Capitolo XI del quaderno “Il comunismo e il mondo arabo”
Se gli anni ‘20 rappresentarono il periodo di formazione dei primi partiti comunisti arabi (con l’eccezione di quello iracheno, fondato solo nel 1936), gli anni ‘30 segnarono una fase di crescita, gli anni ‘40 furono, in alcuni paesi, l’unico periodo di libertà che consentì ad alcuni partiti di espandere le loro operazioni, mentre gli anni ‘50 segnarono una nuova fase di acuta repressione. Questo cambiamento si deve al quadro internazionale e al mutare delle relazioni tra l’URSS e le potenze occidentali durante la Guerra Fredda.
Nel 1935 il VII congresso del Comintern aveva adottato la politica dei “fronti popolari” antifascisti, contro l’ascesa del nazismo tedesco e del fascismo italiano. In Francia nel 1936, il Fronte Popolare (coalizione tra comunisti, socialisti e radicali) vinse le elezioni e formò un governo guidato dal socialista Léon Blum, mentre in Spagna nello stesso anno la coalizione del Fronte Popolare vinse le elezioni e formò un governo repubblicano (uno degli elementi scatenanti della Guerra Civile Spagnola). In questa fase, la repressione contro i comunisti si allentò considerevolmente, principalmente in conseguenza della distensione dei rapporti tra URSS e potenze social-democratiche e dell’ascesa del Fronte Popolare in Francia, che con le sue politiche riformiste legalizzò, ad esempio, il partito siro-libanese. In questi anni l’attività sovversiva, fino allora molto sporadica e disarticolata, poteva assumere aspetti più arditi ed organici, che permisero la crescita dei nuclei comunisti locali.
Questa tendenza si riconfermò in occasione del secondo conflitto mondiale, durante il quale l’alleanza tra Unione sovietica, Gran Bretagna, Stati Uniti, Belgio e Francia, aveva notevolmente facilitato il compito del comunismo anche in Medio Oriente e Africa, dove esso si presentava associato alle principali nazioni coloniali, a difesa della libertà e della democrazia. Ciò gli consentiva di operare con una certa libertà in alcuni territori e di conseguire dei rapidi successi, come dimostrano il numero degli iscritti alle locali filiazioni comuniste e i risultati di alcune consultazioni elettorali negli anni tra il 1941 e il 1946. Così, ad esempio, nelle elezioni per l’Assemblea nazionale francese svoltesi in quel periodo i comunisti ottennero in Algeria il 20 per cento dei suffragi pur avendo degli effettivi valutati a non più di 15 mila iscritti.
Successivamente, con la firma nel 1949 del Patto Atlantico si sanciva l’aperto contrasto tra mondo occidentale e blocco sovietico. La cortina di ferro tra URSS e occidente ebbe come conseguenza la messa al bando dei partiti comunisti in vari paesi: nel 1950 nel Sud Africa, nel 1952 nel Marocco e nella Tunisia, nel 1955 in Algeria, successivamente in Egitto e nel Sudan. Allo stesso tempo il rapido processo di decolonizzazione che si avviò a partire dagli anni ’50 consentiva al comunismo di ripresentarsi sotto nuove spoglie, come mostrano gli esempi di panarabismo “socialisteggiante” egiziano di Nasser, del partito Baath in Siria, Iraq e Libia, ma soprattutto l’esperienza dello Yemen del Sud, che tra 1967 e 1990 vide la formazione dell’unico governo arabo esplicitamente marxista-leninista, che collettivizzò terre e industrie, mantenendo un forte legame con l’Unione Sovietica e la Cina Popolare, unica esperienza di transizione al socialismo nel mondo arabo.
In generale, le condizioni in cui operarono i comunisti tendevano a essere sfavorevoli: la grande repressione da parte dei governi, la marginalizzazione da parte dei movimenti nazionalisti, la lotta nei paesi coloniali non industrializzati dove il proletariato rappresentava solo una piccola frazione della popolazione, un contesto fortemente segnato da elementi religiosi e tribali. Gli stessi esperimenti di “socialismo arabo” sopracitati, che univano elementi di socialismo, nazionalismo e Islam, furono laboratori di repressione per i comunisti, primo tra tutti l’Egitto di Nasser che, dopo i primi due anni di alleanza con i comunisti all’inizio del governo degli Ufficiali Liberi, inaugurò una fase di dura repressione a partire dal 1954: i partiti comunisti furono sciolti, e molti membri furono arrestati o costretti alla clandestinità. Successivamente, durante l’unione tra Egitto e Siria nella Repubblica Araba Unita (RAU) tra 1958 e 1961, Nasser adottò una linea ancora più dura contro i comunisti, temendo che potessero destabilizzare l’unità del nuovo Stato. Nel 1959, centinaia di comunisti furono incarcerati in campi di lavoro e carceri politiche, come la famigerata prigione di Tora. Tra i prigionieri c’erano intellettuali e dirigenti di spicco, accusati di collaborare con l’Unione Sovietica o di minacciare il regime nasseriano. Solo a partire dal 1964 la politica di Nasser verso i comunisti si ammorbidì. Questo cambiamento fu in parte dovuto al miglioramento delle relazioni con l’Unione Sovietica, principale sostenitrice dell’Egitto durante il conflitto con Israele e nella costruzione della diga di Assuan. Molti comunisti furono rilasciati e alcuni furono integrati in ruoli tecnici e culturali nel governo.
Nonostante gli ostacoli rappresentati da tutti questi fattori, i partiti comunisti arabi dimostrarono lungo tutto il corso del XX secolo una forte resilienza, e anche nei momenti di più acuta repressione non furono mai definitivamente sconfitti. Al di là della forza ideologica che motivava i militanti rivoluzionari, la struttura organizzativa ereditata spesso e volentieri dai bolscevichi contribuì alla tenuta dei partiti. Come scrive Tareq Y. Ismael:
“La seconda caratteristica dell’esistenza dei partiti comunisti è stata la loro superiore organizzazione rispetto ad altri partiti politici indigeni arabi. I comunisti, in particolare durante gli anni ‘30 e ‘40, furono in grado di produrre pubblicazioni clandestine migliori e più regolari, avevano migliori contatti rispetto agli altri partiti nel nascente movimento operaio (soprattutto in Egitto), spesso godevano di simpatizzanti tra insegnanti, funzionari pubblici, studenti universitari e persino all’interno dell’esercito e della polizia, ed erano generalmente più resilienti di fronte alla repressione concertata del governo rispetto agli altri partiti. Tutto ciò costituiva un notevole vantaggio politico a lungo termine.” (Ismael, 2005, p. 1)
CREDITS
Immagine in evidenza: Aden 1967. Manifestazione di simpatizzanti del Fronte di Liberazione Nazionale
Autore: alamree
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