da Le ragioni dei comunisti oggi. Tra passato e futuro. Un contributo al dibattito
Nella parte sulla rappresentanza politica abbiamo cercato di delineare un blocco sociale, teorico, che è la base sulla quale ricostruire una forza politica di classe. Per far crescere questa forza però non basta solo la “politica”, infatti per i settori di classe conta la funzione concreta che si svolge rispetto ai problemi concreti.
Dunque è necessario affiancare al progetto politico ed alla analisi un programma di lotta e di organizzazione per affrontare materialmente i problemi che la classe vive qui ed oggi. Questo riguarda la necessità di ricostruire una “Rappresentanza sociale organizzata” che faccia riferimento al blocco sociale indicato, individuando correttamente i referenti e scegliendo le proposte, gli strumenti ed i progetti adeguati all’obiettivo che ci poniamo. Questo settore di intervento è fondamentale in quanto rappresenta il cemento, la base materiale, la possibilità di sviluppo dell’organizzazione politica oltre che il consolidamento e la “verifica” della rappresentanza politica reale.
In questo senso dobbiamo ricollegarci alla questione del rapporto di massa che abbiamo affrontato nelle pagine precedenti. Stabilita l’importanza di questo si tratta di capire quali proposte sono adeguate alla società che abbiamo di fronte. Abbiamo già citato la necessità in via teorica di aggiornare dialetticamente tali proposte alla realtà per non riprodurre modelli e schemi, giusti in una determinata fase storica, ma oggi completamente fuori tempo.
Ora si tratta, in base alla analisi sociale fatta, di entrare nel merito.
Schematicamente abbiamo individuato tre punti principali che sono la questione del sindacato, quella del precariato/disoccupazione, delle aree metropolitane.
Questi punti che sono la base per un blocco sociale antagonista non sono esaustivi e sono intrecciati tra loro nella realtà concreta, li abbiamo messi però in evidenza per sistematizzare il ragionamento e renderlo più concreto possibile.
IL SINDACATO
La questione centrale rispetto alla ricostruzione di una prospettiva politica è sicuramente quella del sindacato. E’ la questione di come si organizzano la classe operaia ed i lavoratori in genere in questo determinato momento storico. II dibattito su questo punto, e talvolta lo scontro, sono tra chi sostiene che bisogna stare dentro i sindacati storici, in particolare la CGIL, e chi invece ritiene necessario rafforzare la ricostruzione del sindacato di classe. In questo senso chi sostiene le mezze misure, ovvero che va bene stare dentro e fuori, dimostra subordinazione, una scarsa capacità strategica ed un tatticismo che alla lunga diviene controproducente.
Noi sosteniamo con chiarezza e con forza che bisogna stare fuori dalle confederazioni, anche se ci rendiamo conto che una dialettica esiste all’interno di queste organizzazioni e tra queste ed i lavoratori. In altre parole la rottura storica che si sta consumando non è, né poteva essere, netta ma è un processo che vede anche la tattica attuata dai vertici sindacali che in qualche modo incide sui tempi e sulle possibilità reali di sviluppo di una proposta alternativa. Basti citare l’esempio del movimento dei Consigli di fabbrica che in qualche modo è riuscito a riportare la contestazione che si era sviluppata nell’autunno del ‘92 all’interno di CGIL-CISL-UIL.
Dunque bisogna stare fuori per due motivi principali.
Il primo è che il controllo politico dei vertici sindacali è talmente pesante che impedisce ogni dialettica interna tra i settori “buoni” del sindacato ed i lavoratori. Anche il nuovo quadro legislativo che stanno preparando governo e CGIL-CISL- UIL, vedi RSU e legge sulla rappresentanza, impedirà ogni possibilità di incidere all’interno delle confederazioni. Inoltre vanno fatte alcune considerazioni e cioè che né siamo in una fase di accentuata lotta di classe dove i rapporti interni possono essere modificati, né esiste un Partito Comunista (questo ovviamente Io diciamo dal nostro punto di vista), che sia in grado di orientare strategicamente il lavoro dentro i sindacati.
L’altro motivo è più strutturale, e riteniamo anche più valido, e riguarda l’effettiva rappresentanza di CGIL-CISL-UIL. Se confrontiamo le dinamiche di trasformazione dell’apparato produttivo e della composizione del mondo del lavoro con la realtà sindacale organizzata balza agli occhi una contraddizione palese. Cioè mentre prende quota il decentramento produttivo, la polverizzazione dei nuclei operai, la precarizzazione del rapporto di lavoro, ecc. i sindacati sono composti per il 50% degli iscritti da pensionati, che contano elettoralmente ma non nello scontro sociale. Inoltre questi sindacati difendono di fatto solo i settori garantiti dallo sviluppo del mercato mentre lasciano gli altri lavoratori alla mercé dei progetti di ristrutturazione e dei licenziamenti.
La FIAT che ha deciso di trasformare la propria presenza nel settore auto, se non addirittura di abbandonarlo per avventure finanziarie più remunerative, licenzia migliaia di persone e smantella interi impianti produttivi senza che il sindacato si opponga. Dunque è difficile con questi aspetti della situazione, aspetti che si accentueranno sempre più, ritenere che CGIL-CISL-UIL siano sindacati dove è possibile tenere un rapporto con vasti settori di lavoratori. Non è possibile perché questi lavoratori sono fuori oggi da ogni tutela sindacale e perché i lavoratori attivi iscritti al sindacato diminuiscono di anno in anno. D’altra parte in una fase di stravolgimenti radicali non è fuori luogo pensare che le “rotture storiche” riguardino anche gli strumenti del movimento operaio ormai inadeguati alla realtà attuale.
In conclusione l’unica strada che vediamo è quella della ricostruzione del sindacato su una base indipendente e legata alla realtà effettiva del mondo del lavoro. Va detto che il problema che abbiamo di fronte è “Fare sindacato” cioè capire che questo nodo centrale non si scioglie teoricamente ma concretamente costruendo nello scontro quotidiano uno strumento di difesa reale degli interessi dei lavoratori. Da questo punto di vista le esperienze e le strutture sindacali esterne alle confederazioni nel nostro paese ci sono e si basano su quello che viene definito sindacalismo di base, autorganizzazione ecc. I limiti politici, di rappresentanza e quantitativi sono evidenti ma solamente in questa direzione è possibile far nascere di nuovo un sindacato di classe adeguato alla situazione attuale.
PRECARIATO/DISOCCUPAZ1ONE
La ricostruzione dell’organizzazione sindacale passa attraverso le categorie dell’industria, il pubblico impiego ed il terziario privato più in generale. Ma in tutti questi settori vicino alla figura del lavoratore con diritti stabiliti, anche sul piano dei diritti sindacali, ci sono settori di lavoratori e lavoratrici precari, part- time, con trattamenti diversificati (il salario d’ingresso, i contratti di formazione, ecc.) che vanno tutelati comunque.
Non solo ma questi settori diverranno sempre più vasti e sempre più deboli verso le controparti padronali. Infatti la precarietà e la disgregazione sono le caratteristiche fondamentali di questi lavoratori, impegnati soprattutto nel terziario pubblico e privato.
Dunque si pone la necessità di trovare un modello sindacale di difesa di questi settori che saranno la parte più consistente del mondo del lavoro. Perciò mentre per i lavoratori occupati esistono le categorie che sono il punto di organizzazione della difesa sindacale per questi nuovi tipi di lavoratori bisogna dare vita alle strutture sindacali territoriali.
Cioè accanto allo sviluppo “verticale” bisogna costruire strutture “orizzontali” sul territorio che riescano a coagulare gli interessi di questi lavoratori, a difenderli, a fare passaggi organizzativi per divenire sul territorio uno strumento di lotta e di difesa riconosciuto. In questo ambito di organizzazione sindacale territoriale va riportata anche la battaglia per l’occupazione e l’organizzazione dei disoccupati. Questo tipo di lotta e di interlocutore sociale è molto diversificato al proprio interno e nel territorio nazionale.
Il livello territoriale deve avere anche la possibilità di gestire la lotta dei disoccupati che inevitabilmente si manifesterà nelle situazioni dove questa contraddizione è più forte.
Il sud del nostro paese, le aree industriali in crisi sono i punti dove la presenza sindacale deve essere in grado di cogliere le spinte ed i movimenti sull’occupazione.
I problemi che si pongono per il sindacalismo di classe sono dunque di due tipi. Il primo è quello della indipendenza politica dagli apparati di potere riformisti, l’altro è quello di individuare il modello di organizzazione che rappresenti la realtà del mondo del lavoro così come si configura oggi nella sua articolazione e differenziazione. Anche in questo caso non si tratta di scelte teoriche ma di una capacità di agire praticamente.
In Italia le condizioni per orientare il sindacalismo “extraconfederale” su queste necessità ci sono e dunque in questo senso bisogna lavorare per vincere una sfida che ci ha lanciato il padronato.
AREE METROPOLITANE
Quelle del lavoro, del salario e del sindacato sono questioni centrali che assumono sempre più rilievo rispetto agli sviluppi della situazione economica. C’è nella nostra società un’altro punto di forte contraddizione ed è quello delle grandi aree metropolitane determinate dallo sviluppo di questi ultimi decenni. Infatti in queste aree si concentra sia il problema del reddito diretto, e della sua insufficienza, sia quello dell’intervento pubblico, ovvero del reddito indiretto, che lo stato dovrebbe fornire attraverso i servizi sociali dopo aver fatto i prelievi fiscali.
In realtà le tendenze di fondo dello sviluppo economico attuale stanno portando non solo alla riduzione del reddito diretto ma anche a quello del cosiddetto reddito indiretto. Questa riduzione si presenta in termini di intervento generale fatto dallo stato attraverso le sue politiche “antisociali”.
Dunque il taglio della spesa pubblica ed il conseguente peggioramento dei servizi ed aumento dei costi, il degrado delle città, le privatizzazioni, la politica fiscale sui redditi da lavoro dipendente, le tasse come l’ICI sulla prima casa, sono gli strumenti che generalizzano una condizione sociale. Condizione che trova nelle città il punto maggiore di sintesi, di espressione della contraddizione e di aggregazione.
Le aree metropolitane sono dunque un punto importante di intervento perché rappresentano una parte di quei blocco sociale al quale fare riferimento per costruire una politica di classe in Italia.Questo significa che la questione della casa, dei servizi sociali, della scuola e la condizione giovanile e delle donne ecc. non possono essere solo terreno di denuncia e di crescita del movimentismo che alla fine avvantaggia sempre le forze riformiste ed istituzionali.
Questi terreni devono divenire la base di organizzazioni stabili e nazionali e di una progettualità che sappia mettere radici profonde nella realtà sociale delle grandi città. Se sul piano sindacale di fronte alla degenerazione del sindacalismo storico si è cominciato a dare una risposta, limitata sul piano quantitativo ma estesa a tutto il mondo del lavoro e rappresentativa sul territorio nazionale, sulle questioni sociali questo processo di unificazione e di costruzione non è stato ancora avviato.
Quello del sociale sarà il terreno sul quale la trasformazione del ruolo dello stato e la sua subordinazione alle esigenze della borghesia nazionale ed europea si farà sentire in modo anche violento, producendo disperazione e ribellione come quella che si è avuta a Los Angeles negli USA, ma che è latente in tutte le metropoli dell’occidente capitalista. Non cogliere questa necessità di organizzazione significa rinunciare per i comunisti e la sinistra di classe a svolgere un ruolo di orientamento di una parte consistente della società italiana.
In ultima analisi significa indebolire la possibilità di costruzione dell’alternativa politica ai riformisti.
CREDITS
Immagine in evidenza: Hazelton coal miners
Autore: B.L. Singley, Keystone View Co., v circa
Licenza: public domain
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