Capitolo 3 di: Nuova Caledonia: Il popolo Kanak insorge contro il neocolonialismo francese
La Nuova Caledonia è stata il teatro di una rivolta politico-sociale come non se ne vedevano dai primi anni Ottanta. Sei persone, tra cui due gendarmi e due giovani indipendentisti, hanno perso la vita negli scontri iniziati lunedì notte e continuati anche mercoledì notte.
Nonostante la promulgazione dell’état d’urgence da parte di Macron, la calma non sembra essere tornata dall’arcipelago, con numerosi blocchi (barrages) che paralizzano il traffico in tutto il Paese, specie nella periferia della capitale.
In risposta a una situazione ritenuta “insurrezionale” da Louis Le Franc, l’Alto Commissario francese per la Nuova Caledonia, mercoledì 15 maggio è stato dichiarato lo stato di emergenza, che consente di limitare la libertà di movimento e di riunione.
Quattro squadre mobili della gendarmeria e rinforzi della polizia nazionale (RAID) e della gendarmeria (GIGN) sono stati inviati nell’arcipelago, aggiungendosi ai 1.800 agenti delle forze dell’ordine già dispiegati.
L’esercito è stato inviato a mettere in sicurezza il porto e l’aeroporto di Noumea e il social network TikTok è stato vietato.
Questa disposizione, resa possibile dallo stato d’emergenza che in Francia è stato introdotto durante la lotta di liberazione algerina nel 1955 – quando l’Algeria era un dipartimento francese -, è applicata per la prima volta su di un territorio che farebbe parte dell’Unione Europea.
“La nostra priorità assoluta è il ritorno all’ordine, alla calma”, ha dichiarato il capo del governo, Gabriel Attal, mercoledì sera, all’apertura di una riunione di crisi interministeriale a Place Beauvau; era affiancato dal Primo Ministro, Gérald Darmanin, dal Guardasigilli, Eric Dupond-Moretti, e dal ministro delle Forze armate, Sébastien Lecornu.
Una specie di gabinetto di guerra che ha imposto la militarizzazione della ex-colonia dove i Caldoches – eredi dei francesi – possono costituire milizie armate nei quartieri benestanti in cui vivono, e sarebbero responsabili dell’uccisione di due giovani indipendentisti.
“Tutti gli atti di violenza sono intollerabili e saranno affrontati con una risposta implacabile per assicurare il ritorno dell’ordine repubblicano”, aveva promesso l’Eliseo nel primo pomeriggio, mentre il Presidente della Repubblica, che ha annullato due viaggi in Normandia a causa della rivolta pro-indipendenza, aveva appena tenuto una prima riunione del Consiglio nazionale di difesa e sicurezza dedicata alla situazione sull’isola.
Un secondo consiglio di difesa si è tenuto giovedì mattina. Emmanuel Macron, dopo avere buttato benzina sul fuoco, ha poi proposto ai rappresentanti eletti della Nuova Caledonia uno “scambio in videoconferenza”.
Il governo fa pressione sugli indipendentisti e come abbiamo già visto definisce “mafiosi” i membri delle organizzazioni di base del fronte indipendentista.
La crisi scoppiata tre giorni fa a 17.000 chilometri da Parigi ha origine da una riforma del corpo elettorale locale contestata dal movimento pro-indipendenza Kanak, che teme di essere definitivamente messo in minoranza.
Il progetto di legge costituzionale aprirebbe il voto alle prossime elezioni provinciali a tutti i cittadini residenti in Nuova Caledonia da dieci anni (quindi 25.000 elettori in più).
È stato adottato dai deputati martedì sera, così come lo era stato dal Senato. Il Front de libération nationale kanak et socialiste (FLNKS) vorrebbe che fosse ritirato, “al fine di preservare le condizioni per il raggiungimento di un accordo politico globale tra i leader della Nuova Caledonia e lo Stato francese”.
Mentre venti mesi di dialogo e sette viaggi di Gérald Darmanin non sono riusciti a far incontrare le due parti, il governo – appoggiandosi sui “lealisti” filo-francesi – fa pressione sugli indipendentisti promettendo di sospendere il testo in caso di accordo su un nuovo status per il territorio nelle prossime settimane.
In mancanza di un accordo, Emmanuel Macron convocherà una riunione del Congresso “prima della fine di giugno” per adottare definitivamente la riforma, ha avvertito in una lettera ai rappresentanti della Nuova Caledonia.
Questo avverrà “il 17 o il 24 giugno“, ha dichiarato mercoledì il ministro delegato ai rapporti con il Parlamento, Marie Lebec, a una conferenza dei presidenti al Senato.
Questo ultimatum è stato duramente criticato da chi conosce la situazione in Nuova Caledonia ed ha avuto in precedenza alte responsabilità nella gestione di questo delicato dossier.
Questo modus operandi “non funziona mai”, avverte Jean-François Merle, consigliere di Michel Rocard per la Francia d’oltremare durante la negoziazione degli accordi di Matignon nel 1988, e ora esperto della Fondation Jean Jaurès. “Emmanuel Macron non ha capito la realtà sul campo”, aggiunge in un’intervista al quotidiano francese Le Monde.
“È una follia, vogliono incendiare il territorio”, afferma indignato René Dosière, ex relatore per lo status della Nuova Caledonia all’Assemblea nazionale francese. “Non si può scrivere il futuro di un Paese con il sangue del suo popolo”, ha condannato anche l’ex ministro della Giustizia Jean-Jacques Urvoas, relatore della missione d’inchiesta sul futuro istituzionale della Nuova Caledonia nel 2015, osservando che “ci sono ‘ingegneri del caos’ in entrambi i campi”, pro-indipendenza e lealisti, pronti a soffiare sul fuoco della guerra civile.
In realtà l’attuale situazione si è creata proprio perché i governi che si sono succeduti durante la presidenza Macron hanno sostenuto le proposte dei Caldoches.
Pur non mettendo in dubbio la necessità di scongelare il corpo elettorale della Nuova Caledonia, questi specialisti criticano l’esecutivo per la sua parzialità. La scelta da parte dell’Eliseo del deputato neo-caledoniano anti-indipendenza Nicolas Metzdorf come relatore del progetto di legge costituzionale è stata vista legittimamente come una provocazione. “Irresponsabile”, ha dichiarato Patrick Kanner, presidente del gruppo socialista al Senato, che ha anche osservato che “per la prima volta dal 1988, una procedura costituzionale è stata avviata prima che sia stato raggiunto un accordo”.
Ed è questo il vulnus politico: Macron, dopo aver preso la decisione di non posticipare il terzo referendum durante l’emergenza pandemica e che ha avuto un’astensione superiore al 50%, ha scelto di agire senza trovare un accordo condiviso appoggiando le istanze dei lealisti.
L’entourage del Capo dello Stato giustifica la scadenza di fine giugno con la “necessità di fissare il corpo elettorale” in vista delle prossime elezioni provinciali, previste per la fine del 2024. “Se si guarda agli accordi di Matignon [1988] e di Nouméa [1998], praticamente tutti gli obiettivi sono stati raggiunti. È giusto dare lezioni”, si difende Philippe Vigier, ministro delegato per l’Oltremare nel governo di Elisabeth Borne (2023-2024).
L’Eliseo sottolinea i tre referendum vinti dalla fazione anti-indipendenza, “mentre alla fazione pro-indipendenza sarebbe bastato vincerne uno perché la Nuova Caledonia cessasse di essere francese”. Ma per Jean-François Merle, “proporre l’imperativo democratico quando la pagina coloniale non è stata voltata non funziona”.
Gérald Darmanin, che finora si è occupato della questione, non si recherà in Nuova Caledonia. Un tale viaggio “consumerebbe le forze di sicurezza”, spiega il suo entourage.
Mentre il Presidente cerca di riprendere il controllo, Gabriel Attal ha presieduto una nuova unità di crisi interministeriale a Place Beauvau giovedì mattina, prima di tornare all’Eliseo per il Consiglio di Difesa. “Gabriel ha una sorta di neutralità su questo tema, una verginità che sarà preziosa per il dialogo”, dice uno dei suoi consiglieri. “I caledoniani si parlano bene solo a Matignon”, concorda Urvoas.