25 Marzo h20.30 via Pietracqua 9, Torino.
Ne parliamo con:
- Simone Zito – Collettivo Rotte Balcaniche
- Patrick Konde – USB migranti
- Francesca Bertini – Potere al popolo Torino
- Emilio Scalzo – Movimento NoTav
Introduce e coordina Chiara Donati – Rete dei Comunisti Torino
Rete dei Comunisti Torino
È di questi giorni l’iniziativa lanciata dalla presidente della commissione europea Ursula von der Leyen di riarmare l’Unione, è da alcuni anni però che si fanno i preparativi per un esercito europeo indipendente, oggi le contraddizioni che ne hanno frenato la formazione sembrano essere arrivate ad una sintesi. Il covid, la guerra in Ucraina, il genocidio in Palestina e l’indebolimento degli imperialismi storici nel Sahel ci restituiscono un mondo nuovo nel quale l’Unione Europea intende concorrere rafforzando prima di tutto il proprio apparato militare. Su questo fronte i governi e le élite europee sembrano essere ancora più guerrafondaie degli Stati Uniti di Trump – e ce ne vuole dal momento che il neoeletto presidente dichiara di voler annettere agli USA stati e territori storicamente indipendenti – sia quando si richiamano ai valori della destra che della sinistra. Siamo di fronte alla chiara costruzione di una fortezza, armata fino al collo, e pronta a difendere i propri interessi ad ogni costo, anche ricorrendo alla guerra nucleare se necessario.
Sappiamo bene che i finanziamenti per il riarmo non potranno che passare da ulteriori restringimenti delle condizioni di vita delle fasce di popolazione più deboli; tuttavia, in questo panorama anche la classe media sarà costretta a pagarne il prezzo. A Torino questo è ancora più chiaro che altrove, la tendenza alla conversione della storica industria dell’auto in quella militare è ormai una realtà e le grandi opere inutili e dannose come il TAV trovano oggi uno sbocco proprio sul piano militare. A ciò si accompagna una disoccupazione allarmante dei giovani torinesi, una crisi demografica senza precedenti e l’emigrazione sempre più cospicua all’estero o nella vicina Milano.
L’Unione Europea ci sta conducendo verso una guerra tanto esterna quanto interna. È chiaro che al riarmo si accompagneranno ulteriori politiche lacrime e sangue, restringimento degli spazi democratici – si veda il ddl 1660 – e una martellante propaganda volta a creare artificiosamente un nemico da combattere: la Russia, i migranti o i terroristi a seconda del momento e della convenienza.
In questo contesto si pone il problema per la Fortezza Europa di gestire i propri confini, da anni ormai la polizia di Frontex conduce un’attività militare di frontiera vera e propria, a dimostrazione che la gestione dei flussi migratori è altrettanto cruciale per il rafforzamento del polo imperialista europeo.
Nelle ultime settimane è venuta a galla la scandalosa gestione da parte delle Questure delle richieste dei permessi di soggiorno dei cittadini stranieri. Decine di persone, ad esempio a Torino, sono lasciate in coda per notti intere, per diversi giorni, per sperare di accedere alle faticosissime procedure per il rilascio dei documenti. A Roma addirittura una persona è morta nella notte del 28 gennaio.
Non si tratta però di un problema amministrativo, di cattiva gestione, risolvibile con una semplice razionalizzazione. Questa vicenda è solo l’ennesima riprova della stretta che il nostro Paese, e più in generale l’Unione Europea, ha apportato alle classi popolari.
I migranti, o forse faremmo meglio a parlare di persone migrate, vanno bene nella misura in cui sono lavoratori qualificati, oppure manodopera a bassissimo costo, ma solo in quantità strettamente misurate per rispondere a un preciso tipo di mercato del (non)lavoro. Agli altri resta lo stato di migrante, senza documenti – cioè non riconosciuti come persone/cittadini – e pronti per essere deportati come sta avvenendo nel faro della “civiltà” occidentale: gli Stati Uniti. In Italia, del resto, il tentativo della Meloni di esternalizzare all’Albania la detenzione dei migranti irregolari (ovvero non-persone pronte per essere espulse o marcire nei CPR) ha grottescamente anticipato i tempi.
Sui migranti si gioca una partita politica di un sistema in crisi con il risvolto pratico di operare una scientifica divisione della classe lavoratrice su basi razziali. Una operazione che gli imperialismi hanno sempre condotto mascherandola di volta in volta con diverse ideologie, ma che dopo la sconfitta del nazifascismo non poteva più assumere connotati razziali. Nel momento in cui questa discriminante cade persino in Germania, dov’era impensabile fino solo a qualche mese fa’ che una forza politica “democratica” come la CDU potesse scendere a patti con i neo-nazisti di Afd, la questione razziale si presenta come un’ideologia ancora spendibile anche nel vecchio continente. D’altra parte per prepararsi alla guerra è da un qualche anno che è stata messa in campo la narrazione del Giardino – europeo, s’intende – contro la giungla dei popoli non civilizzati.
In fin dei conti la gestione dei flussi migratori è un costo sul piano materiale che le aziende devono appaltare allo Stato, e un pericolo da gestire sul piano politico-propagandistico. Non esitando ad delegare tale gestione a forze politiche o soggetti chiamati appunto a non far passare i migranti, a qualunque costo.
Questo è ciò che accomuna gli accordi con i torturatori libici, avviati da Minniti ministro del governo (di centro-sinistra) Gentiloni – questione ora tornata al centro delle cronache per lo scandaloso rilascio del torturatore Almasri da parte dell’Italia – ma anche con Erdogan; per non parlare della stretta operata direttamente da Stati membri e associati della Fortezza Europa, come la Polonia e la Bulgaria.
Proprio la Bulgaria è stata teatro di un’altra vicenda recente riguardante le disumane condizioni inflitte ai migranti che provano ad arrivare in Europa. Ci riferiamo alla vicenda di Simone Zito, Virginia Speranza e Lucia Randone, attivisti del Collettivo Rotte Balcaniche, che nelle ultime vacanze di Natale si sono recati in Bulgaria per prestare soccorso ai migranti che tentano di varcare il confine con la Turchia.
Qui, hanno dovuto toccare con mano la disumanità della polizia di frontiera bulgara, che ha volutamente abbandonato nei boschi minori egiziani, poi deceduti, e ha intimidito e minacciato in vari modi gli stessi attivisti.
Intendiamo quindi promuovere un momento di confronto per ragionare da un lato su come portare solidarietà per rispondere alle necessità più impellenti che troppe persone si trovano ad affrontare, e più in generale su come costruire una prospettiva di lotta contro il razzismo di Stato, contro le criminali politiche italiane ed europee sulla gestione delle migrazioni e contro la guerra interna ed esterna.
