Mimmo Vasapollo (relazione alla Terza Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti)
Abbiamo deciso di inserire una relazione sulle questioni ambientali in questa terza Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti perché pensiamo siano tra i centrali in questa fase politica
Crediamo che sia arrivato il momento per i comunisti, e per una organizzazione comunista, di riprendere un dibattito e un agire politico su questi temi, per troppi anni lasciati in mano esclusivamente ad un ambientalismo che, nel migliore dei casi, non ha colto la reale essenza del problema. Un percorso da noi già avviato, come successo ad esempio con il nostro convegno di Roma “Pianeta Merce” del febbraio 2008 e in altre iniziative, ma al quale ora abbiamo deciso di dargli impulso e continuità
Non voglio entrare in una lunga esposizione dell’analisi, che abbiamo comunque fatto nei mesi scorsi e che trovate nel documento specifico che abbiamo prodotto, ma alcuni passaggi brevi, durante questo mio intervento, permettetemi di farli, per darmi la possibilità di spiegare meglio questo passaggio politico che ci sta impegnando.
Come già abbiamo avuto modo di dire siamo nel pieno di una crisi sistemica del capitalismo, una crisi di civiltà, che sta mostrando i suoi effetti più devastanti in questi ultimi anni, ma che viene da molto più lontano, e che si sta esprimendo in modo drammatico sotto vari aspetti, anche, e molto, in crisi ecologica come mai sperimentata prima.
Lo sfruttamento smisurato e la distruzione delle risorse naturali, i cambiamenti climatici, la crisi delle risorse energetiche e quella dello smaltimento dei rifiuti, lo svilimento della qualità del rapporto uomo-ambiente, sono solo le manifestazioni più lampanti del significato della crisi stessa. La contraddizione capitale-natura è una delle forme più avanzate dell’attuale crisi di accumulazione del capitalismo e anche in questa, tutta interna al conflitto capitale-lavoro, si trova oggi una delle più lampanti chiavi di lettura del conflitto tra gli interessi di classe. Un problema che dovrà necessariamente gestire la società del capitale nel tentativo di uscire dalla sua china, ma che, paradossalmente ed inevitabilmente, la dinamica dello stesso sistema di produzione capitalista acutizzerà proprio nel tentativo di salvarsi dalla sua deriva. Perché gli strumenti a sua disposizione non sono compatibili con la natura, più tenterà di risolverla e più renderà evidente la contraddizione con la natura e alimenterà il conflitto con il lavoro.
Di questo il capitalismo ne è consapevole e tenta un recupero ideologico ed egemonico facendo propri temi come ad esempio lo sviluppo sostenibile o la Green Economy, tentando quindi di mistificare il suo reale fine sotto la pressione di una opinione pubblica sempre più sensibile o quella che arriva dai sud del mondo.
Allora i temi di carattere ambientale, ma anche quelli che apparentemente non sembrerebbero essere legati a questi, bisogna affrontarli con la capacità e con gli strumenti della critica marxista, a partire da Marx stesso, che non era alieno a questi argomenti, come alcuni potrebbero pensare o altri hanno tentato di far credere.
Le questioni ambientali, qualunque esse siano, sia di carattere nazionale che internazionale, non possono non avere radici nella critica al modello di sviluppo capitalista che, per i comunisti, deve necessariamente avere un punto di vista di classe. Dobbiamo però essere capaci di unire le teorie marxiane con quelle delle scienze matematico-naturali e quelle delle scienze sociali, scevri da dogmatismi e ortodossie.
Non possiamo però non essere capaci di fare anche un’autocritica, e in questo caso parlo di noi come appartenenti al movimento operaio e comunista del ‘900, il quale ha visto spesso una disattenzione alle questioni ambientali o una incapacità ad affrontarle, e da questa autocritica ripartire.
I conflitti sociali sulle questioni ambientali si sono espressi fino ad oggi, in molti casi, in modo parcellizzato, su specifiche tematiche e vertenze locali, che raramente hanno avuto una percezione generalizzata della contraddizione capitale-natura interna al conflitto capitale-lavoro.
L’impegno deve essere prima di tutto quello di favorire l’incontro, il confronto e la connessione di tutte le espressioni organizzate del conflitto, su un terreno che abbia come discriminante la valenza anticapitalista, antimperialista e dell’indipendenza. Questo per creare le condizioni che sappiano anche generare, dal basso, un raccordo soggettivo dei movimenti sociali, del sindacalismo di classe, della rappresentanza politica anche sulle questioni ambientali e su quelle contro la guerra perché tra loro strettamente legate, che unisca le lotte nei posti di lavoro con quelle nei territori, nelle scuole e nelle università.
Sappiamo che questo non sarà un lavoro facile, che ci pone di fronte anche alcuni interrogativi da sciogliere e che abbiamo sottolineato sia nel Documento Politico preparatorio a questa assemblea, sia nel documento specifico sulle questioni ambientali che abbiamo prodotto. Domande che ci impongono riflessioni sulla scienza, sulla tecnologia, sulla ricerca, sul sistema di produzione, distribuzione e consumo, sull’evoluzione dei rapporti di produzione, sullo sviluppo delle politiche energetiche ecologicamente e socialmente sostenibili, sull’occupazione.
Non spetta ai comunisti dare soluzioni all’interno della permanenza del Modo di Produzione Capitalista. I comunisti hanno il compito di acutizzare le contraddizioni, di creare i presupposti della trasformazione radicale della società e per la costruzione del processo socialista. In questo quindi è possibile immaginare ipotesi e porre tentativi all’interno dell’attuale sistema di produzione anche nelle questioni ambientali, come processo tattico nella visione strategica del suo superamento.
Si deve quindi dare una prospettiva concreta a tale impostazione politica di classe, collegando la contraddizione capitale-natura anche allo sviluppo delle attuali lotte sociali e del conflitto di classe con un programma di controtendenza partendo dall’oggi, nel quale va strettamente legato il concetto di sostenibilità ambientale dello sviluppo a quello di progresso sociale, che ponga fin da subito il problema del controllo e della redistribuzione delle ricchezze naturali.
Il capitalismo sussume la natura e la rende esclusivamente funzionale alla produzione, senza porsi alcun limite. Questo lo fa soprattutto attraverso la scienza e la tecnologia, creando il concetto di tecno-scienza, cioè una scienza finalizzata esclusivamente allo sviluppo della tecnologia come strumento del suo modo di produzione, della sua finalità di accumulazione e per mantenere il primato sulla periferia produttiva.
Sta sviluppando enormemente i suoi strumenti tecnologici, ma senza dare a questi nessuna indirizzo rispetto alle condizioni di lavoro e a quelle della qualità della vita.
Per fare questo In Italia, ad esempio, gli enti di ricerca sono sempre meno finanziati dallo Sato e sempre più finanziati direttamente dall’industria, prime fra tutte quella bellica, quella energetica, quella farmaceutica, quella agroalimentare, quella delle telecomunicazioni. I nuovi “riordini” degli enti di ricerca stanno andando anche oltre, infatti dai finanziamenti si sta passando ai Fondi di Investimento, cioè ricerche totalmente finanziate dal Mercato.
Questo significa che la ricerca andrà totalmente nella direzione decisa dagli investitori privati e non in quella decisa dallo Stato, sfuggendo così per sempre dal controllo collettivo e pubblico.
Cosa che sta succedendo anche all’interno delle Università con l’introduzione delle Fondazioni private, che oltre a condizionare la ricerca stanno condizionando anche la didattica.
E’ importante invertire la tendenza, imponendo la riappropriazione collettiva della scienza, e quindi della ricerca, delle tecnologie, delle didattiche che ne derivano, dando a questa la sua finalità sociale.
In questo, come Rete dei Comunisti, abbiamo il dovere di appoggiare le lotte dei ricercatori, dei Docenti e degli studenti, esserne parte, per affermare che la ricerca deve diventare completamente di proprietà pubblica, e da questa essere completamente finanziata e quindi democraticamente controllata. Deve essere orientata alla conoscenza e ai saperi collettivi, dove la finalità sta nella qualità della vita, nella crescita culturale-scientifica per tutti, dove la tecnologia possa essere accessibile a tutti i popoli e per loro utile, dove diventa fondamentale la salvaguardia delle ricchezze naturali, la soluzione dei problemi a queste collegati, primi fra tutti quelli energetici con
investimenti orientati alle fonti rinnovabili e socio-eco sostenibili, al risparmio e all’efficienza energetica.
La crisi energetica, una delle più lampanti manifestazione delle conseguenze della sussunzione della natura da parte della produzione capitalista in tutte le sue varie espressioni, è anche una delle cause principali degli effetti devastanti sulle condizioni sociali.
Gli effetti del caro petrolio, che si configura come una tendenza costante all’aumento, grazie alla sua sempre maggiore scarsa disponibilità, spingono le imprese a trasferire il maggior costo ai consumatori per evitare di perdere quote di mercato. Questo sta determinando una situazione di sempre maggiore innalzamento dei prezzi al consumo e l’aumento dei servizi che, unitamente alle drammatiche condizioni del lavoro, sta generando una diffusa precarizzazione della vita.
Siamo davanti ad una delle più acute crisi energetiche, dove l’estrazione del petrolio e nella sua fase di “picco”, l’aumento della sua produzione è sempre più difficile. Le tecnologie attualmente sviluppate non permettono l’estrazione su giacimenti di difficile accesso. Lo abbiamo visto ad esempio con il disastro nel Golfo del Messico dell’aprile 2010, dove la BP ha tentato di estrarre petrolio a 1500 metri di profondità marina, e che ha prodotto uno sversamento durato 106 giorni, con milioni di barili di petrolio che ancora galleggiano sulle acque di fronte a Luisiana, Mississippi, Alabama e Florida, oltre alla frazione più pesante del petrolio che ha formato ammassi chilometrici sul fondale marino, 11 morti e 17 feriti tra operai e tecnici. Da molti è stato considerato il disastro ambientale più grave della storia americana.
Per poter estrarre petrolio da luoghi così complessi e difficili in modo sicuro ci vorrebbero forti investimenti, che il capitale non è in grado di sostenere. La tecnologia del Modo di Produzione Capitalista non può permettersi di tenere conto della sicurezza sociale e ambientale, i costi che ne deriverebbero sarebbero incompatibili con i suoi interessi.
Oppure ridefinire una geografia politica che abbia come fine il controllo sui pozzi già esistenti. A questo abbiamo assistito in questi ultimi anni con i conflitti in Medio Oriente, e ora con la guerra in Libia di questi giorni che ha palesato, in tutta la sua chiara evidenza, lo scontro tra i poli imperialisti nordamericano e dell’Unione Europea e sopratutto all’interno della stessa Unione Europea.
Gli interessi della Francia in questa guerra sono enormi, il suo sempre crescente bisogno energetico gli impone nuovi sbocchi, soprattutto in virtù della sua scelta di sviluppo forsennato del nucleare che ora potrebbe entrargli in crisi, e della necessità di dare forze alle sue multinazionali del petrolio, prima fra tutte la Total. L’Italia risponde in opposizione alla Francia, vedendo in pericolo i suoi rapporti privilegiati fino ad ora avuti con la Libia, tenuti soprattutto attraverso ENI ed AGIP. La Germania può apparentemente chiamarsi fuori, avendo da tempo invertito la tendenza sul nucleare e sviluppando un programma a lungo termine sulle energie rinnovabili, ponendosi così in un punto di forza che gli permette comunque di svolgere un controllo sulla guerra in Libia attraverso un ruolo politico. Gli USA non possono comunque farsi sfuggire di mano la situazione libica, visto anche una possibile ridefinizione della geografia politica del Nord Africa e del Medio Oriente grazie alle rivolte popolari dei mesi scorsi ed attuali e alla sempre più scarsa egemonia sul Sud America, imposta dai processi di trasformazione in atto in quel continente sempre più fuori dal suo controllo. Ma allora dalla crisi energetica come se ne può uscire?
Allo stato attuale delle cose, l’utilizzo delle fonti energetiche esauribili è insostituibile. Lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, ad esempio in Italia, lo possiamo definire quantomeno ridicolo se non tragico. Fino ad ora è servito esclusivamente a fare affari con la criminalità organizzata e la connivenza delle Amministrazioni locali, o a produrre lo scellerato meccanismo dei “certificati verdi” del Decreto Bersani, che permette ai produttori di energia da fonti non rinnovabili di acquistare, spesso da loro stessi, crediti per continuare a produrla.
L’alternativa che ci viene proposta è quella dell’energia nucleare.
Ma, anche alla luce dell’eventi di Fukushima, se mai avessimo dovuto aver bisogno di un disastro di tali proporzioni, a questo punto, come diceva un noto conduttore televisivo, le domande nascono spontanee. Nonostante le campagne dei promoter nuclearisti, quello che ci chiediamo è: la
produzione di energia nucleare può veramente risolvere i problemi energetici? E’ conveniente sul lato economico? Si può stabilire a priori la sua sicurezza?
L’energia nucleare può produrre esclusivamente energia elettrica, che attualmente in Italia è circa il 40% dell’intero fabbisogno energetico. A livello mondiale la produzione di energia nucleare copre il 15% del fabbisogno di energia elettrica, pari al 6% circa di energia complessiva. E il restante 85% di energia elettrica necessaria? E il restante 94% di energia complessiva? Per raggiungere il fabbisogno di energia elettrica attraverso il nucleare, si dovrebbero costruire poco meno di altri 1.000 reattori, oltre ai circa 500 già in funzione.
Si potrebbe obiettare che il suo impiego potrebbe comunque contribuire in parte alla soluzione della crisi energetica. Ma a quale prezzo, sia in termini economici che sociali e ambientali? E negli interessi di chi?
Attualmente costruire una centrale nucleare EPR, come quelle che si vogliono costruire in Italia, è stato stimato attorno a un costo di circa 3 miliardi di euro, ma mettendo in relazione i consuntivi della costruzione delle precedenti centrali nel mondo di “vecchia generazione” con i preventivi di quelli di nuova generazione, il costo reale prevedibile non scende sotto i 4-5 miliardi di euro. Questo se viene costruita nei tempi previsti, che sono circa 5 anni, ma normalmente slittano al doppio o quasi. Enormi sono anche i costi di gestione relativi alla sicurezza, manutenzione e smaltimento delle scorie, dismissione dell’impianto. Cifre esorbitanti, enormemente al di sopra di qualunque altra centrale elettrica, che non possono in nessun modo giustificare il potenziale risparmio energetico in esercizio.
L’uranio, come il petrolio, il gas, il carbone, è un elemento naturale esauribile e il suo approvvigionamento aprirà scenari internazionali insostenibili e tragici, come è già per le altre fonti esauribili.
L’attuale sviluppo tecnologico in questo campo non ci può garantire nessuna sicurezza, lo abbiamo visto a Fukushima che è uno dei disastri nucleari tra i maggiori della storia, ma molti altri incidenti di minore intensità si verificano continuamente in ogni centrale nucleare. Anche gli impianti di nuova generazione, come gli EPR, si stanno rivelando inaffidabili, come stiamo assistendo in Finlandia dove si sta costruendo il primo, senza considerare i rischi dello smaltimento e dello stoccaggio delle scorie. A questo si aggiunge lo stretto legame tra nucleare civile e quello militare, con la proliferazione delle testate atomiche e con la costruzione di bombe all’uranio impoverito, grazie all’impiego dei residui di produzione dell’energia.
In un quadro di questo tipo il Governo italiano vuole reintrodurre l’energia nucleare in Italia e nonostante la cosiddetta pausa di riflessione, ha tutta l’intenzione di farlo, gli interessi economici e politici delle multinazionali e dei governi, sia interni che internazionali, sono troppo forti.
Abbiamo un’occasione che non possiamo sprecare: quella dei referendum del prossimo giugno. Referendum sui quali la Rete dei Comunisti ha tutto il dovere di impegnarsi, all’interno del movimento che si sta sviluppando, costruendo e contribuendo all’opposizione alla reintroduzione del nucleare in Italia, per il raggiungimento del quorum e per la vittoria del SI.
Come abbiamo il dovere politico di farlo sul referendum per l’acqua pubblica.
Con le leggi che determinano di fatto la privatizzazione dell’acqua, si è data rilevanza economica all’acqua e quindi la possibilità della gestione a società di diritto privato con fini di lucro, che quindi posso legalmente inserire il profitto nella sua gestione.
Opporci alla privatizzazione dell’acqua, è una battaglia all’interno della quale possiamo portare tutti i nostri contenuti di classe.
Partecipare alla campagna referendaria anche su questo, può significare ribadire che l’acqua non solo è un diritto per la vita dell’umanità, ma è anche un interesse come elemento fondamentale della produzione e che non possiamo lasciare in mano al capitale attraverso le sue multinazionali e fuori dal controllo democratico; che la privazione dell’acqua è il motivo fondamentale della povertà e della vita indecorosa di milioni di persone; che il controllo dell’acqua è l’elemento principale di numerose guerre che i poli imperialisti hanno scatenato e scateneranno in futuro contro i popoli; che
la privatizzazione dell’acqua è un fattore fondamentale per aumentare i profitti e diminuire la qualità dei servizi.
Come possiamo anche rilanciare la necessità di una inversione di tendenza rispetto alle privatizzazione di questi ultimi 20 anni dei settori produttivi strategici e dei servizi di pubblica utilità, che hanno prodotto devastazione sociale e ambientale, attraverso un nuovo modello di proprietà pubblica che può definirsi tale solo se costruito sul controllo democratico e la partecipazione diretta dei lavoratori e dei cittadini, cioè attraverso una democrazia partecipativa.
Se la battaglia referendaria, su acqua pubblica e contro il nucleare, sarà il nostro terreno di lotta che ci vedrà impegnati nei prossimi mesi, dobbiamo immaginare il nostro lavoro politico anche a più lungo respiro.
Crediamo quindi che vada favorita, e su questo come Rete dei Comunisti dobbiamo attivamente lavorare, la nascita di movimenti di classe sui temi ambientali connessi alle altre lotte sociali, anche a partire da coordinamenti territoriali là dove le contraddizioni sono più acute, ma anche dove il conflitto si possa comunque generare e sviluppare.
Questo a partire anche dalle situazioni locali su specifiche vertenze, ma che abbiano la capacità di avere una visione complessiva e una percezione unificante. Ma sopratutto su alcune tematiche comuni e di carattere universale, come il ruolo della scienza e della ricerca, la viabilità e la mobilità, la speculazione edilizia, la produzione e lo smaltimento dei rifiuti, il controllo e la gestione dei beni comuni.
Così come su alcuni temi di carattere planetario, frutto dell’attuale fase di mondializzazione del capitale e la sua espressione colonialista e imperialista, sulle quali si possa sviluppare un movimento sulle contraddizioni capitale-natura che colpiscono l’intero pianeta. Tra queste, ad esempio, quelle sui cambiamenti climatici, sulla colonizzazione dell’atmosfera, la deforestazione e la desertificazione, la biodiversità, i migrati per cause ambientali. Cioè un progetto con significato popolare transnazionale anticapitalista che sappia costruire una strategia comune di lotta.
Su questo, come su altro, dobbiamo anche avere la consapevolezza di non essere autosufficienti, e quindi di volere intraprendere una strada che la Rete dei Comunisti ha intenzione di percorrere insieme ad altri che, come noi, sono espressioni del conflitto.