Capitolo VII del quaderno “Il comunismo e il mondo arabo”
Quando, come detto sopra, il secondo congresso del Comintern (1920) adottò una risoluzione per la creazione di partiti comunisti nel mondo musulmano, nel giro di un anno vennero formate le prime cellule di partito. Il Partito Comunista Egiziano (PCE) fu fondato nel 1920, il gruppo Spartacus nacque a Beirut nel 1921, il Partito Comunista Palestinese (PKP) fu creato nel 1923 e ufficialmente riconosciuto dal Comintern nel 1924; nel Maghreb, nel 1919, nacquero partiti comunisti come prolungamento del Partito Comunista Francese; nel 1924 fu fondato il Partito Comunista Siriano e Libanese (PCLS), riconosciuto dal Comintern nel 1928 e nel 1934, per ultimo, si formò il Partito Comunista Iracheno (PCI).
Inevitabilmente la diffusione delle idee socialiste e comuniste – cominciata già agli inizi del XX secolo – era strettamente legata alla conoscenza delle lingue europee, come il francese, l’italiano, il russo e l’inglese. Per questo motivo, lo sviluppo dei primi nuclei socialisti e comunisti riguardò principalmente le comunità europee nei paesi arabi e le comunità non musulmane che, per ragioni storiche e religiose, parlavano queste lingue: i cristiani copti in Egitto, i maroniti in Libano, gli assiro-caldei in Mesopotamia, gli armeni in Anatolia e in tutta la regione, e infine gli ebrei, che avevano legami consolidati con le potenze occidentali.
Quando si pose il problema di tradurre questi concetti nelle lingue regionali e questa operazione prese due diverse direzioni. Nelle aree iraniane e turche si optò per una semplice traslitterazione dei termini: “socialismo” divenne susyalizm e “comunismo” kumunizm. Invece, nell’area arabofona, i militanti cercarono di rendere il significato di queste parole utilizzando concetti arabi simili: ishtirakiyyah, che originariamente significava “condividere” e “cooperare”, venne usato per indicare il “socialismo”, mentre il “comunismo” divenne shuyuᶜiyyah (“condividere”).
L’elemento “etnico” e linguistico fu dunque determinante per gli sviluppi delle prime cellule comuniste nel mondo arabo. L’Egitto, per esempio, prima della guerra, pullulava di dissidenti politici e ospitava sia attivisti ebrei che intellettuali arabi radicali provenienti dall’Impero Ottomano, divenendo di fatto la culla del movimento comunista nei paesi arabi. All’inizio del XX secolo, molti comunisti e socialisti stranieri erano già attivi nel paese: Shibli Shumayyil, un teorico arabo del socialismo e critico della religione, e due dei suoi seguaci, Niqula al-Haddad, emigrato dalla Siria e pioniere del pensiero socialista in Egitto, e Salamah Musa, che divenne un importante intellettuale egiziano. C’era anche un piccolo gruppo di ebrei bolscevichi (che formarono la Majmu’at al-Balshafik), fuggiti in Egitto dopo la sconfitta della Rivoluzione del 1905. Questa prima generazione del movimento radicale nel mondo arabo fu indebolita dal fatto che molti stranieri lasciarono il paese con lo scoppio della guerra. Tuttavia, ciò permise anche l’emergere di un nuovo movimento, caratterizzato da nuove figure chiave. Una di queste fu Joseph Rosenthal, che organizzò la prima celebrazione del Primo Maggio nella storia egiziana e identificò nei fellahin (la classe dei contadini poveri) la classe rivoluzionaria, in maniera non dissimile da quanto fece poi Mao per ciò che concerne la Cina. Ebbe un ruolo cruciale nella fondazione di un nuovo movimento operaio, anche se, quando nel 1920 fu fondato un Partito Comunista Egiziano (PCE), decise di non coinvolgersi direttamente, probabilmente a causa del carattere “forestiero” del PCE. A contribuire alla formazione del PCE furono invece per lo più personaggi che avevano avuto contatti diretti con l’Unione Sovietica, come Mahmud Husni al-’Urabi, intellettuale egiziano formatosi a Mosca e rientrato stabilmente in Egitto nel 1923.
In Palestina, invece, il nucleo che formò il primo partito comunista proveniva dal Partito dei Lavoratori Socialisti (PLS), di ispirazione sionista. Il PLS chiese di aderire al Comintern, ma fu respinto a causa della natura sionista del gruppo. Dopo diverse scissioni, nel 1924 fu fondato il Partito Comunista Palestinese (PKP), che rifiutò il sionismo e divenne la sezione ufficiale del Comintern. Tuttavia, il PKP continuò a essere dominato da una maggioranza ebraica, il che ne limitò l’influenza comunista in un paese a maggioranza araba.
Il VI Congresso del Comintern del 1928 fu la sede per affrontare – a fianco della questione dei fronti comuni con la borghesia nazionale – la contraddizione relativa alla composizione etnica dei partiti comunisti nei paesi arabi, che non permetteva un radicamento di massa nel tessuto sociale locale. Nell’ottobre 1930, il comitato esecutivo del Comintern impose l’ “’arabizzazione” del partito comunista in Palestina, nominando un nuovo comitato centrale composto da tre palestinesi. La stessa cosa avvenne in Siria e Libano, dove il Partito Comunista Siriano-Libanese (SLCP), nato dall’unione tra il Partito Popolare Libanese e la Lega Spartaco nel 1925, fu sollecitato ad “arabizzarsi” per allontanarsi dalla dipendenza dalle minoranze, principalmente armene, cioè gli elementi della diaspora che erano sfuggite al genocidio perpetrato dal nascente Stato Turco in Anatolia.
CREDITS
Immagine in evidenza: Rivoluzione egiziana del 1919: le donne conquistano il diritto di parlare in pubblico
Autore: The Madison journal, 28 June 1919
Licenza: public domain
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