In Chi ha paura di chi? Una riflessione sul nuovo DDL Sicurezza 1660
Il sistema trasversale di propaganda repressiva ha il preciso scopo di instaurare nella mente della collettività un senso di pericolo sociale costante, talmente grave da rendere necessario l’intervento del pugno di ferro del governo. Se è vero, infatti, che i reati sono diminuiti, sono i reati di prossimità a dare maggiore fastidio (borseggi, furti negli appartamenti piccole rapine etc.). difficile che le persone possano trovarsi a contatto con gli evasori fiscali, i corrotti, le grandi organizzazioni criminali.
Sanno della loro esistenza ma non li incontrano sull’autobus strapieno dove ti fregano il telefonino, non li incontrano di notte in strade senza illuminazione, non ti entrano dentro casa mentre sei fuori. Ragione per cui, contro alcune figure e comportamenti illegali c’è solo la stigmatizzazione morale ma non c’è la percezione che siano un problema più grosso di quello che invece i telegiornali e programmi televisivi ti rappresentano ossessivamente – e strumentalmente – come problema principale, accanendosi contro immigrati, rom, ex detenuti, detenuti, marginali.
Allo stesso tempo, però, si tenta di intimidire gli stessi soggetti destinatari della repressione con minacce di pene sproporzionate, cercando così di annientare sul nascere qualsiasi tipo di impegno politico serio e orientato ad un reale cambiamento verso un’alternativa sistemica, soprattutto sui più giovani, protagonisti delle ultime mobilitazioni. In questo senso, le classi dominanti fanno ricorso alla nota funzione di deterrenza, tipica di quel “diritto penale del nemico” o d’autore che non è fatto di norme generali e astratte che si concentrano sul fatto, bensì di norme specificamente indirizzate contro specifici soggetti, organizzazioni o realtà politiche.
Chi sono i settori sociali colpiti dalla nuova legge sullo stato di polizia? Chi sono queste categorie sociali “pericolose” e da reprimere? Ce lo dice lo stesso DDL: disoccupati, senza casa, lavoratori e giovani/studenti.
Come fanno questi gruppi sociali oggi senza più alcuna rappresentanza politica a far sentire i loro interessi? Con i conflitti sociali e le forme di protesta che ne derivano. I disoccupati, ad esempio, non possono ricorrere all’arma dello sciopero, ragione per cui possono far sentire le loro istanze solo bloccando le strade occupando edifici istituzionali. I senza casa non possono scioperare, quindi ricorrono a forme di lotta come le occupazioni di case o edifici abbandonati. I lavoratori delle fabbriche che chiudono, ricorrono ai blocchi stradali o alle occupazioni della fabbrica o di edifici istituzionali per far sentire il dramma di stare per perdere il lavoro. I lavoratori che operano nel settore strategico della logistica sono tra i pochi ad avere ancora potere negoziale perché possono interrompere con blocchi e picchetti la circolazione delle merci oggi divenuta decisiva. E poi ci sono gli studenti e i giovani che hanno deciso di ricorrere a forme clamorose di protesta come i blocchi stradali o le contestazioni dei luoghi “di vetrina” per denunciare l’emergenza dell’infarto ecologico del pianeta.