Lidia Triossi (relazione alla Terza Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti)
Lo scenario sociale che oggi abbiamo davanti ci presenta una frammentazione inedita sotto il profilo contrattuale, che genera lavoratori che difficilmente trovano risposta nella sindacalizzazione classica, così come porzioni sociali inedite nel nostro paese:
- lavoratori immigrati,
- un ceto medio proletarizzato
- un processo di concentrazione urbana di masse di persone sempre più consistenti che portano con sé contraddizioni e richieste che superano il piano della vertenzialità, come ad esempio la richiesta di diritti civili e dignità da parte dei settori immigrati, o delle seconde generazioni.
Questa scomposizione sociale è sostenuta anche ideologicamente creando in alcuni di questi settori una concezione “ribaltata” della propria condizione ed aspirazioni individuali raggiungibili a caro prezzo a scapito di una dimensione collettiva di benessere diffuso.
Un esempio chiaro di come viene sostenuta questa vulgata è l’illusione di risolvere il problema abitativo tramite l’acquisto della casa. Oltre a generare un sistema di usura che ruba salario è anche nella dimensione capitalista uno specchietto per le allodole.
Infatti se è vero che l’Italia è al primo posto negli indici di possesso di case e automobili è altrettanto vero che nell’ambito dell’Europa il criterio di ricchezza è inversamente proporzionale al possesso di questi stessi beni, poiché indicano una staticità dell’economia e una mancanza di servizi.
Ad esempio nazioni trainanti come la Germania e la Francia, ben lontani da essere considerati stati socialisti, sono agli ultimi posti in questa stessa scala perché casa e trasporti sono assicurati da un sistema più diffuso e funzionale alle esigenze dell’economia.
Questo provoca e giustifica l’attuale difficoltà dei lavoratori e dei settori popolari nel darsi un piano d’azione collettivo condiviso, perché si integrano elementi strutturali (precarietà sociale diffusa) ed elementi sovrastrutturali (l’illusione di benessere individuale).
Se è vero che di fronte alla scomposizione dell’organizzazione del lavoro l’unico modo per ricostruire identità e prospettiva di classe è riuscire a dare forme di organizzazione sindacale indipendente, sul terreno territoriale sociale diffuso, poiché totalmente investito dal rapporto di produzione capitalistico, la necessità di organizzare un blocco sociale assume pari importanza.
La penetrazione nei rapporti sociali esterni alla dimensione della produzione, ovvero il condizionamento 24 ore su 24, è una condizione che vista la quantità di soggetti coinvolti non può essere ignorata, ma al contrario deve essere assunta come uno dei terreni centrali dove investire energie per una nuova azione politica e sociale .
Se tutto questo fa parte di un processo che è in corso da anni, questo stesso processo ha sicuramente visto una precipitazione con il manifestarsi della crisi economica in atto. Questa precipitazione acuisce da un lato il quadro fin qui sbrigativamente descritto ovvero aumenta il numero delle persone coinvolte dai processi di precarizzazione, dalla perdita del reddito, i fenomeni migratori e l’urbanizzazione, poiché si riversano nelle grandi città tutti coloro che espulsi dal mercato del lavoro e inghiottiti dall’esclusione sociale sono alla ricerca di briciole di welfare o anche solo di attività al confine tra il legale e l’extralegale.
Aumenta così l’asprezza delle contraddizioni oggettive, ma dall’altra parte si scopre il fianco ovvero tutto questo rende più difficile gestire le compatibilità.
In questi anni come RdC abbiamo provato ad individuare uno spazio dove si acuiscono queste contraddizioni individuandolo nelle aree metropolitane del paese.
Aver prodotto sotto il profilo dell’analisi inchieste e ricerche ci ha permesso di iniziare un livello di sperimentazione, che va verso forme organizzative sociali che tengono conto di questo contesto. Individuare un problema e riconoscerne la portata sono passi importanti, ma la funzione dei comunisti è quella di fronte alla codificazione del presente di offrire soluzioni e tentativi per intervenire direttamente dentro le contraddizioni.
Definiamo queste pratiche e laboratori: sindacalismo metropolitano che oggi potrebbe diventare una concreta opportunità per intervenire dentro l’attuale contesto
Il sindacalismo metropolitano non è ancora una organizzazione, ma un terreno di sperimentazione, è la ricerca di un metodo, anche organizzativo tra le fasce popolari partendo dai territori, che deve integrare la pratica sindacale sui posti di lavoro.
Questo non è una novità se si considera la storia del sindacalismo, che ha sempre oscillato tra il piano territoriale e quello aziendale. Tuttavia non va confuso con le Camere del Lavoro, che avevano come base di partenza la sommatoria delle diverse categorie d’azienda, cosi come non è una moderna associazione di consumatori. Non è neppure la dimensione, comunque importantissima, della confederalità sindacale, ma il porsi su un terreno che va oltre alla mera sfera aziendale, poiché tentativo del sindacalismo metropolitano è anche ricomporre quelle contraddizioni che, se lasciate a se stesse o gestite unicamente dal punto di vista sindacale, non impediscono una lacerante guerra fra poveri.
Immediata è la comprensione se pensiamo ad alcune battaglie contro l’aumento del costo dei servizi e ai lavoratori di quei servizi, ancora più evidente se pensiamo agli occupanti di case e a tutti quei lavoratori salariati divenuti proprietari di casa, dopo essere riusciti a estinguere un mutuo, o ancora più drammatica la competizione che si sviluppa tra un lavoratore italiano ed un immigrato come ad esempio nell’edilizia.
Il sindacalismo metropolitano si rivolge in due direttive: da una parte creando organizzazione e conflitto rispetto al reddito indiretto (servizi, casa, scuola, sanità, trasporti…) dall’altra creando uno spazio organizzativo e rivendicativo per fasce di lavoratori che non possono essere inquadrati a livello aziendale, vuoi per la tipologia contrattuale, o per la mansione di lavoro, o per i quali non è sufficiente (diritti civili, di cittadinanza…) provando a ricreare una dimensione organizzativa e quindi una dimensione di identità collettiva.
In questo senso, indirettamente, il sindacalismo metropolitano risponde a quel bisogno di rappresentanza politica delle fasce popolari oggi, in quanto il piano politico è direttamente correlato alle contraddizioni sociali (casa, immigrazione, prospettive giovanili, pianificazione urbana, servizi). Ad esempio quando si comincia a confrontarsi con questo ambito emerge chiaramente la necessità di incidere su aspetti di pianificazione delle risorse, dei territori e la necessità di invertire il processo dell’esclusione sociale. Si contrappone la proprietà individuale alla proprietà collettiva, il bene di pochi a quello dei più, si manifesta la necessità concreta di invertire la piramide sociale.
Siamo in una fase di sperimentazione, quindi allo stato attuale i contorni organizzativi del sindacalismo metropolitano sono ancora da definire, Le differenze delle diverse “Italie” impongono una dimensione elastica, in quanto i diversi territori esprimono una diversa composizione sociale e urbana. Pensiamo alle differenze fra Roma, Bologna, Napoli, Milano ecc..
Un passaggio organizzativo del sindacalismo metropolitano che si sta ipotizzando è la creazione delle agenzie metropolitane: spazi di collegamento diretto proiettate verso l’esterno che rompono schemi tribali e identitari della politica e dell’attivismo sociale.
Una integrazione moderna di quello che erano le case del popolo con quello che erano le camere del lavoro.
Un luogo che coniuga il mutualismo con il conflitto, che deve vedere coinvolti i movimenti di resistenza alla precarietà sociale diffusa, da chi lotta per la casa, passando per gli studenti a chi difende e vuole rilanciare i beni comuni.
Non è quindi una sommatoria di differenti attivisti sociali con connotazioni politiche diverse, ma è dare agibilità e organizzazione a chi oggi non ce l’ha.
Da anni parliamo e sentiamo parlare di precariato, si tratta oggi di dare forma ad un intervento che sappia misurarsi con tutte le contraddizioni del magma della precarietà sociale.
Va comunque sgomberato il campo da un equivoco: la dicitura sindacalismo metropolitano non è intesa rispetto unicamente alle aree metropolitane propriamente dette o amministrativamente intese, nonostante sicuramente in questi territori questa pratica sia sempre più necessaria per difendere e tutelare le fasce lavoratrici dalla precarizzazione che una metropoli produce su ogni aspetto della vita; ma consiste nel rapporto con il territorio e le diverse problematiche ad esso collegate, in questo senso si può ipotizzare un intervento sindacale metropolitano sia in un paese che in una città: dal diritto all’abitare, all’acqua pubblica, dalla battaglia contro le discariche alle garanzie popolari dei servizi, per un interesse collettivo che riesca a garantire il futuro delle prossime generazioni contrapposto ad un miope e distruttivo interesse individuale dei soliti noti.