Capitolo VI del quaderno “Il comunismo e il mondo arabo”
Ponendo all’ordine del giorno l’intenzione di impegnarsi nella comune battaglia anticoloniale, il II Congresso del Comintern si trovò costretto ad affrontare una questione destinata a rimanere aperta per i decenni successivi fino ad oggi: era necessario costruire un fronte comune tra proletariato e borghesia nazionale? I due poli del dibattito, in occasione del congresso, erano rappresentati da Lenin e M. N. Roy. Il primo sosteneva l’idea di un’alleanza tattica con le sezioni “rivoluzionarie nazionali” della borghesia nazionale, mentre il secondo, basandosi sulla sua esperienza con la natura ambigua della borghesia nazionale indiana, riteneva che tale collaborazione fosse la ricetta per il disastro.
In quell’occasione fu trovata una soluzione di compromesso, proposta dal comunista armeno e fondatore del Partito Comunista dell’Iran Sultan Zadeh, il quale suggerì che l’atteggiamento verso la ‘borghesia nazionale’ dovesse essere flessibile e adattato ai contesti locali. Lenin approvò il compromesso e redasse una risoluzione che affermava quanto segue: “L’Internazionale Comunista deve entrare in un’alleanza temporanea con la democrazia borghese nei paesi coloniali e arretrati, ma non deve fondersi con essa, e deve in ogni circostanza mantenere l’indipendenza del movimento proletario, anche se si trova nella sua forma più embrionale.” (Lenin, 1920).
Negli anni successivi, il complesso rapporto tra comunismo e nazionalismo continuò a essere oggetto di un animato dibattito. Al IV Congresso del Comintern nel 1922 – in cui la tattica del fronte comune fu riconfermata – M. N. Roy avvertì nuovamente che, specialmente nei paesi dove il capitalismo si era sviluppato maggiormente, come l’India, la borghesia nazionale aveva un considerevole interesse nel sistema esistente: sarebbe arrivato inevitabilmente il momento, secondo Roy, in cui i gruppi nazionalisti “avrebbero tradito il movimento e sarebbero diventati una forza controrivoluzionaria”.
Al VI Congresso del Comintern, nel 1928, vennero vagliate e coordinate le esperienze degli ultimi anni rispetto all’azione rivoluzionaria nelle colonie, per cercare una nuova linea che tenesse conto dei limiti delle “alleanze tattiche” nei contesti in cui la borghesia nazionale aveva assunto una funzione eminentemente “controrivoluzionaria”. Nel 1927, infatti, il fronte unito cinese tra il KMT e il PCC, nato nel 1924 allo scopo di riunificare la Repubblica di Cina, si ruppe con il massacro di Shanghai, durante il quale Chiang Kai-shek lanciò una feroce campagna di repressione contro i comunisti. Nel 1928 la repressione si intensificò, il KMT continuò a perseguitare il PCC costringendolo a rifugiarsi in aree rurali. Anche in Egitto, dopo l’ottenimento di un’indipendenza formale nel 1922, il nuovo governo Wafdista [1] aveva da subito duramente represso sia il partito comunista sia i sindacati, nonostante il Partito Comunista Egiziano (PCE) si fosse adattato al quadro strategico del Comintern, e quindi alla linea delle alleanze tattiche con le forze nazionaliste. Nel 1931 il PCE affermava:
“L’intera storia del Wafd dopo il 1919 è la storia della sua lotta contro i lavoratori e i contadini rivoluzionari e contro i lavoratori in generale.”
Anche i partiti comunisti palestinese e siriano si espressero contro il “Blocco nazionale in Siria”, denunciando il fatto che “molti vecchi capi della rivolta (siriana) del ‘25 sono ora seduti con gli oppressori francesi” e che in Palestina “il comitato esecutivo arabo è in combutta col sionismo”.
Questi dolorosi eventi portarono il Comintern a riadattare la sua posizione sulle tattiche del “fronte comune”, sostituendole con un approccio più dialettico, che valutasse situazione per situazione.
Già nel maggio 1925, in un discorso all’Assemblea dell’Università comunista dei Lavoratori dell’Oriente su «I compiti politici dell’Università dei popoli dell’Oriente», Stalin non aveva mancato di indicare la necessità di adottare tattiche diverse a situazioni diverse, e nel 1935 scriveva in “Il marxismo e la questione nazionale e coloniale” :
«Per i paesi come il Marocco, dove la borghesia nazionale non ha ancora motivo di dividersi in partito rivoluzionario e partito conciliatore, il compito degli elementi comunisti consiste nel prendere tutte le iniziative per creare un fronte unico nazionale contro l’imperialismo… Nei paesi come l’Egitto e la Cina, dove la borghesia nazionale si è già divisa in un partito rivoluzionario e in un partito conciliatore, ma dove la parte conciliatrice della borghesia non può ancora saldarsi con l’imperialismo, i comunisti non possono più prefiggersi come fine la creazione di un fronte nazionale contro l’imperialismo. Dalla politica di fronte unico nazionale i comunisti devono passare, in questi paesi, ad una politica di blocco rivoluzionario degli operai e della piccola borghesia…».
La nuova tattica mirava dunque ad unire la lotta per l’indipendenza nazionale e la lotta di classe, optando per una tattica di “fronte unico nazionale” solo laddove le condizioni specifiche del paese l’avessero permesso.
NOTE
[1] ↑ Il Partito Wafd (lett. “Partito della Delegazione”; Ḥizb al-Wafd) è stato un partito politico nazionalista liberale egiziano. Si dice che sia stato il partito politico più popolare e influente dell’Egitto per un periodo che va dalla fine della Prima guerra mondiale agli anni Trenta.
CREDITS
Immagine in evidenza: Insorti palestinesi durante la rivolta antibritannica del 1936-1939
Autore sconosciuto
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