Mauro Casadio (relazione alla Terza Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti)
L’Assemblea nazionale che stiamo tenendo non è solo un momento di rappresentazione delle nostre posizioni ma soprattutto un momento di approfondimento, orientamento e rafforzamento politico dei compagni della Rete per adeguarci alle sfide che ci vengono proposte dalla realtà.
La RdC è in una fase di passaggio imposto dagli sviluppi della situazione oggettiva che riguarda:
- Il ruolo politico che intendiamo svolgere rispetto ai settori di classe del nostro paese ed alle relazioni che abbiamo e che vogliamo sviluppare a sinistra e con le organizzazioni comuniste.
- Una trasformazione organizzativa, che discuteremo e sulla quale decideremo domani, che ci metta in condizione di saper tenere testa alle modifiche generali riuscendo a coniugare una capacità progettuale ed organizzata dell’intervento alla caratteristica delle relazioni a rete, che abbiamo mantenuto dal 1998, in quanto pensiamo di essere ancora nel pieno di un processo di riorganizzazione delle forze antagoniste e dunque ci sembra errato proporsi oggi come partito strutturato.
Queste non sono scelte soggettivistiche legate a necessità di organizzazione ma hanno una base concreta nello sviluppo delle situazione di questi ultimi anni:
- A – Il primo cambiamento con il quale abbiamo dovuto fare i conti è di carattere politico con l’esclusione dei partiti della sinistra dal parlamento italiano, fatto questo di rilevanza storica che ha modificato le condizioni in cui abbiamo agito nel precedente decennio.
- B – L’altro elemento che ci ha spinto ancora di più a riflettere sul nostro agire è stato il manifestarsi della crisi prima finanziaria, poi economica e sociale e che oggi assume anche forme politiche a livello nazionale ed internazionale.
Pensiamo in sostanza di essere dentro un passaggio storico che riguarda l’assetto capitalistico mondiale, la sua capacità di tenuta e di egemonia che nasce dal manifestarsi concreto della sovrapproduzione di capitale e di merci e dalla crisi della controtendenza usata fin dalla fine degli anni ’70, ovvero dei processi di finanziarizzazione che hanno cambiato in trent’anni il volto del pianeta.
Quello che ci sembra emergere è una crisi profonda del capitalismo, crisi, che abbiamo definito di civiltà e non solo economica, che non possiamo dire se è la fine del capitalismo (mentre è possibile la crisi e la fine di alcuni capitalismi), ma che certamente trasformerà in modo non indolore gli assetti sociali e gli equilibri mondiali nei prossimi anni.
Quello che sta accadendo nell’Africa del Nord ed il Libia da la misura delle contraddizioni in atto ma anche della incapacità degli organismi internazionali del capitale di gestire come in passato processi che ora sfuggono loro di mano.
PUNTO B – IL QUADRO MONDIALE
I sintomi di questa crisi di civiltà e di prospettive sono sotto i nostri occhi, la devastazione atomica nel Giappone, la ferocia dell’occidente verso i paesi produttori di petrolio come la Libia pari solo alle difficoltà che l’occidente stesso vive, l’incidente della BP nel Golfo del Messico fanno emergere un altro limite allo sviluppo capitalistico che in termini generali è quello della devastazione ambientale.
Limite che in termini specifici e più diretti si mostra in quello della crisi energetica che rende evidente la irrazionalità dello sviluppo illimitato in quanto utopia sognata dagli esaltatori di destra e di sinistra del capitalismo.
Se la contraddizione capitale natura ormai diviene palese e drammatica continua a macinare anche quella con il lavoro. Il passato ventennio di egemonia incontrastata del capitale sta partorendo una contraddizione economica ed in prospettiva politica di livello mondiale.
Si sta infatti producendo una frattura tra le aree imperialiste che permangono nella loro condizione di crisi e quelle della periferia produttiva, soprattutto in Asia ed in America latina, che invece vede uno sviluppo potente.
Anche qui però non bisogna lasciarci ingannare dalle cronache giornalistiche infatti nella economia mondiale i paesi imperialisti detengono ancora il 60% del PIL, contro l’8% della Cina, ed è difficile pensare che accetteranno tranquillamente di ridurre il proprio potere a livello mondiale.
Quello che si prospetta, infatti, è la nascita potenziale per via economica, e non per via politica come nel ‘900, di un mercato indipendente dai paesi imperialisti con potenzialità di crescita che riguardano alcuni miliardi di persone con tutto quello che ne potrà conseguire in termini di competizione mondiale.
Ma va registrata un’altra contraddizione che marcia con effetti direttamente politici. E’ quella tra gli USA e l’UE, tra il dollaro e l’euro. La crisi finanziaria ha determinato una divaricazione strategica tra le due aree imperialiste principali.
- Infatti gli Stati Uniti stanno continuando nella politica del deficit, dell’uso della finanza (i finanziamenti dati a sostegno delle Banche) e della delocalizzazione della produzione cercando di mantenere il loro ruolo di consumatori mondiali (nonostante il piano di rientro di soli 1.100 miliardi in dieci anni e la propaganda su FIAT/Crysler) continuando a farsi finanziare dal proprio debito pubblico.
- L’Europa invece, utilizzando anche la crisi dei debiti sovrani, sta riqualificando il proprio ruolo internazionale accentuando il carattere di economia di produzione di beni e servizi qualificati tecnologicamente e complementari alla crescita dei paesi della periferia produttiva per rafforzare le sue esportazioni. In questa prospettiva il ruolo centrale è svolto dalla Germania.
- L’altro terreno di competizione e quello monetario tra Dollaro ed Euro dove certamente l’Euro acquista sempre più un ruolo di riserva internazionale, oggi al 26%, minando direttamente lo strumento della preminenza Statunitense.
PUNTO C – L’U.E. E L’ANELLO DEBOLE ITALIANO
Nel contesto internazionale il dato che si evidenzia è l’incremento della competizione globale che non riguarda sola la dimensione economico-finanziaria ma anche le caratteristiche politiche ed identitarie delle diverse aree. Per quanto ci riguarda dobbiamo analizzare l’Unione Europea.
Su questo teniamo a ribadire una nostra posizione che in questi anni è stata diversa dal resto della sinistra e dei movimenti. Per noi l’Unione Europea è un polo imperialista in via di costituzione e forte. Forte non perché la politica è preminente ma perché lo sviluppo delle forze produttive raggiunto richiede “naturalmente” la dimensione Europea e Mediterranea.
E’ un polo forte per i dati economici (è la principale potenza commerciale con il 17%, lo scambio interno è del 50% circa, commercia in egual misura con i paesi sviluppati e quelli della periferia, l’euro ha ormai un ruolo internazionale) e su spinta della Germania e della Francia si orienta sempre più verso un ruolo produttivo di beni e servizi avanzati come abbiamo già detto.
Anche i processi politici stanno facendo dei passi in avanti seppure in forme diverse da quelle preventivate dalle burocrazie continentali. La crisi in generale e quella del “debito sovrano” stanno producendo una gerarchizzazione/omogeneizzazione delle borghesie continentali, nei fatti si sta determinando chi realmente comanda in Europa.
Indubbiamente questo ruolo spetta alla Germania per il peso economico ma anche alla Francia che, con l’aggressione alla Libia, si candida ad esserne il braccio armato, avendo peraltro anche le armi atomiche. La campagna di acquisti di imprese che la Francia sta facendo in Italia ne è una controprova. Questo processo di gerarchizzazione procede dal centro verso la periferia riassestando in modo brutale il ruolo degli Stati e delle diverse aree economiche in funzione del ruolo produttivo.
A questo punto dobbiamo collocare il ruolo del nostro paese dentro la dinamica generale cosa che abbiamo cercato di fare nella nostra campagna autunnale su “Berlusconi tigre di carta”. Anche sulla natura del fenomeno Berlusconi abbiamo avuto una analisi diversa dal resto della sinistra, non abbiamo dato nella valutazione una preminenza all’aspetto politico, palesemente reazionario, ma all’analisi di classe del blocco sociale da lui rappresentato.
Blocco sociale specchio della debolezza strutturale della nostra borghesia per un verso monopolista e parassitaria e per altri disgregata ed impotente nella competizione globale che riesce a sopravvivere solo nelle nicchie produttive, quali il “Made in Italy”. Quello che sta accadendo oggi è il riflesso della debolezza strutturale della nostra borghesia nazionale incapace di contrattare nel contesto europeo un suo ruolo di direzione.
Berlusconi rappresenta questa debolezza ma la rappresenta anche l’impotenza della opposizione incapace di battere un antagonista che ormai naviga nel ridicolo. Ovviamente ci riferiamo al centrosinistra di ieri e di oggi.
La tendenza produttivistica dell’Europa e il ruolo subordinato dell’Italia ci dicono quale saranno i processi produttivi, economici e sociali che agiranno sul nostro blocco sociale e settori di classe:
- la prospettiva dell’area economica europea destinata alla produzione di merci richiede un aumento dello sfruttamento della forza lavoro con riduzioni sul salario reale, allungamento della giornata lavorativa ed incremento della precarietà.
- La riduzione del costo del lavoro porterà anche alla dequalificazione del lavoro intellettuale ed ad una sua proletarizzazione oltre che a delimitare le possibilità di sviluppo della ricerca e della scienza nel nostro paese.
- Verrà incentivata la competizione tra immigrazione ed i lavoratori italiani
- La crisi del debito sovrano incentiverà il taglio della spesa pubblica e le privatizzazioni
- il carovita verrà utilizzato per far pagare ai ceti popolari ed ai lavoratori dipendenti l’aumento delle materie prime ed in particolare del petrolio e dell’energia.
PUNTO D – LA CLASSE ED I COMUNISTI
Ci troviamo, dunque,di fronte ad una classe disgregata sul piano produttivo, debole nei rapporti di forza grazie alle politiche del lavoro, orfana di rappresentanza politica e sociale.
La condizione di classe in Italia sottoposta ai meccanismi che abbiamo descritto presupporrebbero, per la nostra memoria storica, una ripresa del conflitto di classe, in realtà questi agiscono su una classe profondamente diversa da quella presente nella fase fordista dell’economia:
- – Negli ultimi 20/30 anni si è formata quella aristocrazia salariata che abbiamo cercato di analizzare nelle sue componenti materiali (incremento del consumismo, del debito familiare,vedi i mutui, e delocalizzazione per abbassare i costi dei beni di largo consumo) ed ideologiche tendenzialmente reazionarie.
- – Questa sovrastruttura ideologica, questa percezione di se della classe oggi diventa uno strumento illusorio a difesa della propria condizione e per evitare il tracollo del proprio status sociale.
- – La necessità per l’Europa di mantenere un proprio mercato interno spinge le classi dirigenti ad una gestione attenta e nel tempo della riduzione dei redditi per mantenere l’egemonia, anche se questo avviene in maniera diseguale dove i paesi più forti mantengono i livelli di coesione sociale che degradano, invece, nei paesi in crisi economica e sociale. E l’Italia è indubbiamente tra questi.
- – La scomparsa delle grandi organizzazioni di classe, politiche e sociali, permette l’espressione reazionaria di queste contraddizioni. La lega al nord, il razzismo latente delle periferie metropolitane, la crescita delle organizzazioni criminali al sud ed al nord sono la concretizzazione di dove ha portato la politica di disarmo spacciata per innovazione da circa 20 anni.
Questa è concretamente la condizione di classe che ci troviamo di fronte e con la quale bisogna capire come fare i conti. Il punto strategico su cui ragionare è quello della funzione di ricomposizione di un fronte di classe e politico estremamente disgregato e disorientato, i comunisti possono ritrovare la loro funzione accettando questa sfida.
Il punto è però quello di capire come procedere verso questo obiettivo. Noi come RdC pensiamo che al primo posto vada messa la qualità dell’elaborazione del pensiero e la capacità militante dell’organizzazione.
Recupero di un pensiero teorico forte adeguato ai tempi, qualità dell’analisi, formazione dei militanti come elemento centrale dell’agire di una organizzazione, capacità di stare nel conflitto di classe e sociale e dunque articolazione dell’organizzazione sono gli elementi base per una ripresa.
Quando proponiamo una organizzazione di militanti con funzione di massa non partiamo da una visione stereotipata ma dall’analisi della classe reale e non mitologica nel nostro paese e dalla presa d’atto che un recupero del ruolo dei comunisti ha la necessità di un progetto che non può che partire dalla complessità della situazione generale e dalla articolazione sociale che abbiamo nel nostro paese.
E’ da questo punto di vista che siamo fortemente critici verso le politiche fatte negli ultimi venti anni dai partiti comunisti.
Aver privilegiato la dimensione istituzionale e tattica, aver abbandonato la ricerca per l’adeguamento della teoria, aver disgregato l’organizzazione ma anche l’dea stessa di organizzazione dei comunisti, aver disperso il forte rapporto di massa avuto fin dal dopoguerra nel nostro paese sono gli elementi strategici di divaricazione che ci hanno portato ad assumere una posizione fortemente indipendente. Tali valutazioni ci hanno portato a pensare che nel contesto storico che si andava determinando, per i motivi oggettivi e soggettivi descritti, riproporre il partito di massa si rischiava di continuare nella traiettoria già definita negli ultimi decenni.
Altrettanto chiaramente diciamo e pensiamo che è possibile, anzi è obbligatorio, riprendere il confronto anche sulla questione del partito dei comunisti ma partendo da una verifica storica ormai alle nostre spalle e capendo le nuove forme d’organizzazione e di relazione politica e sociale di cui dotarsi nel vivo del conflitto teorico e culturale, politico e di classe che esiste nel paese.
PUNTO E – IL RAPPORTO DI MASSA
Una parte ora particolarmente importante è la ricostruzione del rapporto di massa finalizzato alla ricomposizione più complessiva delle forze di classe. Lo sviluppo delle contraddizioni che avviene a 360° (sociali, politiche, ambientali, etc) crea le condizioni affinché si possa ricostruire quel rapporto di massa che si è andato esaurendo negli anni passati. Per noi questo è uno dei fronti strategici del conflitto di classe sul quale i comunisti possono dimostrare, se ne sono capaci, di poter svolgere di nuovo un ruolo positivo.
Questo è possibile farlo ad alcune condizioni che ci sembra vengano poste dalla situazione:
- La prima è quella dell’organizzazione, questo principio è stato demonizzato ed ha permesso la smobilitazione politica della sinistra. Va recuperato il valore strategico dell’organizzazione del conflitto sia nelle forme politiche che sociali inteso come capacità di sedimentazione delle forze.
- L’altra condizione è quella della indipendenza del conflitto intesa come categoria politica ma anche come capacità concreta di sostenere il progetto strategico della ricomposizione
Il movimento contro la guerra, quello per i diritti sociali, quelli ambientali ed altri ancora non sono certo immuni dalle difficoltà di orientamento politico in un periodo dove è obiettivamente difficile avere una prospettiva di lotta definita. In questi ambiti i comunisti possono svolgere un ruolo positivo e di spinta sapendo però che non è possibile avere nessuna egemonia se non quella che può venire solo da una capacità effettiva di contribuire alla crescita ed al consolidamento delle lotte stesse.
Più impegnativo è il terreno diretto del conflitto di classe, quello che avviene dentro i posti di lavoro e che ha il carattere sindacale. Qui la sproporzione tra le possibilità di organizzazione sindacale e le forze in grado di rispondere alla domanda di lotta è enorme. Avendo ben presenti le 2 condizioni sopra ricordate questo è il terreno dove è possibile ricreare quel rapporto di massa necessario allo scontro in atto con il padronato ed il governo.
Se il sindacalismo indipendente è il terreno strategico su cui è possibile ricostruire un sindacalismo di classe e conflittuale ci sembra che la lotta di classe dall’alto, ben rappresentata dalla vicenda FIAT, crei problemi a chi ritiene che la CGIL possa ancora rappresentare quell’ambito di massa che permetta di ribaltare i rapporti di forza nel paese.
Lo sciopero indetto dalla FIOM e dai sindacati di base il 28 Gennaio è stato importante, ma ora ci sembra che lo sciopero generale chiesto a gran voce negli ultimi mesi alla CGIL si stia risolvendo in uno sciopero molto parziale e in realtà convocato solo in attesa degli sviluppi politico/istituzionali che hanno ben poco a che vedere con il conflitto sociale in atto.
Infine, ma non per importanza, va rilevato che la scomposizione produttiva avuta e le conseguenti modifiche della condizione della forza lavoro sia sul versante occupazionale che su quello sociale richieda nuove forme di organizzazione stabile del conflitto.
Su questo da anni riteniamo possibile ricostruire, a partire dalle aree metropolitane, processi di organizzazione e ricomposizione che trovano la loro base nelle contraddizioni che si accumulano dentro questi ambiti urbani e produttivi allo stesso tempo.
E’ un’esperienza nuova perché fa i conti con la nuova composizione di classe nei paesi imperialisti ma è anche un terreno sperimentale di unità concreta tra le forze politiche e sociali anticapitaliste.
PUNTO F – LA RAPPRESENTANZA POLITICA
L’altra questione dove stride fortemente la contraddizione tra necessità oggettive e possibilità obiettive è quella della Rappresentanza Politica dei settori di classe e popolari, un terreno questo che riguarda sia il versante politico che quello istituzionale nel quale la nostra sinistra avrebbe potuto svolgere un ruolo avanzato.
Nelle condizioni attuali è certamente il terreno più complesso da praticare, per noi lo è da tempo ma ora ci sembra che lo sia per tutta la sinistra politica e sociale.
Vogliamo un attimo ribadire che cosa intendiamo per rappresentanza politica. Quando abbiamo descritto la condizione dei settori di classe come “aristocrazia salariata”, ora in via di superamento, abbiamo evidenziato anche le difficoltà politiche ed ideologiche che si presentano su un terreno egemonizzato dai valori borghesi, siano essi di destra o di sinistra.
E’ questa una sfida difficile ma nessuna ipotesi politica comunista, di sinistra o democratica è possibile senza il recupero anche parziale della rappresentanza di questi settori sociali.
Una tale prospettiva implica processi politici, culturali ed organizzativi complessi che non possono essere ridotti alla sola rappresentanza della sinistra, ovvero di un bacino politico- elettorale in crisi, come spesso si tende a concepire.
Indubbiamente la sinistra politica ha svolto un ruolo rispetto a questa questione negli anni passati ma la nostra opinione è che è stato un ruolo negativo, che ha permesso prima l’affermarsi di visioni anche reazionarie nei nostri settori sociali e poi addirittura ha portato alla esclusione dalla dimensione istituzionale. Questo nostro giudizio riguarda innanzitutto la Rifondazione Bertinottiana. Oggi la dimensione onirica di Vendola ci sembra segua quella traiettoria.
Ma anche la scelta della Federazione della Sinistra di rimanere “appesa” essenzialmente alla questione istituzionale è inadeguata condannandosi cosi al logoramento politico ed organizzativo. E’ sempre possibile ritornare a pensare un ruolo positivo ma significa ribaltare il punto di vista predominante ovvero oggi è la sinistra politica che si deve mettere a disposizione ed in condizione di favorire e costruire, nei modi opportuni ed ancora da capire, questa rappresentanza dei settori sociali.
Per quanto ci riguarda e per quanto sia difficile noi continuiamo a lavorare sulla ipotesi di un fronte politico-sociale anticapitalista anche se alcuni tentativi di tipo nazionale non sono andati in porto.
In compenso abbiamo lavorato alla riuscita della lista “Napoli non si piega” che candida al comune l’avvocato del lavoro Pino Marziale e stiamo tentando di muoverci nella stessa direzione unitaria laddove siamo presenti, anche sul piano elettorale proponendo o sostenendo candidati e liste alternative al centro sinistra, coscienti comunque delle difficoltà e dei tempi necessari ad una tale maturazione.
Per avere le idee chiare ed un quadro complessivo esatto però va detto che il terreno di una effettiva, matura ed organica indipendenza dal quadro politico-istuzionale attuale si mostra difficilmente concepibile e praticabile non solo per i partiti, costretti in qualche modo a fare i conti con questa dimensione, ma anche con parti di movimento antagonista che si concepisce di fatto come contestatore e “ala sinistra” del centrosinistra rinviando un salto di maturità che si pone non come scelta ma come obbligo dato dallo sviluppo della condizione oggettiva.