da Le ragioni dei comunisti oggi. Tra passato e futuro. Un contributo al dibattito
In questo quadro generale va messa a fuoco la situazione italiana e dunque Europea perché non è più possibile distinguere nettamente i due ambiti in quanto l’Italia è sempre più dipendente dalla forza dei paesi esteri.
Il primo dato indicativo è che l’Europa progettata prima dell’89 non esiste più. L’apertura dei mercati ad Est ha trasformato la Germania da paese di confine ad oriente a centro dell’Europa continentale. Questo ha spinto i centri del potere finanziario tedesco in una corsa impetuosa verso Est, che aggiunta al forte impegno economico per l’intervento nella ex RDT, ha creato un polo trainante in Europa che ha determinato le passate crisi monetarie penalizzando tutti i paesi europei esclusi Germania e Benelux.
Questi sono i motivi strutturali che hanno messo in crisi il disegno di Maastricht e dato vita all’Europa a più velocità.
Questa pesante contraddizione sta marciando parallelamente alle operazioni USA per impedire il consolidamento della Forza economica Tedesca.
Le speculazioni finanziarie fatte in Europa negli anni ‘92/93 e l’atteggiamento aggressivo degli USA sulla questione della Bosnia e nei Balcani per creare instabilità nelle zone di sviluppo tedesco sono alcuni segnali molto chiari dello scontro latente che sta avvenendo in Europa.
L’Italia vive questa situazione ancora una volta in condizione subordinata e debole, e l’indebolimento della lira ed il passaggio nella cosiddetta “serie B” dell’economia ne sono una conferma.
Questa collocazione ha peraltro ben poche possibilità di essere modificata in quanto il ritardo italiano è strutturale e definitivo ed è determinato dallo scarso sviluppo sul piano tecnologico e dalla dipendenza dai mercati ricchi e cioè Germania e Stati Uniti.
Questo fa ancora una volta del basso costo del lavoro il punto su cui si può basare l’industria per rendere competitive le merci italiane.
Dunque ci troviamo di fronte ad un arretramento delle condizioni economiche del paese nel quale solo alcuni settori industriali o finanziari sostenuti tra l’altro direttamente dallo stato italiano potranno garantirsi uno spazio nel mercato, mentre il resto dell’economia e della società subirà un consistente peggioramento. Non si tratta di prevedere in modo poco credibile una miseria generale, ma una tendenza graduale e sistematica all’impoverimento di settori sociali e di classe sempre più consistenti.
Gli effetti di questa tendenza si cominciano a vedere già da ora con gli effetti delle politiche dei Governi Amato e Ciampi, il feroce attacco che viene fatto ai salari ed alla occupazione, le privatizzazioni che sono la traduzione in termini sociali della svolta di questi anni.
La necessità di togliere ogni garanzia di stabilità ai lavoratori si ottiene attraverso i licenziamenti, la delocalizzazione delle imprese, cioè la chiusura delle industrie ed il decentramento produttivo, lo sviluppo generalizzato del lavoro precario, il trasferimento degli impianti o all’estero verso l’Est o al Sud d’Italia.
Questo ultimo dato è indicativo in quanto lo spostamento di alcuni settori produttivi dal Nord al Sud per mantenere la competitività, è il risultato degli ingenti finanziamenti dello stato ai privati, ma soprattutto della necessità di utilizzare il basso costo della forza lavoro meridionale e della sua mobilità e licenziabilità.
Anche sul fronte del salario i segnali sono in sintonia piena con questo quadro generale.
La fine della scala mobile e degli automatismi, il blocco dei contratti, il salario per i giovani alla prima assunzione al 70% e molti altri esempi dimostrano come l’obiettivo è quello di restringere i redditi da lavoro a favore del capitale, in modo illimitatamente subordinato alle condizioni generali del mercato.
Ma il reddito da lavoro dipendente non è colpito solo nella produzione.; l’attacco viene anche attraverso la politica fiscale e tariffaria che, per riequilibrare il bilancio pubblico, colpisce ancora una volta i redditi certi lasciando quelli da capitale liberi da ogni imposizione fiscale vera e propria.
La questione del debito pubblico si riversa anche sui servizi sociali, i quali attraverso la privatizzazione, i tagli di bilancio e l’aumento delle tariffe mettono in moto i meccanismi che generano a loro volta distorsioni, sperequazioni sociali ed in ultima analisi concorrono a rafforzare la tendenza generale all’impoverimento.
E’ inutile entrare anche nel merito del vasto progetto di privatizzazione dei servizi, dell’industria di stato e delle banche pubbliche varato dagli ultimi governi per capire le conseguenze sociali che questo produrrà.
Infine, come cartina tornasole dei nostri ragionamenti sulla realtà della crisi economica e sul restringimento degli spazi finanziari abbiamo una guerra interna che si sta generando tra settori diversi di borghesia in lotta per difendere i propri interessi. Ci riferiamo anche allo scontro elettorale che ha visto contrapposti un blocco sociale reazionario e corporativo, che ha riconosciuto in Berlusconi il proprio leader, ed i settori della Borghesia integrati nello sviluppo imperialista Europeo.
In questo confronto emergerà comunque vincente la grande borghesia, con i grandi centri finanziari che stanno rimodellando l’Italia sociale e politica sulla base delle loro esigenze nel mercato.
Nel momento in cui non esiste più nessuna alternativa politica a questo sistema non esistono nemmeno più ostacoli ad uno scontro di classe determinato dai gruppi dominanti e dalle condizioni economiche generali verso il lavoro dipendente e la società.
Questo è un dato oggi incontestabile dal quale non si può prescindere nel valutare la durezza del conflitto sociale in atto, questa determinazione a modificare la società, nelle sue condizioni economiche e sociali, ad immagine e somiglianza del mercato è tale che non arriva solo a ridiscutere brutalmente la distribuzione della ricchezza a sfavore dei lavoratori e dei settori deboli della società ma rimette in discussione anche le norme stesse della gestione della società e della politica.
Dunque dalle contraddizioni economiche e sociali scaturisce direttamente l’ipotesi di un sistema politico dove la minore democrazia sia direttamente proporzionale alla minore ricchezza della società.
Assieme al vecchio sistema proporzionale, democratico per eccellenza, si vuole cancellare anche la rappresentanza dei settori sociali che saranno travolti dalla crisi economica.
A questi settori va tolta assolutamente la possibilità di trovare un punto di sintesi e di riferimento politico istituzionale in quanto questo potrebbe essere dirompente per un progetto che prevede il benessere economico solo per settori sempre più ristretti della società.
Le riforme istituzionali che si stanno preparando e che seguiranno quella elettorale, sono l’equivalente di quello che è accaduto in questi anni sul piano sindacale e sociale. Infatti i sindacati confederali di fronte alla crisi di rapporto con i lavoratori in questo decennio non hanno mai risposto “aprendosi” alle richieste di partecipazione ma hanno sempre più rafforzato il proprio ruolo istituzionale.
Le confederazioni hanno fatto questo perché hanno compreso che la loro forza, se volevano mantenere le posizioni di potere raggiunte, non si poteva più basare sulla rappresentatività dei lavoratori ma sul loro controllo.
Questi sono i motivi di fondo che hanno portato all’attuale sistema elettorale maggioritario con il quale ci si prepara a gestire una società dove riprende il conflitto di classe, in uno stato autoritario e con un segno di classe più marcato e totalizzante. E’ finita l’epoca in cui lo stato mediava i rapporti nella società, oggi la sua funzione è quella di sostenere decisamente e senza tentennamenti le logiche del mercato In questo senso va inteso non solo il ruolo politico e sociale dello stato ma anche quello militare.
Dunque le istituzioni che nasceranno dalle riforme e che daranno la rappresentanza politica solo ai ceti dominanti hanno anche la funzione di giustificare, promuovere e gestire le guerre utili allo sviluppo del nostro imperialismo per far ritrovare anche al nostro paese un “posto al sole”.
Le conseguenze sul piano sociale e per il mondo del lavoro non solo sono chiare dal punto di vista dell’analisi ma stanno mostrandosi attraverso la crisi occupazionale, il blocco dei salari, gli alti tassi di interesse, le privatizzazioni dei servizi sociali e della industria di stato, l’uso spregiudicato della leva fiscale per sanare il deficit; queste non sono operazioni contingenti ma modificano radicalmente i rapporti all’interno della società.
Si riproporrà una differenza tra le classi molto più visibile ed una modifica radicale della condizione generale.
La riforma sanitaria, previdenziale, la politica sulla casa, le modifiche degli orari di lavoro, in peggio, e della struttura dei redditi da lavoro dipendente avranno conseguenze che vanno analizzate a fondo per capire su quali assi si ricomporrà la protesta sociale.
Oltre a questa drammatizzazione, più o meno profonda, della situazione economica e sociale emerge il dato politico della crisi definitiva, dal punto di vista della rappresentanza dei lavoratori, del sindacalismo confederale (pur rimanendo questo una forte struttura di potere e di controllo).
Accanto a questa sono entrate in crisi, in seguito al deficit profondo del bilancio pubblico, a tangentopoli ed ai processi di ristrutturazione sociale anche le rappresentanze politiche storiche nel nostro paese.
Il settore dove in modo più evidente si manifestano questi processi sociali, è quello della grande industria attraverso centinaia di migliaia di licenziamenti, l’uso massiccio della cassa integrazione e delle liste di mobilità per operai e per impiegati, questi ultimi coinvolti sempre più nei processi di ristrutturazione.
Lo spostamento degli impianti produttivi all’estero ed al Sud, la precarietà del posto di lavoro ed il supersfruttamento sono gli elementi che determinano l’indebolimento strutturale della classe operaia e dei lavoratori dei grossi complessi industriali.
Anche il lavoro salariato più in generale subirà un peggioramento delle proprie condizioni di reddito e di vita. Infatti il lavoro precario è l’unico sbocco occupazionale per settori consistenti di giovani e di meno giovani.
Questa precarietà viene addirittura esaltata dalla ideologia dominante che dietro il paravento della professionalità, della carriera, della mobilità sociale copre la realtà di bassi salari e di sfruttamento sia nel settore industriale che nel terziario.
Le grandi città con gli enormi problemi del degrado dei servizi sociali e del loro costo, della casa, della condizione dei settori sociali più deboli quali i giovani, le donne ecc. sono un’altro punto di espressione delle contraddizioni che questa condizione generale sta determinando.
Anche il Sud, sempre più lontano dallo sviluppo economico e con una disoccupazione storica che si aggrava di anno in anno, fa parte di un quadro dove la condizione della classe è segnata dall’impoverimento.
Questi sono i soggetti ed i settori sociali che subiranno pesantemente le conseguenze di una economia ormai legata a logiche internazionali e che, per sostenerle, deve ignorare le conseguenze che essa stessa genera.
Non possiamo dire se questi settori siano il nocciolo di un blocco sociale alternativo ma sicuramente sono quelli che comunque in qualche modo dovranno rispondere all’attacco che gli verrà fatto.
Questo non significa certo che da qui a poco tempo avremo movimenti estesi di lotta, viste le condizioni politiche generali, ma le parti significative e più coscienti possono avviare, processi di organizzazione indipendente come espressione sul terreno sociale di una ritrovata autonomia di classe.
Ed è proprio l’autonomia di classe il fatto centrale che può riemergere con forza in questa condizione.
L’espressione dell’autonomia, politica e di lotta, dei lavoratori si è spenta con la sconfitta subita dal movimento operaio alla fine degli anni ’70 e con il successivo sviluppo economico dell’Italia durato fino alla fine degli anni ‘80.
In tutti questi anni sono mancate le condizioni oggettive e soggettive affinché i lavoratori, o solo parte di essi, esprimessero in modo chiaro e di massa una posizione veramente indipendente e alternativa.
Con l’inversione della tendenza generale sul piano economico si stanno ricreando gli spazi obiettivi affinché questa autonomia si riesprima in modo chiaro.
Certo l’autonomia che si esprime ora è l’autonomia resa possibile dalle condizioni concrete e non l’autonomia ideologica che vola verso il comunismo.
E’ l’autonomia che si esprime di fronte ai pesanti meccanismi economici che producono licenziamenti, sfruttamento e degrado sociale.
E’ l’autonomia che si esprime nei confronti del sindacalismo storico e dei partiti della sinistra quando cercano di convincere i lavoratori a sacrificarsi ancora una volta.
Questa autonomia può essere anche la base concreta che modifica i riferimenti politici e culturali di settori più o meno vasti di lavoratori.
Una cosa però emerge con evidenza ed è che la necessità di una visione autonoma dal punto di vista dei lavoratori non è oggi una necessità ideologica ma viene imposta dalla situazione obiettiva.
Dunque un processo di riorganizzazione dei lavoratori e dei loro strumenti di difesa nelle condizioni attuali non può prescindere da questo dato di fondo; in questo senso perciò bisogna orientare sia le grandi battaglie sul piano sindacale e sociale, sia la rappresentazione politica della quale queste stesse battaglie hanno bisogno. Dunque l’autonomia di classe possibile e reale come riferimento di una ricomposizione politica ed organizzativa più vasta del movimento dei lavoratori.
Accanto all’individuazione di questo dato, strutturale tanto quanto le tendenze dell’economia, va rapportato però un progetto concreto e credibile se si vuole dare materialità al dato politico.
Anche sul piano sociale e territoriale è possibile esprimere un progetto più ampio di organizzazione dei lavoratori.
Anzi questo settore è quello che è ancora più suscettibile di sviluppi rispetto alle scelte economiche del governo.
Dunque anche qui trovare i punti organizzabili che vengono prodotti dalla nuova condizione sociale e trovare anche i modelli di organizzazione stabile e generalizzabile che permettano di non disperdere le energie politiche ed organizzative che nascono dai movimenti di lotta, comunque transitori.
L’emergere di questa contraddizione di fondo ci deve spingere senza indugi a cogliere i risultati politici ed organizzativi di una situazione in piena evoluzione.
CREDITS
Immagine in evidenza: Protesta contro i licenziamenti alla Faser AG di Premnitz (ex Germania est)
Autore: Peer Grimm; 10 dicembre 1990
Licenza: Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Germany
Immagine originale ridimensionata e ritagliata