È tempo di autodifesa, solidarietà e organizzazione
Rete dei Comunisti, Cambiare Rotta, Opposizione Studentesca d’Alternativa
Anche quest’anno come Rete dei Comunisti e come organizzazioni giovanili Osa e Cambiare Rotta prenderemo parte al corteo nazionale del 25 novembre a Roma e alle manifestazioni locali da Torino a Lecce contro la violenza sulle donne e di genere.
In questi giorni abbiamo costruito nelle scuole, nelle università e nei territori la risposta delle rivoluzionarie e dei rivoluzionari all’aumento della violenza del sistema in ogni sua forma: la violenza fisica e psicologica che tante, troppe donne ancora subiscono dentro e fuori le mura domestiche, la violenza economica e dell’apparato repressivo sulle e contro le sfruttate, la violenza dell’imperialismo occidentale e della sua deriva bellicista.
Le mobilitazioni che sono esplose in risposta all’ennesimo femminicidio, quello di Giulia Cecchetin, hanno visto il protagonismo determinato delle studentesse e degli studenti nelle scuole e nelle università e di tantissime donne che non solo hanno condannato l’aumento della violenza ma si sono scagliate contro la strumentalizzazione dei femminicidi da parte dello Stato, del governo Meloni e dei partiti di opposizione.
Gli abusi, le discriminazioni, le molestie che donne e libere soggettività vivono quotidianamente sono un dato strutturale e generalizzato, come confermano gli episodi di violenza e i femminicidi all’ordine del giorno.
Ma non siamo tutte uguali di fronte all’emergere dei peggiori istinti patriarcali e delle dinamiche di potere frutto del sistema in cui viviamo.
Non tutte, infatti, possono permettersi di essere libere di scegliere di fronte alla violenza, che trova terreno fertile laddove non vi è indipendenza dal punto di vista economico, sociale e culturale.
Per questo non possiamo che scendere in piazza rivendicando in primis il protagonismo delle sfruttate, delle studentesse senza futuro, delle lavoratrici, delle donne migranti e delle disoccupate nella battaglia per la liberazione dalla violenza subìta in ogni sua forma.
Come a Torino, dove a fianco dell’Assemblea Sororas, lotteremo anche contro l’invisibilizzazione delle lotte delle donne migranti nel nostro paese.
E, con l’esempio della storica determinazione delle donne che da un capo all’altro del mondo, dall’America Latina alla Palestina, dal Vietnam all’Unione Sovietica, hanno lottato per la liberazione dei loro popoli e per società libere dallo sfruttamento e dalle discriminazioni, rifiutiamo la narrazione vittimizzante che rinchiude la figura femminile nella sola e unica possibilità di subire la violenza, senza mai poterla agire, nemmeno come mezzo di difesa proprio e della propria collettività.
Crediamo, invece, sia corretta la proposta delle “Donne de Borgata” che a Roma, nei quartieri popolari come nelle scuole e nelle università, stanno sperimentando forme di autodifesa popolare e di classe, costruendo concretamente strumenti collettivi di risposta alla violenza fisica e sistemica.
Al contempo è per noi cruciale combattere la strumentalizzazione delle donne da parte della politica.
Non dimentichiamo, infatti, i balbettii di Giorgia Meloni dopo i terribili stupri di quest’estate di Palermo e Caivano: nell’incapacità di fornire una risposta concreta, non solo si è alimentata una narrazione infantilizzante delle donne, vittime eterne di fronte “ai lupi”, ma l’esecutivo ha utilizzato strumentalmente gli episodi di violenza per portare avanti un’assurda e sviante campagna di criminalizzazione e militarizzazione dei quartieri popolari e dei suoi abitanti.
Fra questi, le stesse donne che lì vivono, lavorano e crescono i loro figli nell’abbandono totale – creato attivamente – da parte delle istituzioni. E anche le proposte sull’educazione alla sessualità del Ministro dell’Istruzione Valditara, a giudicare da quanto realizzato, sembrano più una strumentalizzazione mirata a “pacificare” una situazione potenzialmente esplosiva più che a fornire una reale risposta alla violenza.
Scenderemo in piazza il 25 novembre anche contro i reazionari al governo che, sulla scia dei governi precedenti, hanno scelto di sostenere lo sforzo militare richiesto dalla Nato piuttosto che investire in spesa sociale e nei servizi pubblici spesso essenziali per le tantissime donne che soffrono la crisi economica e sociale in atto e che sono, anche per questo, più esposte alla violenza domestica.
La decisione di tagliare il reddito di cittadinanza (strumento di autodeterminazione per tante proletarie nelle nostre periferie, nelle province, nel sud Italia e nelle isole), la chiusura di centri antiviolenza (come nel caso di Roma), il disinvestimento dei consultori e dei CAV e la scelta operata da Giorgia Meloni di fare cassa aumentando l’Iva sui prodotti per l’infanzia e sugli assorbenti sono solo alcuni esempi che rendono evidente come l’ascesa delle donne al potere non significhi automaticamente conquiste e diritti per le altre donne.
Shlein, Von Der Leyen, Meloni oggi rappresentano gli intenti guerrafondai e antipopolari delle classi dirigenti tanto quanto i loro predecessori maschi: le scelte di governo sono da sempre una questione di classe, prima che di genere.
Ed è per questo che combattiamo il mito dell’empowerment femminile a cui queste si riferiscono,un concetto figlio della cultura aziendale e individualista utilizzato fin dalle scuole e dalle università per rafforzare l’idea delle “magnifiche sorti e progressive” che i paesi del Nord del mondo garantiscono alle donne, rivolte unicamente alla valorizzazione capitalista delle differenze di genere.
Infine, quest’anno il 25 novembre si colloca in un momento particolare che vede il cosciente tentativo di sterminio del popolo palestinese da parte Israele: non è possibile per noi affrontare questo giorno senza pensare all’attacco che sta subendo la resistenza palestinese e alle migliaia di donne, uomini, bambini e anziani uccisi in queste settimane con il benestare delle presunte “democrazie” occidentali.
Sarà quindi per noi un altro momento, dopo il 4 novembre e dopo le tante manifestazioni in solidarietà con il popolo palestinese, per condannare la violenza di Israele e tutte le guerre fomentate dalla Nato e dall’UE.
È sempre più evidente che queste guerre sono figlie della crisi strutturale del modello di sviluppo capitalistico occidentale, che oggi non trova altra via d’uscita se non perpetrare l’ipocrisia dello “scontro di civiltà” per giustificare l’escalation bellica su diversi fronti: dalla guerra in Ucraina contro la Russia alla complicità con Israele dipinto come “unica democrazia in Medio Oriente” nonché “baluardo dei diritti LGBT”.
In questo senso, rifiutiamo senza se e senza ma la supposta superiorità culturale dell’Occidente – e men che meno di Israele – in termini di emancipazione e libertà delle donne e delle libere soggettività.
Così come rifiutiamo l’atteggiamento borghese e imperialista di parte del femminismo liberale “bianco” nei confronti delle giuste prese di posizione delle componenti femminili del mondo arabo: non possiamo non vedere una differenza nella posizione tenuta da questo femminismo nella solidarietà alle donne arabo palestinesi, vittime del sionismo e dell’imperialismo occidentale, rispetto ad altre situazioni.
Per questi motivi, saremo in piazza anche a fianco delle donne arabe e migranti che sono già oggi protagoniste delle mobilitazioni in solidarietà alla Palestina.
Per Giulia e per tutte le donne oppresse e sfruttate. Alla violenza di genere e imperialista rispondiamo con l’autodifesa di classe, la solidarietà internazionalista e l’organizzazione rivoluzionaria