Nuovo Cinema Aquila, via L’Aquila 66 Roma
Sabato 29 marzo 2025 ore 10
Interventi di
- Mauro Casadio – Rete dei Comunisti
- Franco Russo – Oservatorio UE
- Roberto Pardini – Genova City Strike
- Luciano Vasapollo – Docente Univ. La Sapienza Roma
- Salvatore Catello – Prospettiva Unitaria
- Marco Passarella – Economista
- Giampiero Laurenzano – Ex OPG Je So’ Pazzo
- Giorgio Cremaschi – Sindacalista
- Coniare Rivolta – Collettivo di economisti
Mauro Casadio – Rete dei Comunisti
Lo scontro tra Trump e Zelensky, e per interposta persona con l’Unione Europea, ha assunto forme inaspettatamente virulente per tutti ed ha fatto emergere la vera questione che nel tempo è stata rimossa nella discussione a sinistra. Ma alla fine ha anche mostrato la natura profonda della contraddizione: quella tra interessi imperialistici divaricanti in Occidente.
Dunque grande è la confusione sotto il cielo e la situazione è eccellente! Ma come interpretare questa improvvisa precipitazione nelle relazioni transatlantiche? Come collocare questa netta discontinuità dentro l’apparente egemonia e dominio mondiale euroatlantico a trazione statunitense, apparentemente irreversibile fino al Novembre scorso?
Le interpretazioni che stanno fiorendo sono molteplici: dalla follia mercantilista di Trump alla influenza della “tech oligarchy” composta dagli uomini più ricchi della terra, dalla subordinazione dei gruppi dominanti dell’UE agli USA al “riscatto militare” che deve sancire l’emancipazione europea da uno Stato non più amico, ma divenuto repentinamente antidemocratico nell’arco di una campagna elettorale.
Insomma la “Fine della Storia” sta ottenebrando le migliori menti occidentali, le quali non riescono e non vogliono risalire alle cause strutturali di questa contraddizione, pure manifestatasi già da molto tempo. Anzi rifiutano proprio di affrontarle, limitandosi a “sezionare” in infiniti e noiosissimi dibattiti televisivi o interviste giornalistiche gli aspetti formali, reversibili spesso nell’arco di 24 ore, di carattere politico-etico, di minaccia da parte delle “pericolosissime autocrazie”, oppure di carattere economico contingente.
Anche “a sinistra” non emergono analisi particolarmente brillanti, ondeggiando tra un pacifismo militarista-europeista, alla PD, ed un pacifismo ipocrita come quello dei 5Stelle che al governo avevano votato il finanziamento per le armi all’Ucraina e l’acquisto degli F35, ed oggi lucrano elettoralmente sulle contraddizioni del campo largo. Come diceva Totò, adesso si “buttano a sinistra”.
Va detto inoltre che scarseggiano le analisi prodotte dall’uso delle categorie marxiste, oppure si limitano a espressioni di singoli intellettuali e militanti, mentre le organizzazioni politiche si contorcono in elaborazioni sovrastrutturali, non andando mai a fondo della natura della contraddizione in atto.
Nella realtà siamo dentro ad un nuovo salto di qualità dell’assetto mondiale instauratosi dagli anni ’90, e la frammentazione del mercato globale fa riemergere i caratteri regressivi di un modo di produzione che ci sta trascinando di nuovo nella guerra.
Le forme sono quelle demenziali consegnate tutti i giorni dalla cronaca politica, economica e militare, ma il processo che le ha generate era interpretabile già dagli anni ’90 per come si andava caratterizzando, e ben visibile dopo la crisi finanziaria del 2008.
Bastava utilizzare le giuste categorie ed in questo caso rimane fondamentale la chiave di lettura che ci fornisce il saggio popolare su “l’imperialismo” scritto da Lenin agli inizi del secolo scorso.
L’apertura di spazi sconfinati di crescita con la fine del campo socialista in Europa, e con l’apertura della Cina all’economia occidentale, ha dato ossigeno ad una dimensione mondiale del capitalismo che era già in crisi finanziaria dagli anni ’80, basta ricordare il crollo della borsa di Tokio nell’87, ma ha ricevuto una spinta eccezionale ed inaspettata dalla rottura dell’equilibrio internazionale creatosi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Di quel processo oggi è possibile farne la storia.
Ma quella crescita nata sotto le leggi del capitale non poteva far altro che riprodurre ed amplificare le contraddizioni di un Modo di Produzione spinto da una necessità di crescita infinita e che alla fine ha dovuto sempre fare i conti, nella sua storia, con i limiti di volta in volta incontrati e riprodotti.
Nel “Big Bang” liberista degli anni ’90 c’è stato spazio per tutti ed ognuno poteva aspirare a prendersi una fetta della torta, ma quella stessa possibilità accelerava tutte le contraddizioni dell’assetto capitalista: dalla finanziarizzazione alla centralizzazione e concentrazione dei capitali, dalla competizione prodotta dall’aumentata composizione organica del capitale mondiale al ritrovato ruolo degli Stati come comitati di affari della borghesia.
Un ruolo questo manifestatosi con gli interventi militari, da quello nella Jugoslavia ai molteplici interventi in Africa e Medio Oriente fino all’Afghanistan, con relativa spartizione dei bottini tra i briganti euroatlantici. Un ruolo inoltre riconfermato dal consistente aiuto finanziario pubblico dato alle banche nella crisi del 2008.
Sempre a partire da quel periodo si sono andati a costituire diversi poli economico-finanziari. Oltre agli USA è emersa la nascente Unione Europea. Anche in Asia s’è manifestata la tendenza a costruire un’area regionale, prima con il Giappone, poi definitivamente messo in ginocchio con la crisi finanziaria della fine degli anni ’90, causata dagli USA, e poi la Cina che ha saputo crescere economicamente ed ora si è consolidata politicamente avendo al governo il Partito Comunista.
La nascita dei diversi centri di gravità geopolitici non significava necessariamente solo competizione ma anche collaborazione, almeno fin quando i margini di crescita c’erano per tutti, in una contrattazione politica durata di fatto fino alla crisi del 2008.
Sotto la coperta dell’Euroatlantismo i gruppi dominanti USA e UE hanno cercato di mantenere una facciata unitaria politico-militare, hanno scatenato le guerre di civiltà, fino ad arrivare alla definizione di Borrell del mondo come “il giardino e la giungla”. Questo assetto ha tenuto politicamente nei diversi passaggi di fase ma è stato incapace di invertire la marcia delle contraddizioni emerse con il crollo dell’URSS e l’affermazione “globale” del Modo di Produzione Capitalista.
Mentre si celebrava la “fine della storia” in nome dell’egemonia del capitale, gli “spiriti animali” procedevano speditamente ridisegnando i blocchi geo-economici mondiali, con processi che hanno marciato insistentemente dagli anni ’90 in poi, fino a quando il giocattolo non si è rotto e la frammentazione dei mercati ha bloccato la crescita economica, incrementando fortemente la competizione tra i soggetti operanti all’interno del capitalismo mondializzato.
La mistificazione dell’Euroatlantismo, versione moderna dell’Eurocentrismo coloniale, non ha tenuto alla contraddizione fondamentale che andava maturando: quella tra gli USA e la costituenda Unione Europea. Partendo dagli accordi di Maastricht, passando per la nascita dell’Euro e tentando di allargare al massimo la dimensione della UE e la sua capacità competitiva, era inevitabile l’emergere della divaricazione di interessi dei due soggetti principali del capitalismo occidentale.
Per paradosso, questa contraddizione si è resa manifesta non per la capacità dei gruppi dominanti nella UE di ricercare una propria autonomia strategica, ma per una difficoltà strutturale degli USA. Questi, infatti, avendo lucrato sulla propria rendita di posizione mondiale, hanno sviluppato al massimo il debito pubblico e privato ed ora il livello raggiunto è divenuto insostenibile spingendo quel paese a forzare economicamente e finanziariamente anche all’interno dell’imperialismo occidentale per sostenere la propria situazione.
Questo non è certamente il prodotto della presidenza Trump ma del ruolo avuto dagli USA dagli anni ’90, il quale ha portato alla crisi finanziaria del primo decennio del secolo, alla fuga dall’Afghanistan per insostenibilità economica della guerra, ed infine all’emergere del “fenomeno Trump” a causa della crisi sociale interna, che ha prodotto miseria e instabilità anche nel cosiddetto ceto medio, ovvero quella che storicamente era la base politica ed elettorale delle classi dirigenti USA.
Per quanto riguarda la UE, collaborativa e competitiva allo stesso tempo con gli altri imperialismi, oggi si trova di fronte ad una reazione simile a quella del 1971, quando gli USA abolirono il cambio del dollaro con l’oro a Bretton Woods senza nemmeno informarne gli alleati.
All’epoca la guerra del Vietnam aveva convertito gran parte dell’economia nazionale alla produzione militare e la produzione civile veniva svolta dall’Europa, che ebbe un aumento fortissimo delle esportazioni ed in particolare della Germania, e dal Giappone ridando fiato e competitività ai paesi sconfitti nella seconda guerra mondiale.
Di fronte a questo esito inatteso gli USA decisero di abolire la convertibilità del dollaro con l’oro e diedero il via ai processi di finanziarizzazione recuperando egemonia a occidente, questi oggi però sono arrivati ai limiti delle loro possibilità di sviluppo.
Le classi dominanti europee ora si trovano a fare i conti, loro malgrado, con una difficile scelta. Lo scontro tra USA e UE non nasce da scelte politiche erronee, ma dal PROCESSO generato dal capitalismo. Questo prescinde dalle specifiche volontà dei soggetti in campo e li costringe a fare i conti con la variabile indipendente della dinamica del Modo di Produzione Capitalista.
Insomma non possono fare ciò che “vogliono” fare, ma quello a cui sono costretti. Questo è il metro di misura da utilizzare se vogliamo interpretare le possibilità per l’organizzazione di classe che si aprono in questo nuovo scenario storico.
Dunque la favoletta che i russi vogliono invadere l’Europa è la copertura politica ed ideologica per preparare una svolta reazionaria, non certo gestita dalle temutissime forze populiste/fasciste, ma direttamente dalla maggioranza “Ursula”; e dunque forzare sul processo di unificazione europeo, obiettivamente oggi in stallo, a causa del cambiamento delle condizioni generali ma anche per incapacità strategica, politica ed intellettuale dei ceti economici e politici dominanti.
D’altra parte quello che si sta verificando è la ripetizione del processo di unificazione della Germania del XIX secolo, guarda caso, che si è data uno Stato federale unificato promuovendo due guerre e usando i nemici esterni, l’Austria nel 1866 e la Francia nel 1870, ai fini del nascente nazionalismo tedesco.
Infine un contributo notevole alla precipitazione della situazione lo ha dato la nascita dei BRICS+, i quali stanno dimostrando come la potenziale crescita economica e sociale è ormai emigrata dai vecchi centri imperialisti verso il sud del mondo, dove gli stessi rapporti di forza militari si vanno equilibrando tatticamente e strategicamente con l’esistenza delle armi nucleari, come ci ha dimostrato la vicenda Ucraina.
Come comunisti siamo perciò obbligati a rifare i conti con la cassetta degli attrezzi del marxismo e del leninismo, i quali dimostrano ancora oggi una vitalità incredibile, ma soprattutto con la condizione di classe che si verrà a determinare nei prossimi anni nella UE.
Già oggi appare evidente chi pagherà questo conto salato, saranno i lavoratori e le classi subalterne in Italia ed in Europa con l’incremento della spesa militare, proposta di 800 miliardi di euro di debito pubblico dalla Von der Leyen, a detrimento di quella sociale.
Un cambiamento di questa dimensione non si limiterà solamente al “taglio” sulla spesa sociale ma avrà effetti strutturali nelle società europee, dalla ristrutturazione industriale con centinaia di migliaia di licenziamenti nel continente fino ad una restrizione delle agibilità democratiche, tendenza che si sta vedendo per ora nella periferia europea, vedi Moldavia e Romania, ma, con l’incremento delle difficoltà, convergeranno al centro politico della Ue, come dimostra in Francia Macron che tiene in piedi un governo senza maggioranza ed avendo perso le elezioni.
Come comunisti non abbiamo solo il dovere della lotta politica, ma anche quello di operare e produrre organizzazione in tutti gli ambiti sociali dove questa crisi si manifesterà in futuro, sedimentando una vera opposizione fuori e contro le mistificazioni di una sinistra contraddittoria ed impotente.
