“Lo dico ai rivoltosi, è il momento di deporre le armi (…)
L’ordine repubblicano sarà ristabilito, costi quel che costi”
M. Le franc, Alto-Commissario della repubblica
in Nuova Caledonia, 19/5/2024
Capitolo 1 di : Nuova Caledonia: Il popolo Kanak insorge contro il neocolonialismo francese
La Nuova Caledonia è considerata dalle Nazioni Unite uno dei diciassette territori non decolonizzati rimasti al mondo.
Nel 1988 la Francia ha scelto di accompagnare il processo di decolonizzazione di questo territorio. Dopo diversi anni di guerra civile (1984-1988) tra i Kanak, gli indigeni dell’arcipelago, e i Caldoches, di discendenza francese.
I caledoniani avevano affermato la loro volontà di costruire un “destino comune” con tutte le comunità del territorio, compresi coloro che provengono da altre parti dell’Asia, attraverso un impegnativo processo di pace di cui sono state poste le basi in una decina d’anni dal 1988 al 1998.
Come hanno rilevato gli avvenimenti della metà di maggio, questo obiettivo è ben lungi dall’essere stato raggiunto. Le divisioni tra Kanak e non Kanak rimangono geograficamente, socialmente e politicamente radicate e marcate. I Kanak, la cui maggioranza è favorevole all’indipendenza, sono ora in minoranza sull’arcipelago.
Questo è il risultato di una precisa scelta politica di Parigi, oggi tesa a modificare gli equilibri elettorali dopo aver cambiato quelli demografici, e aver forzato il mantenimento della data del terzo referendum, dopo quelli del 2018 e del 2020, nel dicembre 2021 in piena pandemia.
Più passa il tempo, più sembra improbabile che l’indipendenza venga conquistata attraverso un referendum sull’autodeterminazione vista la possibilità di voto data ai francesi che si sono insediati da appena dieci anni, a cominciare dalle elezioni “provinciali” da tenersi entro la fine dell’anno.
Come sottolineato da un lungo articolo sul quotidiano francese Le Monde: “il problema è che l’esito delle elezioni provinciali determina la formazione del Congrès caledoniano e del governo di Nouméa: le forze politiche caledoniane ne fanno la madre di tutte le battaglie”.
Nella realtà attuale vorrebbe dire eliminare quel “contrappeso” politico alle scelte di Parigi che si è dimostrata sempre meno imparziale e sempre più a favore dei “lealisti” che sono vicini alle forze conservatrici francesi, sia i gollisti di LR che la destra radicale del RN (ex-FN).
Le élite politiche francesi temono di perdere i perni fondamentali nella propria strategia nel Pacifico, in specie dopo la vittoria di Moetai Brotherson nella Polinesia Francese nel maggio del 2023.
Lì, nell’Assemblea territoriale, gli indipendentisti dispongono della maggioranza assoluta e possono avviare un processo per la tenuta di un referendum per l’autodeterminazione dei 5 arcipelaghi siti a 17 mila chilometri dall’Esagono, e che si estendono su una superficie grande quanto l’Europa.
Ma oltre alle ragioni geopolitiche legate ai mutevoli equilibri dell’Indo-Pacifico, vi è la necessità di mantenere il controllo su una materia prima strategica come il nichel di cui Parigi cerca di ricentralizzare la gestione. L’arcipelago possiede tra il 20% e il 30% delle riserve mondiali del minerale, fondamentale per la produzione dell’automotive elettrico.
L’estrazione del minerale ha pesantemente impattato il territorio e la salute dei suoi abitanti, mentre la sua filiera di trattamento è in crisi. Una situazione che si riverbera sul 20/30% della popolazione attiva totale.
Parigi vorrebbe avere mano libera per aumentare l’estrazione del minerale da impiegare poi per la produzione di batterie nel territorio dell’Esagono, senza una contropartita evidente per le popolazioni locali che vedrebbero teoricamente salvata – attraverso le sovvenzioni statali – una parte del proprio settore metallurgico, ma con in cambio la possibilità di trasferirlo “liberamente” nella metropoli.
Un costo ambientale elevatissimo da un lato e dall’altro l’alienazione della propria ricchezza secondo una logica di “accumulazione per espropriazione” che garantirebbe la transizione all’elettrico per i consumi metropolitani, alimentando la filiera dell’automotive delle multinazionali francesi.
Considerato che questo cosiddetto “Pacte Nickel” ha trovato l’opposizione del Congresso, le motivazioni dell’attuale forzatura di Parigi sulle modifiche del corpo elettorale appaiono evidenti e non possono che essere “spalleggiate” dall’Unione Europea.
L’asse franco-tedesco è il maggiore vettore per la costruzione del polo imperialista europeo, su cui le élite continentali puntano per non essere marginalizzate nella competizione mondiale e non divenire il “vaso di coccio” tra i “vasi di ferro”: da un lato gli USA, dall’altro il blocco euro-asiatico a guida russo-cinese.
Per questo la proiezione sull’Indo-Pacifico che viene garantita dalla Francia dai suoi precedenti domini coloniali, e il controllo di materie prime necessarie per gli sviluppi tecnologici ad alto valore aggiunto, sono centrali per tutta l’Unione Europea, e minano le legittime aspirazioni alla sovranità delle popolazioni autoctone, irrigidendo così la dinamica neocoloniale.
CREDITS
Immagine in evidenza: Bandiera del FLNKS
Autore: WarX, 1 gennaio 2006
Licenza: Public Domain
Immagine originale ridimensionata e ritagliata