da Le ragioni dei comunisti oggi. Tra passato e futuro. Un contributo al dibattito
Nella parte dell’analisi economica del documento abbiamo messo in evidenza i meccanismi interni che stanno determinando attorno agli USA, alla Germania ed al Giappone le aree di influenza imperialista ed i loro rapporti reciproci.
Abbiamo analizzato anche i rapporti di dipendenza economica e dunque politica e militare che legano le aree imperialiste con il resto del mondo.
E’ evidente che solo lo schema teorico, oltretutto limitato, non può dare una corretta rappresentazione della situazione se non viene collocato nel contesto storico e materiale.
Questo riguarda tutte le aree mondiali coinvolte in questa fase di profonda trasformazione, siano esse imperialiste o del Sud del mondo o dell’Est.
GLI STATI UNITI
Sicuramente nel contesto internazionale un ruolo centrale spetta agli Stati Uniti ed alla loro funzione. Gli USA escono dallo scontro con l’Est, conclusosi nell’89/91, vincitori in modo chiaro sia rispetto all’ex URSS sia rispetto ai loro alleati, in particolare l’Europa, che ha stentato negli anni ‘80 a seguire la via militarista intrapresa da Regan nei rapporti con i paesi socialisti.
Questa vittoria ha essenzialmente una valenza politica ma anche militare perché, sebbene non ci sia stata una guerra aperta, il confronto sul piano militare sia nelle guerre “periferiche” sia nello sviluppo delle tecnologie militari, è stato decisivo. Altrettanto non si può dire sul piano economico in quanto gli anni ‘80 sono stati per la struttura produttiva anni di deindustrializzazione, di aumento delle importazioni, di finanziarizzazione dell’economia.
E’ chiaro che una egemonia mondiale non può realizzarsi senza una adeguata base economica. Da questo punto di vista gli USA subiscono da circa 30/40 anni un declino costante che riduce in termini assoluti il peso dell’economia Americana rispetto a quello mondiale e in particolare dell’Europa/Germania e del Giappone.
D’altra parte essendo i vincitori della guerra fredda non è credibile che gli americani non continuino a rivendicare il ruolo di leadership mondiale.
Da questa contraddizione si esce soltanto utilizzando il peso politico e militare acquisito sul piano delle relazioni economiche.
Gli esempi sono innumerevoli, a cominciare dalla guerra contro l’Irak che è stata fatta da tutto l’occidente ma che ha riaffermato il controllo Americano sulle aree strategiche di produzione del petrolio.
Le fonti energetiche sono infatti un nodo economico fondamentale che ha dimostrato il proprio peso nella crisi petrolifera del 1973 quando, con la collaborazione dei paesi arabi, il petrolio venne usato contro le economie Europee e Giapponesi che stavano liberandosi della tutela Americana.
Anche le trattative tra Palestinesi e Israeliani vedono solo la presenza USA perché nei processi politici del Medio Oriente nessuno deve rimettere in discussione l’egemonia attuale.
Anche la politica usata nei confronti della Jugoslavia e dei Balcani piuttosto che mirare alla pace sembra voler creare una situazione di instabilità permanente che limiti l’espansionismo economico tedesco e che costringa la Germania a dipendere dal punto di vista militare.
In questo senso la NATO è uno strumento di controllo stretto dell’Europa, affinché questa non si affranchi militarmente ed acquisisca una propria autonomia.
Lo scontro con la Francia prima sull’armamento nucleare e poi sulle forze congiunte Franco/Tedesche. è una ulteriore verifica di come si usa lo strumento militare per incidere direttamente sui processi sociali ed economici Europei.
Anche lo scontro con l’ONU fa parte della necessità di tenere sotto controllo non solo l’Europa e la Germania, ma tutto il mondo.
Tensioni in questo senso se ne sono viste in tutti gli scenari del mondo dove si sviluppano scontri armati, sia che questi si trovino in Africa o in Cambogia o in altre zone dove gli interessi dei centri imperialisti divergono.
Queste dinamiche però stanno innestando una situazione pericolosa che vede il moltiplicarsi dei conflitti armati nelle aree di crisi.
Infatti dalla fine della guerra fredda, contrariamente alle aspettative dell’aprirsi di una nuova epoca la guerra reale è divenuta una protagonista dei nostri giorni, non solo non si riescono a chiudere le vecchie situazioni di crisi ma se ne aprono delle nuove e più pericolose come quella della ex Jugoslavia o dei paesi dell’Est, inclusa l’area della ex URSS.
Queste crisi non sono determinate soltanto dagli interventi militari previsti “a tavolino” dalle grandi potenze ma anche da un degrado economico e sociale che investe tutta la periferia del sistema capitalista. Questo è infatti il risultato della estensione mondiale della logica del profitto e del mercato.
Questa tendenza entra direttamente in contraddizione con la situazione di non sviluppo del capitalismo a livello mondiale e pone gli USA di fronte ad una alternativa.
La prima possibilità è quella di ritrovare una egemonia attraverso uno sviluppo economico e sociale che allo stato sembra molto difficile realizzare. Dal punto di vista della nostra analisi non ci sono le condizioni oggettive affinché questo sviluppo ritrovi l’energia e la potenzialità dei decenni passati.
L’altra possibilità è quella di giocare la carta dello scontro economico ed anche militare diretto, cioè ribadire una egemonia mondiale basata sul controllo e non sullo sviluppo.
Questo nodo è probabilmente al fondo della dialettica politica americana che da una parte vede il Presidente Clinton tentare di seguire la prima soluzione, investendo nello sviluppo economico interno e dall’altra la proposizione di ipotesi più militariste e nazionaliste.
GERMANIA E GIAPPONE
Questi paesi nonostante la sconfitta della seconda guerra mondiale hanno di nuovo ritrovato un ruolo, per ora, di potenza regionale.
La crescita di questi due paesi, e quella dell’Europa, che già si era fatta sentire negli anni ‘70 si è potenzialmente moltiplicata con la fine dei paesi socialisti.
Infatti se è vero che il “merito” della vittoria va agli USA i vantaggi più diretti vanno a quei paesi che per condizione geografica sono più vicini; questo non solo in termini strettamente economici, con la mobilità mondiale dei capitali questo dato è relativo, ma anche geopolitici.
Dunque la Germania (l’Europa) ed il Giappone si trovano vicino ad aree di sviluppo, quali la Russia e la Cina, che hanno potenzialità talmente grandi da poter ribaltare i rapporti di forza economici con gli Stati Uniti.
D’altra parte il confronto tra i tre poli imperialisti sugli sbocchi di mercato e la competizione internazionale sono determinati dalla situazione reale, in particolare dallo scontro tra USA e Giappone a causa del deficit commerciale americano che aumenta sempre più.
Certo funzionano ancora gli strumenti di concertazione economica quali il GATT od il G7 ma le difficoltà a risolvere i problemi aumentano in modo evidente.
Questo conflitto ancora latente non si trasferisce sul piano militare, ma. anche a questo livello, alcuni segnali si cominciano a vedere.
La richiesta di Giappone e Germania di entrare nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, le spedizioni dei soldati di questi paesi da parte dell’ONU nei punti caldi del globo, le accuse al Giappone di accumulare materiale radioattivo adatto a costruire l’atomica ed altri episodi ancora dimostrano che l’egemonia militare Americana comincia a trovare opposizione nei gruppi dirigenti di questi paesi.
Certo modifiche in tempi brevi di questa tendenza non se ne vedono, ma il fatto che comincino a emergere queste tendenze in paesi, tra l’altro, con una potenzialità tecnologica avanzatissima, è un segnale molto chiaro.
IL RISORGERE DEL COLONIALISMO
Comunque in un mondo unipolare dal punto di vista militare e multipolare dal punto di vista economico, l’effetto concreto che si può immaginare è un incrudelirsi ai limiti massimi, della competizione economica con le conseguenti ricadute sociali e politiche anche nella “periferia” del Terzo Mondo e dell’Est.
La fine del socialismo ha segnato anche la fine per i paesi del Terzo Mondo di una prospettiva in cui i rapporti di forza non fossero solo a vantaggio dell’occidente e dei suoi alleati.
In questa fine secolo è morto il neo colonialismo ma sono ripresi il colonialismo storico e l’intervento armato unilaterale. La politica del controllo diretto e militare del territorio e delle risorse che dicevano ormai sepolto, è riemerso con forza.
La fine della contrapposizione tra Est ed Ovest che doveva chiudere i conflitti di quegli anni non solo non ha prodotto quei risultati ma ha aumentato a dismisura i conflitti e gli appetiti occidentali.
La Somalia, l’Iraq, le repubbliche ex Jugoslave e molti altri stati del Sud e dell’Est sono oggetto di una spartizione legata al controllo delle risorse, in primo luogo quella del petrolio, spartizione che per altro determina la forza strategica di cui ogni paese imperialista può disporre.
Vittima illustre di questa situazione è stata l’ONU che doveva essere il garante del nuovo ordine mondiale.
In realtà questa istituzione non conta più nulla (le liti del Segretario Generale B. Ghali con gli USA sulle politiche da seguire in Somalia, in Bosnia, in Israele e in Iraq e cioè su quasi tutti i problemi più scottanti, sono note) e può fare solo da paravento alle imprese dei paesi imperialisti.
Dunque queste saranno aree dove si mostrerà spesso, sotto la maschera del l’intervento umanitario, tutta la brutalità dell’economia di rapina, producendo miseria generalizzata e fame come già in parte sta accadendo.
Nonostante la drammaticità di queste contraddizioni e alcuni punti di resistenza politica e militare (come l’Iraq, l’Iran, la Libia e pochi altri, se si escludono i paesi che si dicono ancora socialisti) l’occidente si può permettere di controllare queste regioni con l’uso brutale di una tecnologia militare sempre più forte e micidiale. Infatti non essendo questi paesi né centri di produzione industriale né mercati di sbocco, se non in parte minima, dei prodotti occidentali, nulla impedisce l’uso della forza in modo illimitato e le vicende di ogni giorno sono lì a dimostrarcelo.
I PAESI EX SOCIALISTI E LA RUSSIA
Anche l’Est viene sgretolato dal meccanismo che si è messo in molo. Dopo la disgregazione dell’ex URSS, della Jugoslavia e anche della Cecoslovacchia, causata dai nazionalismi provocati dalla crisi economica e dall’intervento esterno , i paesi occidentali possono stabilire i loro possessi.
Alla Germania va la Slovenia, la Croazia, i paesi Baltici, la Cecoslovacchia, l’Ungheria; agli Stati Uniti la Bosnia, la Polonia. L’Italia con il solito imperialismo straccione si accontenta del controllo dell’Albania.
Quest’area del mondo ex socialista è oggetto di una spartizione in zone di influenza. di una feroce competizione e di uno scontro che genera conflitti armati.
L’Est europeo, a differenza dei paesi del Terzo Mondo, è particolarmente appetibile perché ha a disposizione forza lavoro qualificata ed a costi bassissimi, dunque è oggetto di una colonizzazione industriale funzionale non tanto a creare nuovi poli di sviluppo ma ad abbassare il costo del lavoro per essere competitivi nei mercati più sviluppati.
La parte del leone in questo contesto la sta facendo la Germania che dopo aver messo in crisi la CEE con la politica monetaria, si è lanciata in investimenti in tutto l’Est Europa; investimenti che si stanno trasformando in potere economico e controllo politico sugli stati in cui si interviene.
Insomma quello che non è stato raggiunto con la seconda guerra mondiale può essere oggi ottenuto con la penetrazione economica da effettuarsi anche nella Russia, cioè nello stato chiave per il controllo di tutta l’area dell’ex URSS.
In questa area l’obiettivo dell’occidente era quello di sviluppare la divisione e la balcanizzazione per poter sfruttare meglio le risorse e controllare i processi politici e sociali interni. L’operazione è stata già fatta verso gli altri paesi dell’ex Patto di Varsavia i quali hanno accettato tutte le politiche economiche del FMI ed hanno chiesto di entrare nella CEE e nella NATO.
In Russia dopo il ‘91 sembrava che questa linea passasse senza seri problemi attraverso il controllo operato da Eltsin per conto dell’occidente.
La devastazione economica, sociale, politica, culturale provocata da questa scelta alla fine ha messo in moto un meccanismo di reazione che ha portato ai fatti del 3 e 4 ottobre 1993 con il bombardamento del Parlamento Russo.
Quello scontro, nonostante la vittoria militare di Eltsin. ha messo in evidenza che 70 anni di storia socialista non sono passati inutilmente.
Infatti l’opposizione alla politica liberista non ha visto in piazza solo i comunisti ma anche settori sociali e politici che avevano combattuto il PCUS.
Il dato di fondo, il nocciolo duro, è che una società come quella sovietica che aveva raggiunto un livello di vita civile decente non poteva accettare la devastazione senza reagire.
Questo lo si è visto anche nelle elezioni del 12 dicembre 1993 che hanno determinato una sconfitta cocente per il Presidente russo.
Questa situazione però non porta necessariamente, purtroppo, ad un ritorno dei comunisti al potere.
Anzi è molto probabile che la risposta a questa situazione sarà di tipo nazionalistico, ed in prospettiva potrebbe essere anche di tipo imperialistico.
Questa situazione ha infatti determinato un blocco sociale di interessi, formato dagli esponenti dei grandi centri produttivi, settori consistenti di popolazione operaia impoverita dal liberismo, parti dello stato e dell’esercito, che sulla base della, sacrosanta, difesa degli interessi russi dalla rapina dell’occidente trovano una loro espressione ideologica e politica nell’affermare la nazione Russa.
I segnali in questo senso sono molti, da quello della ricostituzione dell’area economica della ex URSS, all’intervento nella Bosnia fino alle dichiarazioni sul Medio Oriente in relazione al conflitto Palestinese/Israeliano.
Su queste posizioni inoltre c’è una unanimità politica che va dai comunisti, ai nazionalisti fino ad Eltsin stesso. E’ chiaro che questo equilibrio non può durare molto ed i rischi che una tale situazione evolva verso l’affermazione di tendenze imperialiste o fasciste non si può escludere affatto.
Di fronte ad una situazione economica interna disastrosa e di fronte al blocco fatto dall’occidente verso i mercati esteri, lo stesso apparato del potere militare/economico e lo stesso Eltsin, potrebbero spingere verso questa soluzione.
Il tentativo di fermare la vendita di materiale militare all’estero ed il contingentamento imposto all’esportazione della tecnologia spaziale Russa dall’occidente, sono indice di una situazione di scontro pesante anche sul piano più strettamente economico.
In conclusione la Russia avendo accettato la logica del mercato ed essendo comunque una grande potenza, scende in campo con un potenziale militare e nucleare ridotto, rispetto all’URSS, ma sempre potente.
Questo fatto potrebbe mettere in crisi l’attuale egemonia militare americana in quanto, finito il ricatto del pericolo del comunismo, la Russia potrebbe sviluppare alleanze che metterebbero in seria discussione gli attuali equilibri strategici tra i vari paesi imperialisti.
CREDITS
Immagine in evidenza: Marines statunitensi impegnati nel rastrellamento di un villaggio vietnamita durante l’operazione Georgia nel 1966
Autore: Department of Defense. Department of the Navy. U.S. Marine Corps.; 5 maggio 1966
Licenza: public domain
Immagine originale ridimensionata e ritagliata