Capitolo 2 di: Nuova Caledonia: Il popolo Kanak insorge contro il neocolonialismo francese
“Abbiamo avvertito il governo per mesi. Non volevamo ritrovarci in questa situazione” ha affermato in una conferenza stampa tenutasi giovedì a Parigi, Dominique Fochi, segretario generale dell’Union calédonienne-FLNKS, respingendo le accuse dell’esecutivo secondo cui il partito pro-indipendenza sarebbe responsabile degli scontri.
“Ci sono stati eccessi e abusi, che possiamo solo deplorare. Ma questo non giustifica le sparatorie mortali di giovani”, ha aggiunto.
“Le milizie armate sono in giro e stanno dando la caccia all’uomo”, ha detto il funzionario, assicurando che sono stati lanciati appelli a non rispondere alle provocazioni.
“I responsabili della cellula di coordinamento delle azioni sul terreno [CCAT, un gruppo pro-indipendenza descritto come un’organizzazione “mafiosa” dal ministro dell’Interno, Gérald Darmanin] stanno lavorando per cercare di allentare la tensione. Tutti sono colpiti, Kanak e altri, quando c’è penuria, quando mancano le medicine”, ha sottolineato Fochi.
“Nouméa è una città divisa in due e per i giovani del nord e delle isole non c’è modo di integrarsi. Sanno che il Paese è ricco. Da anni sono sotto stress. La situazione sociale è esplosiva”, ha spiegato Rock Haocas, terzo vicepresidente dell’Union syndicale des travailleurs kanak et des exploités (USTKE), la componente sindacale del movimento pro-indipendenza, durante la conferenza stampa.
Mercoledì 15 maggio, a Parigi, una delegazione di attivisti kanak a favore dell’indipendenza ha tenuto un incontro d’approfondimento, organizzato tempestivamente presso il Centre international de culture populaire (CICP), nell’XI arrondissement di Parigi.
I volti preoccupati e le voci roche riflettevano la serietà del momento mentre giungevano le ultime informazioni sulla crisi in corso in Nuova Caledonia, tra cui gli arresti domiciliari di due membri della Cellule de coordination des actions de terrain (CCAT) in seguito all’entrata in vigore dello stato di emergenza, divenuti poi una decina.
Tutti i membri di questa organizzazione, vicina al Front de libération nationale kanak et socialiste (FNLKS), temono per i loro compagni in patria. Gli attacchi delle milizie lealiste armate, che dicono di essere in combutta con le forze dell’ordine, hanno fatto temere il peggio, poiché la situazione sembra essere sempre più fuori controllo.
“Questa è la mia sofferenza quotidiana”, racconta a Mediapart Rock Haocas, coordinatore generale del Partito del Lavoro e membro del CCAT. Sa che persone a lui molto vicine, attivisti del CCAT, sono attivamente ricercate nel Paese: “Ogni ora mi chiedo se mi diranno che gli hanno sparato”, dice con il cellulare in mano.
Arrivata a Parigi quindici giorni fa, la delegazione della CCAT ha cercato di dissuadere i deputati dal votare la riforma costituzionale voluta dal governo, ottenendo l’appoggio della NUPES che ha votato compatta contro la misura adottata prima in Senato e poi all’Assemblea.
Nella mattinata di giovedì 16 maggio, in una conferenza stampa congiunta con il governo, l’Alto Commissario della Repubblica, Louis Le Franc, ha dichiarato che “il CCAT è un’organizzazione di teppisti che compie atti di vera e propria violenza con l’intento di uccidere agenti di polizia, gendarmi e forze dell’ordine”. “Non c’è più bisogno di questa struttura del CCAT […] I responsabili di questa cellula sono tutti responsabili. Dovranno affrontare la giustizia”, ha aggiunto.
I membri della CCAT “che abbiamo incontrato a Parigi” – scrive Mediapart – raccontano una storia diversa.
È chiaro che siamo di fronte al processo di criminalizzazione e di “messa al bando” – in puro stile neocoloniale – delle organizzazioni indipendentiste che hanno conquistato un consenso di massa tra le file dei Kanak.
Questa cellula è stata creata sei mesi fa, dopo un congresso dell’Union calédonienne. Riunisce membri dei vari movimenti pro-indipendenza – l’USTKE (Union syndicale des travailleurs Kanak et exploités), la CNTP (Confédération nationale des travailleurs du Pacifique), l’Union calédonienne, il Parti travailliste e il MOI (Mouvement des Océaniens indépendantistes).
L’obiettivo era quello di organizzare una mobilitazione in Nuova Caledonia affinché il governo ascoltasse la loro opposizione al progetto di riforma costituzionale sull’elettorale.
Romuald Pidjot, vicesegretario dell’Union calédonienne, elenca le date delle grandi marce pacifiche che si sono susseguite, aumentando di dimensioni man mano che il lavoro di informazione del CCAT veniva svolto: “Il 25 novembre 2023 eravamo in 3.000, il 28 marzo eravamo quasi 15.000 e il 13 aprile abbiamo organizzato uno storico sit-in in Place de la Paix, con 60.000 persone” [cioè circa un quarto della popolazione della Nuova Caledonia – n.d.c.], racconta. “Speravamo che il ministro ci ascoltasse con questo metodo, ma non ha sentito nulla. Eppure lo avevamo avvertito che il Paese era una polveriera”, aggiunge.
“La guerriglia urbana non è ciò che volevamo, ma i giovani hanno raggiunto uno stadio in cui non possiamo più controllarli. Siamo a un punto di rottura, e non per mancanza di preavviso”, afferma Rock Haocas.
I delegati del CCAT spiegano questa rabbia incontrollabile dei giovani dei quartieri popolari di Nouméa con due fattori. In primo luogo, la disuguaglianza: “Si tratta di giovani poveri che provano un sentimento di ingiustizia nei confronti di chi arriva dalla Francia continentale con grandi auto e vive in bei quartieri”, spiega Romuald Pidjot.
Dall’altro lato, c’è la negazione del fatto coloniale: “Il danno è molto profondo. Interi clan e famiglie sono stati decimati, le persone sono state deportate dalle loro terre, la missione cattolica ha vietato ai Kanak di praticare la loro cultura. È una storia coloniale che è stata negata.”
Anche Tematai Le Gayic, deputato della Polinesia francese, membro di un partito pro-indipendenza e favorevole a una missione di dialogo, venuto a sostenere i Kanak, ha esortato il governo a mostrare moderazione nel puntare il dito: “In una situazione di crisi, cercare qualcuno da incolpare non è il modo di impegnarsi nel dialogo. Ognuno ha la sua parte di responsabilità e tutti devono riflettere sulle parole che dicono e sulle azioni che compiono. Accusare una parte o l’altra serve solo ad aggravare la situazione.”
È chiaro che “per salvare il processo di decolonizzazione iniziato quasi quarant’anni fa, l’esecutivo deve capire che la riforma del corpo elettorale su cui si è arenato è una questione di sopravvivenza per i Kanak, legata al loro indebolimento demografico, al centro della dominazione francese dal XIX secolo” scrive Carine Fouteau su Mediapart.
E continua: “L’esecutivo si trova coinvolto in una spirale di violenza che non è riuscito a disinnescare, o che ha addirittura contribuito a risvegliare. (…) A causa della sua disinvoltura e impreparazione, tanto che la storia sembra ripetersi, l’esecutivo sta mettendo la Francia a rischio di ridurre in cenere quasi quarant’anni di un paziente processo di decolonizzazione, che fino ad allora aveva permesso di mantenere la pace civile in Nuova Caledonia attraverso un sapiente apprendistato delle forze coinvolte, e che alcuni, tra cui i funzionari, avevano a lungo sperato potesse simboleggiare la prima decolonizzazione “riuscita”, cioè senza violenza, del nostro Paese”.
CREDITS
Immagine in evidenza: Eloi Machoro
Fonte: Pagina FB del FLNKS