Capitolo II del quaderno “Il comunismo e il mondo arabo”
Se fino al 1923 – cioè fino all’abortita insurrezione in Germania – i dirigenti bolscevichi non abbandonarono la speranza di una rivoluzione tedesca che rivestiva un ruolo centrale, le prospettive di una rivoluzione imminente si spostarono verso l’Asia, compresa l’Asia occidentale che corrisponde grosso modo a ciò che la geografia politica occidentale considera “Medio” o “Vicino” Oriente. L’Asia è un’area alla quale Lenin aveva rivolto particolare attenzione.
Già nell’estate del 1920, dopo il II Congresso dell’Internazionale comunista, si tenne il Congresso dei popoli d’oriente a Baku, congiungendo la lotta dei proletari della metropoli capitalista con quella condotta dai popoli oppressi nelle colonie e nelle semi-colonie.
Il messaggio di speranza della Rivoluzione Bolscevica giungeva alle orecchie di chi combatteva contro il giogo coloniale, e non solo ai comunisti, ma ai popoli oppressi e alla loro leadership in formazione.
Da parte del movimento comunista era un vero e proprio “capovolgimento di paradigma” rispetto alla cultura euro-centrica della socialdemocrazia europea che aveva a lungo caratterizzato il marxismo, o meglio la sua degenerazione secondo-internazionalista a cui pochi si erano sottratti. Questo salto qualitativo permise la creazione di quel brodo culturale in cui cresceranno futuri dirigenti comunisti, e non, come Mao, Ho Chi Minh o Nehru, provenienti da Nazioni Oppresse e che ispirò il pan-arabismo.
Vediamo più nel dettaglio il Congresso di Baku che segnò un vero spartiacque per il movimento comunista internazionale.
Lì, nell’attuale Azerbaigian, circa 100 anni fa un Congresso senza precedenti proclamò l’avvento di una lotta globale per la libertà dal dominio coloniale. Nel settembre 1920, circa 2.050 partecipanti (ma gli studi storici divergono sul dato), provenienti da trentasette popolazioni, per lo più asiatici e musulmani, approvarono l’appello per una “guerra santa” (letteralmente “Jihad”) per la liberazione dei popoli dell’Est.
All’epoca della rivoluzione, i gruppi etnici “minoritari” costituivano la maggioranza della popolazione russa. I popoli asiatici musulmani rappresentavano un sesto del totale e vivevano in vasti territori afflitti dal colonialismo zarista. Quando il governo a guida bolscevica prese il potere, uno dei suoi primi decreti fu quello di garantire a queste popolazioni minoritarie “la libera autodeterminazione fino al diritto di secessione”.
Un primo appello sovietico s’impegnava nei confronti dei lavoratori e dei contadini musulmani dichiarando che “d’ora in poi le vostre credenze e i vostri costumi, le vostre istituzioni nazionali e culturali sono dichiarate libere e inviolabili”. Queste misure ottennero un ampio sostegno a livello internazionale, in particolare tra gli attivisti delle colonie. Quando la Conferenza di pace di Parigi del 1919 respinse categoricamente l’idea di autodeterminazione per i popoli colonizzati, ciò spinse i sostenitori dei diritti coloniali ad abbracciare l’obiettivo della piena indipendenza e a guardare all’esperienza sovietica come un faro.
Dopo che i sostenitori del vecchio ordine lanciarono una guerra contro il governo sovietico, aiutati da contingenti armati degli Stati Uniti e di altre potenze alleate, lo stato sovietico raccolse un massiccio sostegno tra le vittime del colonialismo zarista.
Non è peregrino ricordare che la guerra civile nella neonata URSS non opponeva solo i bolscevichi alle truppe bianche che lottavano per il vecchio ordine zarista, ma le principali potenze dell’epoca – come Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti – che disponevano di ampi imperi o possedimenti coloniali.
Alla fine del 1919, quasi 250.000 lavoratori di origine musulmana prestavano servizio sul decisivo fronte dell’Asia centrale nella Sesta Armata Rossa, costituendo quasi la metà della sua forza. Alla fine del 1919, le forze sovietiche erano vittoriose sui principali fronti della guerra civile. Le armate britanniche che erano penetrate in Iran, Azerbaigian, Afghanistan e nell’attuale Turkmenistan si stavano ritirando verso le basi in Palestina, Iraq e India. Nei primi mesi del 1920, gli eserciti sovietici si avvicinarono ai confini di Iran, Afghanistan e Cina. I popoli asiatici dell’ex Russia zarista formarono molte repubbliche sovietiche autonome.
È importante ricordare come il Comintern considerava i popoli colonizzati non solo come vittime dell’impero, ma anche come artefici della propria liberazione. Lenin espose questa visione nel novembre 1919 a un congresso dei comunisti dell’Est.
Il secondo Congresso mondiale del Comintern, tenutosi a Mosca nelle tre settimane di luglio-agosto del 1920, fu caratterizzato da un’ampia discussione sulla liberazione coloniale e nazionale. Adottò due serie di tesi, una redatta da Lenin e una dal rivoluzionario indiano Manabendra Nath Roy, e propose un’alleanza tra i movimenti rivoluzionari dei lavoratori e i movimenti “nazional-rivoluzionari” dei Paesi coloniali e semicoloniali.
Non potendo fare qui una ricostruzione precisa del Congresso di Baku vogliamo sottolineare due aspetti della discussione sull’emancipazione femminile e del rapporto tra fede mussulmana ed adesione al comunismo.
Meno conosciuta, ma fondamentale per gli ulteriori sviluppi della lotta anti-colonialista è la Lega contro l’imperialismo e l’oppressione coloniale che venne fondata a Bruxelles nel febbraio del 1927, su spinta del Comintern, alla presenza di 175 delegati provenienti da tutto il mondo. Fu significativa perché riunì rappresentanti e organizzazioni del mondo comunista e organizzazioni e attivisti anticoloniali del mondo colonizzato. 107 dei 175 delegati provenivano da 37 Paesi sotto il dominio coloniale. Il Congresso mirava a creare un “movimento antimperialista di massa” su scala mondiale.
Dal 1924, il Comintern cercò, con difficoltà, di trovare convergenze con l’ala sinistra degli eredi della Seconda Internazionale e con i partiti “nazionalisti borghesi” anticoloniali del mondo colonizzato.
Un altro stimolo a creare una cooperazione politica trasversale fu l’ondata rivoluzionaria in Cina a partire dal 1923 con la formazione del “Fronte Unito” tra Kuomintang e il Partito Comunista Cinese, fondato nel 1921.
Il dirigente comunista tedesco Willi Münzenberg fu il responsabile incaricato della creazione della Lega contro l’Imperialismo. A tal fine, invitò numerose personalità della sinistra europea e americana e nazionalisti anticoloniali del mondo colonizzato, ed alcuni intellettuali di rilievo.
A Bruxelles vennero presentati tre punti principali: la lotta antimperialista in Cina, gli interventi degli USA in America Latina, e la “Negro question” che riguardava la condizione dei Neri sia in Africa che nei paesi imperialisti. Il consesso fu tra l’altro una tribuna per la denuncia dei crimini commessi in Congo, allora proprietà personale del re belga.
Il Congresso mostrò l’intima relazione tra panafricanismo e comunismo.
L’esperienza della Lega che non possiamo indagare qua nei particolari fu un tentativo dalle fortune alterne, ma che contribuì a porre le basi per gli ulteriori sviluppi del movimento anti-colonialista del futuro come venne rivendicato dai promotori della Conferenza di Bandung a metà anni cinquanta.
La sconfitta della “Comune di Shangai” e la tragica rottura delle relazioni tra comunisti e nazionalisti in Cina segnarono la fine temporanea della possibilità di una Rivoluzione anche “ad Oriente”, ma non i tentativi di destabilizzazione britannici del “ventre molle” sovietico nel Caucaso.
CREDITS
Immagine in evidenza: Delegati al II Congresso del Comintern
Autore sconosciuto, 19 July 1920
Licenza: Public domain
Immagine originale ridimensionata e ritagliata