbiamo la necessità di far uno sforzo politico a volte grandioso, in termini di tempo, di energie, di lucidità mentale e di sacrifici per mostrarlo.
Tutti noi sacrifichiamo la nostra vita sociale, la carriera lavorativa, anche una posizione all’interno dell’accademia, visto anche come sono brillanti i compagni. Lo facciamo perché sogniamo e perché diamo struttura a questo sogno che si chiama socialismo.
Queste giornate sono la rappresentazione plastica del punto di arrivo di un lavoro che risale a molti anni fa come intuizione politica agita. Alla fine l’unico vero lavoro svolto in questo anno nel paese, che ha avuto come fattore principale l’emancipazione in una società stagnante, sono stati il conflitto portato avanti dall’USB e dal sindacalismo conflittiale e da voi.
Voi non in quanto generico movimento studentesco, ma organizzazioni giovanili che hanno strutturato un lavoro, e questo è uno straordinario risultato, anche in termini di numeri rispetto al campeggio dell’anno scorso, e questo è un esempio di come la quantità si può riversare nella qualità della militanza. Dai 150 dello scorso anno, quest’anno siamo 250, nonostante in questo paese non ci sia una parabola ascendente del conflitto.
Quindi vi voglio dire che avete lavorato bene.
Voi esprimete in positivo la politicizzazione delle contraddizioni di questa società e lo si può cogliere non solo dai dibattiti che si sono svolti. Anche nelle discussioni informali, vi ho ascoltato attentamente. Parlate costantemente a livelli altissimi di politica. Questo è ossigeno per i comunisti in questo paese e per la Rete dei Comunisti.
Voi non siete giovani, siete compagni con una maggiore aspettativa di vita. Il paternalismo non deve avere cittadinanza nella nostra organizzazione.
È giustissimo pianificare il lavoro come avete fatto e facciamo. È giustissimo far avanzare il processo di conoscenza della realtà e di sedimentazione organizzativa. Dobbiamo sempre più avere quella capacità di combinazione delle forme di lotta, organicizzando i settori in cui agiamo (i posti di lavoro, il lavoro politico, le organizzazioni giovanili, la controinformazione, la battaglia culturale), preservando una certa duttilità tattica, perché non sappiamo cosa ci regalerà il prossimo anno.
Penso che questa grande capacità che avete appreso, ovvero misurarvi con le contraddizioni che vengono manifestate da altri, come le tende e come il lavoro di soccorso nel post alluvione in Emilia-Romagna, occupare uno spazio politico, se necessario anche a gomitate, saperlo far proprio e indirizzarlo politicamente, sia una tattica di fase fondamentale.
La forza che viene da questi giorni di campeggio per la RdC è una risorsa strategica inesauribile. Grazie compagni per il lavoro svolto.