Francesca Cirillo RdC Campania
Relazione introduttiva alla partecipata iniziativa di discussione e confronto che si è tenuta all’Officina Malía di Caserta sullo stato di guerra che la violenza sionista porta anche in casa nostra.
Come già saprete, pochi giorni fa, il 20 novembre, gli Stati Uniti hanno bloccato la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per un cessate il fuoco immediato della guerra di Israele su Gaza. È il quarto veto posto dal 7 ottobre 2023 ad oggi. Riporto qui alcune parti del discorso tenuto dall’osservatore palestinese alle Nazioni Unite, Majed Bamya.
– l’unico diritto che noi (palestinesi) abbiamo è di morire? Quando è abbastanza? Qual è il punto in cui diciamo “No, adesso c’è bisogno di un cessate il fuoco”? Israele è responsabile dei civili palestinesi che uccide e non può essere assolto da questa responsabilità. Li sta uccidendo di proposito, deliberatamente, ripetutamente, massivamente. 14 mesi e ancora discutiamo se un genocidio debba essere fermato o no.
Un giorno qualcuno si chiederà “Come è possibile che un genocidio mandato in onda in TV, conosciuto in tutto il mondo, sia potuto andare avanti così a lungo?”
Noi non siamo nati per essere occupati e uccisi e sfollati. Non è questo il nostro destino.
Non esiste il diritto a uccidere in massa i civili. Non esiste il diritto a ridurre alla fame un’intera popolazione civile. Non esiste il diritto a sfollare forzatamente un popolo. E non esiste diritto di annessione. Ma questo è quello che Israele sta facendo a Gaza. Questi sono i suoi obiettivi di guerra. Questo è quello che un’assenza di un cessate il fuoco gli sta permettendo di continuare a fare. –
Queste sono state le parole pronunciate dall’osservatore palestinese al consiglio di sicurezza dell’Onu.
Queste parole cosi forti arrivano dopo 14 mesi di massacro, in cui circa 50mila Palestinesi sono stati uccisi. O almeno queste sono le cifre ufficiali, quelli che sono stati contati: molti di più sono quelli che non si possono contare. Queste parole arrivano insieme a 2milioni di uomini e donne che ad oggi sono ostaggi tra i sottili confini di quella miseria di terra concessa che è la Striscia di Gaza, dove non esistono né più ripari sicuri, né ospedali funzionanti e dove le condizioni igienico-sanitarie sono disastrose.
Lo scenario in cui tutto ciò avviene è un mondo che non è né pacificato né stabile.
In tanti momenti di confronto pubblico, come RdC abbiamo individuato che la crisi dell’imperialismo occidentale e l’emergere dei BRICS+ come alternativa economica sono espressioni di un mondo multipolare che sta cercando di rompere l’egemonia unipolare degli Stati Uniti e dei loro alleati occidentali. In questo contesto, l’aggressività della NATO e l’insostenibilità della sua strategia in Ucraina sono solo alcuni dei segnali di una crisi più profonda.
Le recenti elezioni negli Stati Uniti con la vittoria di TrAmp rappresentano un ulteriore elemento di instabilità generalizzato, cosa che si ripercuoterà anche in Medio Oriente. Il neopresidente statunitense, infatti, non ha mai fatto mistero delle sue politiche e intenzioni aggressive verso l’Iran e verso tutti gli stati e le organizzazioni non allineate che appartengono a quella regione di mondo, con il rischio concreto di un allargamento esponenziale del conflitto, tenendo conto, anche, della presenza delle basi russe in quell’area.
Come in molti quadranti, anche in Medio Oriente lo scenario si presenta completamente differente sia rispetto a pochi mesi fa sia all’ottobre 2023.
Oggi in gioco non c’è più solo il genocidio dei palestinesi a Gaza e l’annessione dei territori occupati in Cisgiordania.
Oggi ciò che va fermata è la guerra senza limiti in Medio Oriente scatenata da Israele.
Infatti, la politica israeliana, aggressiva e imperialista, già adesso gestisce uno stato “in guerra su sette fronti”: palestinesi a Gaza e Cisgiordania, in Iran, in Libano, in Yemen, in Siria, in Iraq.
In pratica Israele è in guerra con più di mezzo Medio Oriente.
Noi sappiamo che Israele è uno stato criminale al quale è stata consentita l’impunità per decenni, che pratica il terrorismo di stato e che è anche aiutato a praticarlo. Si è passati dall’ ignorare le risoluzioni dei tribunali internazionali e dell’Onu, direttamente al fatto che Netanyahu possa innalzare lo scontro con questa organizzazione accusandola di essere un covo di antisemiti, vietando di portare cibo ai Palestinesi tramite l’Unrwa, agenzia umanitaria dell’ONU, e attaccando le postazioni del contingente dell’Unifil in Libano.
Dobbiamo renderci conto quindi che Israele non è solo una minaccia di guerra per la regione mediorientale ma anche per il resto del mondo. Ci riguarda tutti!
Infatti, l’onda lunga della guerra senza limiti di Israele arriva anche qui da noi, nella vecchia Europa: ciò l’abbiamo visto con l’aggressività e il senso di impunità dei gruppi ultrasionisti. Lo abbiamo visto in tutta Italia, in Francia, e anche con gli ultimi avvenimenti ad Amsterdam. E lo abbiamo visto anche con l’intimidazione e la criminalizzazione politica, legale e mediatica in diversi paesi europei contro chi solidarizza con i palestinesi nelle università, nelle istituzioni e nei mass media.
Il governo italiano e tutta l’Unione Europea, seguendo i dictat di Washington, che vengano da repubblicani o democratici non fa differenza, non solo sono complici del genocidio ma anche dell’escalation in corso e corresponsabili nell’esporre anche i popoli europei al rischio di guerra. Le parole “Israele ha il diritto di difendersi” sono ormai un mantra ripetuto dal Governo italiano e da tutti i governi dell’Unione Europea. Ma questa, sappiamo, non è difesa perché non c’è alcuna offesa, ma solo occupazione. Infatti noi sappiamo bene che la “difesa” di Israele non è altro che la continuazione di un’occupazione illegittima che dura da più di 75 anni.
Se ancora ci fossero dubbi sulla complicità del nostro governo, la conferma arriva dalle parole del ministro dell’Economia israeliano che ha dichiarato che in Italia, e cito testuali parole: “Le piazze sono contro di noi, ma il governo sta con noi, per cui gli affari vanno bene ed anzi sono aumentati senza problemi”.
Mi sembra non ci sia più nulla da aggiungere.
Quindi arriviamo a quello che certamente, per noi, è il punto centrale di questo incontro: noi stessi, il nostro agire, e dunque le nostre responsabilità ed i nostri compiti politici.
Fin qui ho cercato di tracciare le coordinate fondamentali, i contorni dello scenario politico globale che fa da sfondo al genocidio dei palestinesi. Siamo consapevoli di aver a che fare con uno Stato criminale che ci porta dritti ad una guerra generalizzata, perché dietro la logica israeliana del “cane pazzo” emerge chiaramente una visione messianica in cui Israele – che è bene ricordarlo, è una potenza nucleare – è disposta a tutto pur di non cedere nulla ai paesi della regione e nelle relazioni internazionali con il resto del mondo.
È forse tempo di un primo bilancio di quel che siamo riusciti a mettere in campo, come sinistra antagonista, come comunisti, come compagni solidali con la lotta palestinese. “Le nostre piazze sono contro di loro”, parafrasando il ministro dell’economia israeliano, e questo è certamente vero. Ma non possiamo nasconderci che, fino ad adesso e al contrario di quel che si muove nel resto del mondo, le mobilitazioni italiane sono state numerose ma non di massa. Ora dobbiamo allargare la mobilitazione, il nostro obiettivo deve puntare innanzitutto alla massificazione della lotta.
C’è urgente bisogno di un salto di qualità nel confronto sul quadrante Mediorientale e c’è bisogno della convergenza di tutte le forze, di un maggiore coordinamento delle iniziative e soprattutto di una maggiore maturità politica. Ricordiamoci che questa lotta non è di nicchia e non è incomprensibile da parte della popolazione; nostro compito è dunque quello di dare espressione alla diffusa e crescente indignazione della maggioranza della società contro Israele, contro il genocidio in corso dei palestinesi e contro il pericolo di guerra rappresentato tanto dai cani pazzi quanto dai suoi complici occidentali.
Dunque, è in questo scenario che la manifestazione nazionale del 30 novembre a Roma rappresenta una tappa fondamentale. Sarà certamente un’occasione per ribadire la nostra solidarietà al popolo palestinese, per denunciare ancora una volta il genocidio che da decenni subisce, e per chiedere con ancora più forza l’immediata cessazione delle aggressioni israeliane. Ma soprattutto sarà un’opportunità per incalzare il nostro governo, sottomesso e complice dei ‘falchi della guerra’, NATO, USA e UE, e sarà il momento per accusare apertamente una compagine politica che quando non è apertamente complice è inerte, sia sul genocidio dei palestinesi che sui pericoli della guerra in cui ci sta trascinando Israele.
Quella del 30 novembre sarà una grande manifestazione popolare su questi temi e che deve mandare in tal senso un forte segnale politico e di massa. Il 30 novembre dobbiamo provarci, favorendo le convergenze e riducendo le divergenze.
Imparando dalla Resistenza palestinese unificata, convergiamo nella diversità, ce lo chiedono la Palestina, il Libano e l’umanità intera.