In Chi ha paura di chi? Una riflessione sul nuovo DDL Sicurezza 1660
DECRETO MINNITI – ORLANDO, 13/2017
I soggetti sociali colpiti sono migranti, senza tetto e “soggetti non conformi” all’indefinito concetto di decoro urbano introdotto dal legislatore.
Tra le misure introdotte, segnaliamo:
l’abolizione del secondo grado di giudizio/appello per i migranti richiedenti asilo, con l’istituzione di sezioni specializzate dei tribunali in cui il giudice ascolta il richiedente asilo solo in via eccezionale, in quanto è sufficiente la registrazione audiovisiva della sua intervista davanti alla Commissione Territoriale. Dunque, un processo svolto solo su un grado di merito e senza garanzia al migrante di potere essere ascoltato dal giudice insieme al suo avvocato. I responsabili dei centri d’accoglienza assumono le funzioni di pubblici ufficiali, alimentando il rischio di uno scivolamento autoritario nella gestione dei centri. Il potere dei responsabili diviene uno strumento di ricatto pure contro gli operatori sociali, spesso precari, che lavorano nei centri.
Introduzione del daspo urbano, cioè un “Ordine di allontanamento” ex art. 9, c2 del Decreto, emesso in aggiunta alla sanzione amministrativa e disposto dal sindaco, della durata di 48 ore, contro chi “limita la libera accessibilità e fruizione delle infrastrutture portuali, aeroportuali, ferroviarie e di trasporto pubblico o le loro pertinenze, anche in violazione di divieto di stazionamento o occupazione degli spazi. Estensibile a chi commette gli illeciti amministrativi di atti contrari a pubblica decenza, ubriachezza e commercio abusivo. Tramite i regolamenti di polizia urbana, l’ordine è applicabile anche per le aree interessate al flusso turistico o di uso pubblico. In caso di reiterazione delle violazioni, il Questore, se la condotta può generare pericolo per la sicurezza, adotta decreto motivato di allontanamento fino a 6 mesi, che può arrivare a 2 anni se il destinatario è stato condannato nei 5 anni precedenti per reati contro il patrimonio o la persona.
N.B: Il decreto fa ricorso molto più allo strumento delle sanzioni amministrative, piuttosto che all’introduzione o all’inasprimento di reati. Ciò corrisponde alla logica di efficienza repressiva, che permette una più agile esclusione delle garanzie costituzionali.
DECRETO SICUREZZA-SALVINI/2018
Anche qui i soggetti colpiti sono quelli del precedente Decreto Minniti, a cui si aggiungono in maniera particolare i manifestanti, i mendicanti e gli occupanti di case.Tra le misure introdotte segnaliamo:
L’estensione dell’applicazione “atipica” della disciplina del daspo sportivo a soggetti collegati a reati di terrorismo anche internazionale. In parallelo, si prevede l’allungamento dei termini del daspo urbano del DL Minniti sia nei limiti edittali minimi che massimi.
L’introduzione del “reato di accattonaggio” ex art. 669-bis CP, riprendendo il carattere sanzionatorio dell’originaria disposizione [1] contro l’accattonaggio “molesto”, punito con l’arresto da 3 a 6 mesi e con l’ammenda da 3.000 a 6.000 euro. Rimane inspiegabile come un mendicante, seppur insistente nei modi, possa permettersi di pagare un’ammenda così onerosa. L’innalzamento dei limiti edittali per il reato di invasione di terreni e edifici (art. 633 CP), prevedendo come pena la reclusione da 1 a 3 anni, insieme alla multa dai 103 ai 1.032 euro. Al comma 2, si dispone l’applicazione di una circostanza aggravante se “il fatto sia commesso da più di 5 persone o da persona palesemente armata”. Al comma 3, l’introduzione dell’aggravante a efficacia comune per i promotori e gli organizzatori dell’occupazione. Sul piano della tipicità oggettiva, basta la mera introduzione arbitraria in un’abitazione che si sappia essere di proprietà altrui. Sul piano soggettivo, si fa ricorso al dolo specifico per finalità di “trarne profitto”, non per forza economico.
Modifica all’art 1 dl 66/1948, ripenalizzazione del reato di blocco stradale e ostruzione o ingombro di binari, con pena raddoppiata da 2 a 12 anni per le ipotesi aggravate di fatto commesso da più persone (anche non riunite) o di fatti commessi con violenza o minacce. Risulta difficile, infatti, pensare ad una singola persona che compie un blocco stradale. È necessario, comunque, l’elemento soggettivo del dolo specifico, consistente nella precisa rappresentazione e nella volontà di rendere la circolazione stradale più difficoltosa rispetto alle normali condizioni di percorribilità.
DECRETO SICUREZZA BIS/2019
Emanato a pochi mesi di distanza dal Decreto Sicurezza del 2018, tra le misure introdotte, segnaliamo:
L’attribuzione al Ministro dell’Interno del potere di limitare o vietare l’ingresso, il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, per motivi di ordine e di sicurezza pubblica o se, in ottica preventiva, ritiene necessario impedire il “passaggio pregiudizievole” o “non inoffensivo” di una specifica nave, se la stessa è impegnata inattività elencate nella Convenzione di Montego Bay, in violazione di leggi e regolamenti vigenti sull’immigrazione. L’assoluta genericità dei termini “ordine e sicurezza pubblica” lascia spazio a evidenti pericoli di abuso di potere da parte del Ministro dell’interno, come più volte dimostratosi in questi anni.
L’inasprimento delle sanzioni per chi viola il divieto di fare uso di caschi protettivi o altro mezzo che rende difficoltosa il riconoscimento della persona, prevedendo anche la reclusione da 1 a 4 anni per chi, durante le manifestazioni lancio utilizzi illegittimamente razzi, oggetti contundenti o gas.
Applicazione della condizione aggravante per reati di violenza, minaccia, resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità, nonché per devastazione e saccheggio, “se commessi nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico”, quindi in buona sostanza sempre.
Modifiche per ampliare la possibilità di ricorso ai poteri di ordinanza straordinaria, contingibile e urgente [2], per il conseguimento delle finalità securitarie in mano al prefetto, in caso di mancato utilizzo del “pacchetto normativo” da parte di sindaci e questori. Ciò comporta il pericolo di gravi torsioni autoritarie e abusi di potere da parte dei prefetti, anche contro gli stessi enti locali.
DDL SICUREZZA – 1660
Precisiamo, in primis, la questione sul tema del diffuso concetto di “terrorismo della parola”, che in vari luoghi è stato evidenziato come parte del DDL 1660. Nonostante non vi sia un’espressa previsione nel disegno di legge che preveda l’introduzione di un reato così denominato, in molti articoli si evidenzia questa tendenza del legislatore a identificare i contenuti di scritti, testi, lettere o discorsi (anche di corrispondenza privata con soggetti specifici come detenuti in carcere o CPR e altri istituti di trattenimento dei migranti) quali materiali idonei a offendere il sempre generalissimo bene giuridico dell’ “ordine pubblico” o della “sicurezza delle istituzioni”. Si basa tutto, dunque, sull’ingiustificato ragionamento per cui è possibile punire un soggetto che non commette nessun atto illecito, né lontanamente pericoloso per il bene tutelato dalla legge, solamente per il messaggio politico o il fine ideale e astratto che esprime.
All’articolo 1, troviamo l’introduzione di un articolo [3] riguardante i delitti con finalità di terrorismo e contro l’incolumità pubblica. Si dispone che: “Chiunque, fuori dei casi di cui agli articoli 270-bis e 270-quinquies, consapevolmente si procura o detiene materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull’uso di congegni bellici micidiali [4], di armi da fuoco o di altre armi o di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché su ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da due a sei anni”. Nella già caotica sezione del Codice Penale sui reati di terrorismo, si aggiunge così una fattispecie di reato astrattamente applicabile ad una miriade di testi, anche solo di narrativa o di carattere storico, come per i famosi libretti sulla Guerrilla di Che Guevara, editi Feltrinelli, tanto famosi negli anni del’68 e del ’77.
L’articolo 10, sul contrasto all’occupazione arbitraria di immobili destinati a domicilio altrui, prevede l’introduzione dell’art 634-bis, per cui è prevista la reclusione da 2 a 7 anni per “chiunque, mediante violenza o minaccia, occupa o detiene senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze, ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente. Alla stessa pena soggiace chiunque si appropria di un immobile altrui o di sue pertinenze con artifizio raggiri ovvero cede ad altri l’immobile occupato”. Al comma 2, poi, fuori dalle ipotesi di concorso nel reato, chi si intromette o coopera o riceve/corrisponde denaro o altra utilità per l’occupazione soggiace alla stessa pena del comma 1. Viene infine disposta L’IMPUNIBILITÀ PER L’OCCUPANTE CHE COLLABORA ALL’ACCERTAMENTO DEI FATTI E CHE RILASCIA VOLONTARIAMENTE L’IMMOBILE. Mentre al secondo comma vediamo criminalizzata anche la condotta di chi porta solidarietà da fuori alla lotta per la casa, nell’ultimo comma il legislatore ricatta in maniera vera e propria gli occupanti, spesso famiglie con bambini o soggetti fragili, per indurli a incolpare gli altri occupanti e i promotori. Inoltre, al comma 4 si dispone l’introduzione dell’articolo 321-bis del Codice di procedura penale in materia di sfratti, che permette alle forze dell’ordine di intervenire subito e in qualsiasi momento per eseguire lo sfratto, su richiesta del Pubblico Ministero o disposto dal giudice con decreto motivato o perfino per iniziativa delle forze dell’ordine (per certe condizioni specifiche, salvo successiva convalida), e che criminalizza ogni condotta oppositiva all’esecuzione dello sfratto, inclusa la resistenza passiva.
C’è da evidenziare qui il modo in cui, per il legislatore, la tutela della proprietà privata dei beni immobili (e della rendita che se ne trae) diviene completamente prioritaria rispetto al diritto all’abitare. Ciò si vede chiaramente anche nell’introduzione di norme procedurali ad hoc e d’urgenza, una cosa mai vista se non per casi di allontanamento dalla casa familiare a seguito di violenze e altri reati gravi che pongono a rischio l’incolumità della persona.
All’articolo 11 troviamo le modifiche alla disciplina delle circostanze aggravanti comuni ex art 61 CP, con l’introduzione di un nuovo comma [5], che prevede l’aggravante di “aver commesso il reato dentro o nelle adiacenze delle stazioni ferroviarie o metropolitane o dentro convogli adibiti a trasporto passeggeri”. All’articolo 12, danneggiamenti in occasione di manifestazioni, per cui all’articolo 635 del CP si aggiunge il comma 3: sei fatti danneggiamenti sono commessi con violenza alla persona o minaccia, la pena è della reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni e della multa fino a 15.000 euro.
Secondo l’articolo 13, il questore può disporre il divieto di accesso [6] (Minniti- Orlando) anche contro chi risulti denunciato o condannato senza sentenza definitiva entro i 5 anni precedenti per alcuno dei delitti contro la persona o il patrimonio [7] commessi in luoghi [8] quali stazioni ferroviarie etc.,o nel caso di lesioni personali a P.U. in esercizio delle funzioni durante manifestazioni sportive [9], commesso in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.
In questa disposizione emerge quel ruolo preventivo della polizia nelle stazioni ferroviarie, che così potrebbe arbitrariamente allontanare anche solo dei “sospettati”, come si legge anche nella relazione introduttiva al DDL. Tutto ciò comporta gravi pericoli alla libertà di circolazione di chi è anche solo indagato per qualunque reato contro persona o patrimonio (da una truffa ad un semplice pugno), purché ciò sia successo in prossimità di una stazione di trasporto.
articolo 14, sul reato di blocco stradale, si aggiunge il reato di blocco delle strade ferrate (ferrovie) e si effettua una sostituzione della pena [10], eliminando sanzione amministrativa di euro 1000 fino a 4000, ed inserendo la reclusione fino a 1 mese o la multa fino a 300 euro se il fatto è commesso da un singolo individuo. Se il reato è commesso da più persone, la pena è la reclusione da 6 mesi a 2 anni.
Articolo 15, sulle modifiche agli articoli 146 e 147 CP riguardo all’esecuzione della pena in caso di pericolo, eccezionale rilevanza o commissione di ulteriori delitti, si dispone il passaggio da obbligatoria a facoltativa della differibilità della pena per madri incinte o di prole inferiore a 1 anno, solo nel caso in cui non ci siano pericoli eccezionali di commissione di nuovi reati. Se prima,insomma, le donne incinte e madri di bambini sotto 1 anno vedevano riconosciuta in automatico la differibilità della pena in carcere, ora la loro posizione è equiparata a quelle con prole inferiore ai 3 anni, dovendo passare in ogni caso da una valutazione. Il legislatore intende attaccare anche qui un principio garantista fondamentale dell’ordinamento, attaccando, peraltro, categorie di “nemici” facilmente riconoscibili, quali le donne e madri ROM.
Articolo 16, sull’inasprimento delle pene per il reato di accattonaggio con uso di minori [11], che porta la reclusione da uno a cinque anni.
Articolo 19, che effettua modifiche agli articoli 336 e 337 del CP, comportanti l’aumento della pena di 1/3, se i reati di violenza e minaccia sono commessi contro un pubblico ufficiale o una gente di polizia, senza possibilità di ritenere prevalenti le attenuanti concorrenti ex art 98 CP. All’articolo 339, poi, viene aggiunta la previsione: “se violenza o minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, la pena è aumentata”. In questo passaggio il riferimento ai movimenti NO-TAV, NO-TRIV, NO-TAP, al movimento NO-Ponte sullo Stretto e a tutti quelli contro le grandi opere inutili è quasi palese.
Articolo 20, sul reato di lesioni personali a Pubblico Ufficiale nell’esercizio delle funzioni, dispone una modifica all’articolo 583-quater del CP,aggiungendo l’ipotesi di reclusione da due a cinque anni, anche per le lesioni lievi, mentre, se trattasi di lesioni sono gravi o gravissime, la pena va da quattro a dieci anni e da otto a sedici anni (come ora).
Gli articoli 22 e 23 intervengono sull’anticipazione delle spese legali per il personale delle Forze Armate, di Polizia o dei vigili del fuoco, a carico dello Stato (quindi dei contribuenti). Se infatti i soggetti sopramenzionati sono indagati o imputati per fatti inerenti al servizio (…) e intendono avvalersi di libero professionista di fiducia, può essere corrisposta, anche frazionata, su richiesta dell’interessato e compatibilmente con le disponibilità di bilancio dell’amministrazione di appartenenza, una somma non superiore a 10.000 euro per ogni fase del procedimento, destinata alla copertura delle spese legali, salva rivalsa se al termine del procedimento è accertata la responsabilità dell’ufficiale o dell’agente a titolo di dolo. Se già sono più unici che rari i procedimenti giudiziari contro membri delle forze dell’ordine e di polizia, spesso destinati all’archiviazione, ora bisognerà pure fare i conti con un dispendio di fondi pubblici per ogni grado di giudizio.
Articolo 24, recante modifiche all’articolo 369 CP, per la tutela dei beni mobili e immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche, da imbrattamento o deturpamento (cd norma anti-ecovandali). Se il reato è commesso contro i beni sopracitati, con finalità di ledere all’onore, al prestigio e al decoro dell’istituzione, la pena è la reclusione dai 6 mesi a 1 anno e 6 mesi e della multa dai 1000 ai 3000 euro. Per casi di recidiva, la reclusione va dai 6 mesi ai 3 anni e la multa arriva fino a 12 mila euro. La sproporzione tra il fatto compiuto e la pena comminata, anche qui, risulta mostruosamente evidente, oltreché destare profondi dubbi rispetto al principio di offensività.
Articolo 26, recante una modifica all’articolo 415 CP (istigazione a disobbedire alle leggi, vedi testo), aggiunge il comma 2, che prevede un aumento di pena se il fatto è commesso dentro istituti penitenziari o con scritti o comunicazioni diretti a persone detenute.
Al contempo, si prevede l’introduzione dell’art415-bis CP (rivolta dentro istituto penitenziario), secondo cui chiunque dentro un istituto penitenziario partecipa ad una rivolta con atti di violenza o minaccia o resistenza all’esecuzione di ordini impartiti, insieme a 3 o più persone riunite, è punito con reclusione da 1 a 3 anni. Attenzione: costituisce resistenza anche quella passiva che, in relazione al numero di persone coinvolte, del contesto e delle condizioni in cui operano i pubblici ufficiali, impediscono il compimento degli atti d’ufficio o di servizio necessari per la gestione dell’ordine e sicurezza. Coloro che promuovono, organizzano o dirigono la rivolta sono puniti con la reclusione da 2 a 8 anni. Se il fatto è commesso con l’uso di armi, la pena è della reclusione da 2 a 6 anni nei casi previsti dal primo comma e da 3 a 10 anni nei casi previsti dal secondo comma.
Se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, una lesione personale grave o gravissima, la pena è della reclusione da 2 a 6 anni nei casi previsti dal primo comma e da 4 a 12 anni nei casi previsti dal secondo comma; se, quale conseguenza non voluta, ne deriva la morte, la pena è della reclusione da 7 a 15 anni nei casi previsti dal primo comma e da 10 a 18 anni nei casi previsti dal secondo comma. Nel caso di lesioni gravi o gravissime o morte di più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata fino al triplo, ma la pena della reclusione non può superare gli anni 20. I diversi casi di “lesioni gravi o gravissimi” o “morte” di una o più persone costituiscono forme assolutamente ambigue e indeterminate. Con una tale disposizione, infatti, i carcerati o detenuti dei CPR in rivolta potrebbero risultare colpevoli della morte e/o delle lesioni di qualsiasi persona, perfino se causate dalla polizia penitenziaria “per sedare la rivolta”. Su di loro andrebbe a configurarsi una responsabilità penale per il solo fatto di aver partecipato o dato vita ad una rivolta, perfettamente motivata dalle note condizioni disumane di tali istituti. Quella responsabilità oggettiva tanto cara alla legislazione penale fascista e che dovrebbe essere in contrasto pieno con la Costituzione, anche se spesso ritorna e risulta pure tollerata.
Articolo 27, sul rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza migranti e la semplificazione delle procedure per loro realizzazione. Sulla falsariga del precedente articolo, si dispone l’introduzione del comma 7.1 all’articolo 14 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero [12].
Secondo il nuovo comma 7.1, chiunque partecipa alla rivolta con atti di violenza, minaccia e resistenza anche passiva all’esecuzione di ordini impartiti, commessa da 3 o più persone riunite, è punito con reclusione da 1 a 4 anni. Promotori e organizzatori o dirigenti sono puniti con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 5 anni. Se il fatto è commesso con l’uso di armi, la pena è della reclusione da 1 a 5 anni nei casi previsti da primo periodo e da due a sette anni per i casi previsti nel secondo periodo. Se dal fatto derivano non volute lesioni personali gravi o gravissime, la pena è la reclusione da 2 a 6 anni per il primo periodo e da 4 a 12 anni per il secondo periodo; se deriva la morte non voluta, la pena è la reclusione da 7 a 15 anni per il primo periodo e da 10 a 18 anni per il secondo periodo. Per le lesioni gravi o gravissime e la morte di più persone, si applica la pena da infliggere per la violazione più grave, aumentata fino a triplo, malapena della reclusione non può superare i 20 anni.
Queste due norme, costruite specularmente seguendo lo stesso climax ascendente difatti e pene sempre più gravi, colpiscono direttamente i numerosi casi di rivolte dentro al carcere e dentro ai CPR. Le condizioni pietose e disumane a cui sono costretti i carcerati e i migranti dentro queste strutture sono ben note a tutti, eppure il legislatore rincara la dose e intende perfino imputare agli stessi detenuti la responsabilità per le lesioni e le morti che avvengono durante una protesta. L’unico responsabile per le centinaia di morti e suicidi che ogni anno avvengono dentro questi istituti sappiamo essere solo e soltanto lo Stato.
Articolo 28, disposizioni in materia di licenza, porto e detenzione delle armi per gli agenti di Pubblica Sicurezza. Secondo tale dispositivo, gli agenti di Pubblica Sicurezza sono autorizzati a portare con sé senza licenza le armi anche non di ordinanza [13] e anche quando questi non sono in servizio.
Articolo 32, modifiche al codice [14], in materia di obblighi di identificazione degli utenti dei servizi di telefonia mobile e relative sanzioni. Questo articolo dispone che, se il cliente di un negozio di telefonia mobile è cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, deve essere acquisita copia del titolo di soggiorno di cui è in possesso. L’operatore che non rispetta tale obbligo è soggetto a sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività per un periodo da cinque a trenta giorni.
Questa odiosa e razzista disposizione impedisce sostanzialmente agli operatori di negozi e servizi di telefonia la vendita di scheda SIM a persone migranti, provenienti da paesi extra-UE. Un ennesimo esempio di legislazione penale ad-personam, che non tiene minimamente conto della rilevanza o del pericolo di una condotta illegittima e che limita le libertà fondamentali della persona umana solamente per il fatto di non essere cittadino europeo. In questo caso, soprattutto, il diritto alla comunicazione delle persone migranti, senza tenere in conto, poi, gli effetti della norma nel mercato nero delle SIM.
NOTE
[1] ↑ comma 2 dell’art. 670 CP
[2] ↑ ex art. 2 R.D. 773/1931
[3] ↑ nuovo art. 270-quinquies 3 e la modifica dell’art. 435 del Codice Penale
[4] ↑ di cui all’art. 1, primo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110
[5] ↑ c. 11-decies, art. 61 CP
[6] ↑ ex c. 2 dell’art. 10 del DL 14/2017
[7] ↑ ex libro secondo, tit. XII e XIII, CP
[8] ↑ ex art. 9, C1 – al c. 6 del DL 14/2017
[9] ↑ art. 583-quarter CP
[10] ↑ prevista dall’art. 1-bis comma 1, del DL 66/1948
[11] ↑ ex art. 600-octies CP
[12] ↑ di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286.
[13] ↑ ex art. 42 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza
[14] ↑ di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n.259
CREDITS
Immagine in evidenza: La sfida
Autore: Hedrok, 15 febbraio 2007
Licenza: CC BY-NC 2.0
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