Mauro Casadio (in Contropiano anno 29 n° 1 – gennaio 2020 Lo stallo degli Imperialismi)
Il dato di partenza nel dibattito che oggi stiamo proponendo è che questo appuntamento fa parte di una ripresa della nostra riflessione strategica che concepiamo come una nuova “offensiva” teorica che è iniziata a fine 2016 con il forum sul “Vecchio che muore ma il Nuovo non può nascere”, continuata con “La Ragione e la Forza” nel 2018 e che ha visto quest’anno, come ultimo passaggio, il testo sul metodo con il titolo “Lo Stile di Lavoro”.
La necessità di riprendere con determinazione il lavoro di elaborazione generale non è una scelta soggettiva e volontaristica ma nasce dalla convinzione che siamo in una nuova fase che modificherà radicalmente e complessivamente le condizioni e l’operare delle forze di classe e di una forza comunista che richiede un adeguamento del suo pensiero.
In termini concreti pensiamo che si è chiuso definitivamente il periodo aperto con il crollo del muro di Berlino di trent’anni fa ed ora, avendo lasciato in solitudine e libero di operare il Modo di Produzione Capitalistico senza lacci e laccioli, riemergono tutti i suoi caratteri negativi, i limiti storici e le pulsioni regressive e reazionarie.
Questo ripiegamento si manifesta a vari livelli ed in vario modo, riapre obiettivamente la questione della trasformazione sociale rivoluzionaria a livello mondiale e pone condizioni materiali, politiche e culturali del tutto nuove che impongono una discontinuità netta con l’agire che tuttora viene praticato dalla sinistra e dalla maggior parte delle forze comuniste che procedono, a nostro parere, con la testa rivolta all’indietro.
E’ perciò necessario reindividuare i parametri su cui valutare sia le condizioni complessive del MPC sia i caratteri costituenti di una moderna forza comunista.
Dentro la dinamica storica del Capitale
Il livello delle presenti contraddizioni è determinato dal processo storico che porta queste ad intensità ed estensione maggiori. Il dato strutturale è quello che sta divenendo una gabbia sempre più stretta per i processi capitalistici; appunto questi limiti sono il prodotto della maturazione delle contraddizioni di fondo che hanno portato a quella mondializzazione del MPC prevista da Marx ma anche alla crisi dei processi di valorizzazione del capitale mondiale complessivo. Oggi tali limiti si manifestano per quelli che sono ed anche le mistificazioni ideologiche fatte dalle forze borghesi e, pure, dalle cosiddette “sinistre” a copertura della natura di tali contraddizioni vengono meno. Cerchiamo di definire i caratteri di tali limiti che allo stato sembrano difficilmente superabili.
- Limite dato dalla tendenza storica della caduta tendenziale del saggio di profitto prodotta dall’aumentato peso della tecnologia e della scienza nella produzione e la drastica riduzione del lavoro vivo cioè di quella parte che produce valore. Questa è la chiave di lettura complessiva della crisi attuali e di quelle precedenti. L’accumulazione di capitale fisso (macchinari, tecnologia, reti telematiche, etc.) è arrivata nell’epoca attuale ad un livello mai visto in precedenza limitando sempre più l’apporto del capitale variabile alla produzione, cioè dei lavoratori. Questa divaricazione mette in crisi i processi di valorizzazione in quanto la parte di capitale che produce valore è quella investita nella forza lavoro che nella tendenza storica viene sempre più ridotta. Questo effetto è il prodotto della legge del valore di Marx ripudiata da tanti marxisti ma che oggi si “vendica” mostrando oggettivamente la propria vigenza.
- Limite dei mercati mondiali che non possono ulteriormente svilupparsi se non per porzioni inadeguate. La Cina è stata l’ultima frontiera che si è aperta al capitale seguita dall’India e da altri paesi della ex periferia produttiva, ed ulteriori allargamenti significativi all’oggi non sono materialmente dati. Il superamento degli effetti della contraddizione strutturale sopra descritta è stato prodotto nel tempo con l’allargamento dei mercati mondiali e dell’affermazione dell’imperialismo nelle sue variegate forme con l’accentramento e la fusione di capitali ed imprese. L’ultima evoluzione si è avuta con l’assorbimento dei mercati dei paesi ex socialisti e della Cina ma che oggi loro stessi sono divenuti insufficienti per ulteriori crescite significative.
- Limite all’uso della leva finanziaria che manifesta sempre più un carattere di sovrapproduzione di capitale con rischi di crisi ed esplosione di bolle speculative. I “quantitative easing”, i tassi a zero o addirittura negativi, le banche sovraesposte nei prestiti non garantiti, le bolle speculative di vario tipo, le criptomonete sono tutti i sintomi di una sovrapproduzione di capitale che, nel momento in cui diverrà palese, produrrà effetti disastrosi, più della bolla dei Subprime del 2007, e sancirà l’impotenza anche di questo strumento usato a piene mani fin dagli anni ’80.
- Limite dato alla compressione ormai quarantennale dei salari diretti, indiretti e differiti che stanno producendo a livello mondiale diseguaglianze sociali profonde e crisi delle istituzioni e della politica in generale come strumenti dell’egemonia della classi dominanti. Dalla riduzione proporzionale tra capitale fisso e forza lavoro emerge un ulteriore limite interno alla crescita del mercato infatti la riduzione del salario sociale complessivo deprime il mercato ed accelera i processi di ristrutturazione che chiedono sempre meno forza lavoro ed occupata in modo sempre più flessibile. I conseguenti fenomeni politici ed istituzionali che possiamo vedere nel nostro paese con l’affermazione prima del Movimento 5 Stelle ed ora con quella della Lega mostrano che il peggioramento complessivo produce effetti irrazionali se non ci sono forze di classe in grado di orientare il malessere sociale.
Questa condizione è riscontrabile in molte altre parti del mondo dall’America latina fino al Medio Oriente. - Limite ambientale come dato oggettivo anche se i tentativi di usare la crisi ambientale per ricostruire i livelli di profitto sono evidenti anche nell’uso strumentale dei movimenti e delle politiche statuali. La questione del clima, quella dell’energia, dei territori degradati sono elementi che tendenzialmente si imporranno come ulteriore limite ai processi di valorizzazione. In questo ambito però abbiamo una tempistica delle manifestazioni concrete ed un intervento delle politiche di “Green New Deal” che rallentano risposte politiche direttamente anticapitalistiche ma che, non per questo, possono impedire un intervento di classe netto seppure in condizioni di minoranza.
Alla tendenza “naturale” del capitale alla crescita infinita ormai si contrappongono limiti che contengono tale spinta introiettandoli nel ciclo produttivo e sviluppando ulteriormente le sue contraddizioni nella forma di una feroce competizione tra capitali.
Questo non significa sposare ipotesi “crolliste” ma che si apre una fase di grande instabilità a tutti i livelli che caratterizzeranno i prossimi tempi.
Il primo effetto, che poi conforma tutti gli altri, è l’incrudimento della competizione globale per affermare la predominanza dei diversi soggetti in campo economico, finanziario ed anche militare che riproduce la competizione tra imperialismi avuta in altri periodi storici.
Pensiamo che un discorso diverso vada fatto per la Cina in quanto non c’è dubbio che l’uso allargato del Modo di Produzione Capitalista ha permesso a quel paese ed a centinaia di milioni di suoi cittadini di cambiare radicalmente le proprie condizioni di vita e di divenire uno dei soggetti internazionali più forti in circa un trentennio. Insomma la Cina, sotto la guida del PCC, ha eguagliato una serie di risultati raggiunti dai paesi imperialisti di lunga tradizione, in qualche modo riproducendo livelli di sviluppo che aveva raggiunto anche l’URSS a suo tempo dimostrando che il modello capitalista può avere delle alternative. Ma su questo noi pensiamo che è anche alto il rischio di essere usati dal MPC sviluppando contraddizioni tali che possono impedire o addirittura far recedere da un processo di trasformazione rivoluzionaria. Cosa questa già verificatesi con modalità diverse nella crisi dell’URSS.
Non stiamo, perciò, parlando di potenzialità come facevamo fino a qualche anno fa nelle nostre analisi ma di verifiche empiriche che riguardano la guerra economica effettiva con i dazi, il conflitto monetario, le sanzioni, lo scontro commerciale che si sta riflettendo anche negli strumenti di concertazione internazionale con il depotenziamento sempre più accentuato del FMI, della Banca Mondiale, del WTO.
Tutto ciò non si limita al solo dato strutturale ma si riversa nella dimensione politica e militare dove è palese l’aumento del conflitto diretto ed indiretto o per interposta “persona” e dove la stessa NATO entra in crisi come dimostra ampiamente la vicenda Turca. Insomma siamo in quella condizione che abbiamo definito “lo stallo degli imperialismi” in cui gli esiti in prospettiva sono per ora imprevedibili.
Vivere in una tale condizione di stallo strategico non significa che le contraddizioni non continuino a crescere ed a stressare complessivamente la situazione finanziaria, economica e politica internazionale. Anzi la pressione aumenta, si determinano sempre nuovi punti di attrito internazionali ma non si trova uno sbocco, anche perché nessuno dei contendenti si sente tanto forte economicamente e militarmente da imporre la propria egemonia. E’ per altro ormai evidente a tutti l’impotenza degli USA che sta recedendo dal suo ruolo precedente di imperialismo prevalente a livello mondiale, in crisi a meno di 30 anni dalla fine del campo socialista, equivocato negli anni ’90 da Antonio Negri e da Michael Hardt come “Impero”.
Su quali scenari e quadranti potrà rompersi questo stallo non è semplice individuarlo. Scontro militare “classico” tra Ovest ed Est come all’epoca del bipolarismo? Implosione degli USA sulle sue contraddizioni interne, sempre più palesi, tra cui quella razziale della maggioranza bianca “wasp” che teme di diventare minoranza dall’invasione dei latinos? Crisi della UE in quanto possibile anello debole nella competizione interimperialista? Crisi finanziarie, stagnazione e recessione di lungo periodo in quanto lo stallo si può protrarre nel tempo senza trovare soluzione? Una risposta a queste domanda potrà essere dedotta solo dagli sviluppi della situazione concreta che si verrà a determinare nei prossimi anni.
Trasformazione e conflitto di classe Evocare scenari simili a quelli di inizio ‘900 e di una nuova “Età degli Imperi”, come li definì Eric Hobsbawm nel suo libro del 1987, significa capire quella dinamica assolutamente simile alla fase attuale ma anche la differenza di condizioni e forme che manifesta.
Questo ultimo aspetto delle differenze riguarda il livello di sviluppo complessivo della scienza, della tecnica e dell’apparato produttivo a livello mondiale ma, di interesse più diretto per noi, anche i caratteri della classe con cui abbiamo a che fare.
Infatti il modo di produzione capitalistico produce merce, scambio, moneta ma produce anche classe lavoratrice e questa nelle sue forme storiche susseguitesi è strettamente connessa ai caratteri della produzione capitalistica. Nel ‘900 il proletariato “marxiano” si è trasformato in classe operaia configurazione sociale e produttiva tendenzialmente maggioritaria e come avanguardia di classe per il ruolo centrale, insostituibile, che andava assumendo nella manifattura prima e poi nella fabbrica fordista.
Oggi l’avversario di classe ha letteralmente smontato, sia per funzioni che per localizzazione, quella dimensione storica precedente ed oggi abbiamo a che fare non solo con una classe lavoratrice che ha nuovi caratteri ma anche con una classe che realisticamente è all’inizio di un lungo processo di trasformazione, ne più ne meno come l’operaio massa lo è stato dall’inizio del ‘900 con l’introduzione del Taylorismo e del Fordismo.
Questo aspetto, attuale e dinamico, ci riguarda direttamente come comunisti che vogliono organizzare il conflitto di classe in quanto rimette in discussione modelli organizzativi ed ipotesi politiche certamente corrette nel contesto storico in cui sono state concepite ma che nell’attuale fase sono in parte o in tutto superate.
Questo richiede una nuova concezione dell’organizzazione di classe e dei comunisti che, mantenendo l’asse strategico della rivoluzione sociale, sappia aderire alle forme concrete e politiche che potenzialmente presenta la nuova composizione di classe evitando ogni “mitologia” che spesso si affaccia tra le nostre fila e che non può che rendere sterile un pensiero rivoluzionario.
Continuità ed innovazione del pensiero, il sentiero stretto dei comunisti oggi
Dagli anni ’90 in poi, in seguito alla sconfitta storica, i comunisti si sono divisi, lo diciamo schematicamente, tra chi ha pensato che bisognava cambiare tutto praticando un eclettismo politico e culturale accentuato, vedi la parabola del Bertinottismo, del PRC e del variegato mondo movimentista, e chi invece è rimasto, dal nostro punto di vista comprensibilmente, legato ai caratteri del movimento comunista del ‘900 pensando che la sola tenuta dei principi fosse condizione esaustiva per la ripresa del pensiero e dell’azione dei comunisti. Questa divaricazione non è stata solo delle nostre organizzazioni comuniste ma s’è prodotta anche a livello Europeo.
La realtà si è presentata invece in modo molto più complesso ed i processi di ricostruzione di un punto di vista e di una organizzazione comunista non potevano che essere molto più complicati e lo dimostrano il fallimento, certamente in Italia, dei due punti di vista emersi dalla crisi del ’91 sia di quello di “destra” approdato ormai sulle sponde del PD in modo più o meno evidente. Sia di quello “ortodosso” che non è stato in grado di ricostruire un rapporto con la classe che permettesse di mantenere una capacità di influenza di massa dei comunisti.
Per chiarezza noi come RdC non ci chiamiamo fuori da questi tornanti complicati ne vogliamo dare giudizi aprioristici o supponenti, il dato che per noi ha rilievo è che non si può prescindere da una visione organica della realtà e delle sue tendenze per ricostruire la funzione strategica dei comunisti. Per specificare meglio facciamo degli esempi sui quali emerge, a nostro avviso, l’inadeguatezza di una cultura politica cercando di dare un contributo in positivo.
Sulla questione dell’UE si naviga tra due estremi, da una parte una accettazione di questa nuova formazione politicoistituzionale scambiandola addirittura per una condizione del moderno internazionalismo. La retorica sui lavoratori europei uniti come se i lavoratori dei paesi extraeuropei non fossero interlocutori validi.
Dall’altro riproporre una dimensione solo nazionale che in Italia ha certamente una base democratica nella propria costituzione ma che mostra la corda rispetto allo sviluppo mondiale delle forze produttive che sta scombussolando Stati, apparati produttivi ed alleanze internazionali.
Insomma si accetta in qualche modo lo schema proposto dall’avversario, comunque eurocentrico, non affrontando la questione della crescita possibile guardando fuori dalla UE anche per il nostro paese cosa oggi possibile grazie anche all’affermazione di un mercato ben più ampio fuori dal continente Europeo.
Possibilità di sviluppo molto più promettenti di quelle che esistono ora in una comunità continentale in cui la Germania per un verso e la Francia dall’altro tolgono spazio agli altri “soci” come si è visto nelle vicende greche degli ultimi anni. Proprio in questo senso va la nostra proposta sull’area Euromediterranea.
Se nel resto del mondo fuori dai centri imperialisti come la UE l’organizzazione dei comunisti mantiene, correttamente, una serie di parametri “classici” dei partiti comunisti nel nostro paese e nella UE non ci sono le stesse possibilità in quanto si sono modificate tutte le condizioni e non solo strutturali.
Stiamo parlando della dimensione culturale e ideologica che viviamo e dove riproporre una modellistica che non tenga conto delle modifiche profonde avute rischia di ossificare il modo di pensare e di agire delle organizzazioni comuniste.
Su questo abbiamo scritto da tempo e rinviamo al convegno fatto nel 2018 su “La Ragione e la Forza” dove cerchiamo di motivare la nostra scelta di essere organizzazione di militanti e non partito comunista di massa, oggi a nostro vedere del tutto inadeguato a sostenere e comprendere gli sviluppi generali.
Lo stesso approccio di profondo cambiamento lo abbiamo rispetto al rapporto di massa nell’attuale composizione sociale del paese completamente trasformata e stravolta dai processi di ristrutturazione sociale sia sul piano materiale che su quello della coscienza di se, in realtà della sua assenza, dei settori di classe.
Questo nostro orientamento si è manifestato e si è misurato con la costruzione del sindacalismo indipendente inteso come continuità nel costruire l’unità di classe in quanto valore strategico ma con forme organizzative inevitabilmente in forte discontinuità da quello che è stato il sindacalismo storico nel nostro paese e più in generale in Europa.
Insomma il sentiero stretto che siamo costretti a percorrere è quello del mantenimento degli obiettivi strategici del movimento di classe e comunista ma nelle nuove ed inedite condizioni prodotte dalla lotta di classe e dallo sviluppo delle società capitaliste, condizioni che non possono mai riprodurre le modalità e le strutturazioni nate dai precedenti periodi storici.
Una Tesi politica ed una Ipotesi di lavoro
In questi decenni abbiamo vissuto in un clima ideologico in cui la filosofia della fine della Storia affermava che al capitalismo non poteva esserci alternativa e che questo era l’orizzonte ultimo dell’umanità. La storia attuale invece ci dice che questo è un falso sia sul piano della realtà sociale e di classe che su quello degli scenari internazionali.
Oggi siamo in presenza di uno stallo che si manifesta come stagnazione ma che in realtà è il prodotto dell’equilibrio dei rapporti di forza a livello internazionale e della crisi di egemonia dell’imperialismo USA.
Insomma è uno stallo gravido di conseguenze, in equilibrio instabile che rischia di precipitare anche se non possiamo ora dire quali saranno le forme della precipitazione di un modo di produzione ormai maturo nel suo sviluppo.
Come abbiamo detto questo scenario ci rimanda per sommi capi ad un periodo storico precedente quando dopo decenni di confronto tra imperialismi europei avuto nelle colonie in altri continenti si è arrivati, implodendo al centro, alla prima guerra mondiale.
Questa constatazione non afferma automaticamente che siamo di fronte ad un precipitazione militare in quanto la Storia non si ripete mai ed ogni suo passaggio va analizzato esattamente per quello che è in tutti i suoi aspetti ed in relazione al contesto dato.
Quello che possiamo dire è che archiviato il periodo della “caduta del muro di Berlino” riemerge la transitorietà e le contraddizioni del Modo di Produzione Capitalista che possono riportare in evidenza la necessità di un cambiamento rivoluzionario della società.
Come RdC con questo incontro e con altri che ne organizzeremo intendiamo dare il nostro contributo analitico sui caratteri della crisi sistemica attuale e soprattutto su come questo sforzo di analisi possa costruire e rafforzare una soggettività di classe e comunista che sia in condizione quanto meno di indicare un percorso di lotta e di organizzazione per modificare gli attuali rapporti di forza tra le classi.
CREDITS
Immagine in evidenza: Mexican Standoff
Autore: Martin SoulStealer, 8 settembre 2012
Licenza: Creative Commons Attribuzione 2.0 Generico
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