Per la liberazione delle donne, contro riarmo e sfruttamento!
Rete dei Comunisti
“Pane e Pace” fu il grido di lotta delle operaie russe in sciopero nel 1917, durante la prima guerra mondiale, da cui nacque l’8 marzo e che segnò l’inizio di una serie di proteste che portarono alla Rivoluzione di febbraio. E mai come quest’anno questo pezzo di storia e questo grido sembrano risuonare così attuali, a pochi giorni dall’8 marzo, la giornata internazionale della donna.
Infatti quest’anno l’8 marzo arriva a pochi giorni dal vertice di Londra, dove la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha lanciato invece un altro grido: una corsa al riarmo. L’Unione Europea, descritta fin dalla sua nascita come la culla del progresso, dei diritti delle donne e delle libere soggettività, della libertà e della pace, mostra ancora una volta il suo vero volto guerrafondaio, con la volontà di rafforzare militarmente, economicamente e politicamente l’Ucraina e di “potenziare le difese dell’UE”. Contemporaneamente, le grandi potenze euro-atlantiche continuano a dimostrarsi complici e mandanti dell’escalation di Israele in Medio Oriente e del progetto sionista, causa del genocidio del popolo palestinese, realizzato spesso strumentalizzando proprio la presunta superiorità dell’Occidente e di Israele nei diritti civili e delle donne. Ma la realtà che vivono ogni giorno la maggior parte delle donne, oppresse e sfruttate nelle case, nel lavoro e dalle dinamiche razziste e coloniali, dentro e fuori il nostro Paese, smentisce questa retorica.
Stiamo assistendo, infatti, a politiche e cambiamenti internazionali guidati anche da quelle che gli stessi media occidentali hanno soprannominato le “Signore della guerra”: Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Alice Weidel. Donne al potere, spacciate per esempi di empowerment femminile, ma ugualmente responsabili di provvedimenti e proposte belliche, di austerità e di attacchi ai diritti, esattamente come i loro complici (e predecessori) uomini. Ne è un esempio la corsa al riarmo che lascia prevedere l’istaurazione di un’economia di guerra che graverà in primis sulle tasche della popolazione e anche delle stesse donne che (in teoria) dovrebbero meglio rappresentare ma che, in realtà, verranno ancora più sfruttate, precarizzate, licenziate e private dei servizi pubblici e sociali in nome delle spese militari.

Nel nostro Paese, mentre si inneggia all’empowerment femminile come prodotto della superiorità occidentale, le condizioni materiali delle donne peggiorano di giorno in giorno. L’accesso alla salute riproduttiva, e non solo, è compromesso dalla chiusura dei consultori, dalla privatizzazione della sanità, dall’obiezione di coscienza dilagante tra i medici e dalle pressioni dei gruppi “Pro vita”, che mirano a limitare ulteriormente il diritto all’aborto. I centri antiviolenza (CAV) e le case rifugio, fondamentali per chi fugge da situazioni di violenza domestica, sono sottofinanziati e spesso costretti a chiudere. Il divario salariale di genere resta una piaga, mentre la precarietà lavorativa, la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia e la mancanza di tutele e di autonomia economica spingono molte donne a rinunciare a una vita indipendente e di riscatto sociale. Nel mentre, l’emergenza abitativa e gli sfratti colpiscono soprattutto le madri single o che hanno subito situazioni di violenza, e le famiglie monoreddito, rendendo ancora più drammatica la situazione di chi si trova in contesti marginalizzati.
In questo quadro, non possiamo quindi che fare nostro il grido di “pace e pane”, che per le comuniste e i comunisti ha sempre rappresentato il fondamento della costruzione di un’alternativa politica, sociale, economica e culturale a questo sistema. Ed è in questo senso che, a partire dalle operaie russe del 1917, dobbiamo raccogliere l’eredità delle partigiane che hanno lottato per una liberazione collettiva dalle barbarie del nazifascismo, delle donne palestinesi e arabe che resistono al colonialismo e di tutte le donne che nella storia sono state protagoniste dei movimenti politici e di liberazione e contro la guerra. Ma così come facciamo nostri gli esempi di ieri, sosteniamo anche quelli di oggi, dal Venezuela a Cuba socialista, che ha prodotto il Código de las Familias, il codice più avanzato e progressista al mondo per quanto riguarda i diritti familiari, l’uguaglianza di genere e il contrasto alla violenza e alle discriminazioni.
È su questi esempi che proseguiamo nel nostro impegno verso la liberazione delle donne e di tutte e tutti gli sfruttati e le sfruttate, sapendo che non si esaurisce in un solo giorno di lotta, ma deve essere una pratica quotidiana, una battaglia continua contro ogni forma di oppressione, sfruttamento e guerra. La storia dell’8 marzo non è una celebrazione vuota, ma un monito a non abbassare mai la testa, a organizzarsi, a costruire un una nuova società basata sulla giustizia sociale, sulla libertà e sull’uguaglianza reale, lontana dalle ipocrisie delle istituzioni di oggi che si tingono di rosa solo per convenienza.
Continuiamo a lottare, a resistere e a costruire il nostro “mondo nuovo”. Il grido di “Pane e Pace” delle operaie russe deve risuonare ancora oggi nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle strade e nelle scuole. Per un 8 marzo di lotta, per una società senza sfruttamento, per la liberazione delle donne e di tutti.
