Editoriale
Contropiano Anno 5 n° 4 – 15 ottobre 1997
Da alcuni anni si sta manifestando con sempre più forza la ripresa della socialdemocrazia a livello internazionale.
L’onda è cominciata negli Stati Uniti, anche se, in questo caso, si tratta del Partito Democratico di Clinton. Dopo essersi consolidata laggiù in forma liberal, ha cominciato ad affermarsi in quasi tutta l’Europa. Di fatto tra i paesi che contano, rimane fuori per ora solo la Germania.
Questa affermazione della socialdemocrazia è avvenuta in modo inaspettato. Infatti, dopo la vittoria del reaganismo negli anni ‘80, la caduta del Muro di Berlino e la crisi del movimento operaio storico, sembrava facile scommettere silla vittoria di una destra agguerrita e reazionaria. L’elezione di Berlusconi nel marzo‘94 aveva assunto, nell’immaginario collettivo della sinistra variamente collocata nel nostro paese, questo significato. Ma quell’affermazione politica, in realtà si fondava su motivi strutturali precisi che vanno ben compresi per capire gli scenari prossimi venturi. Innanzitutto va riconosciuto alla borghesia finanziaria internazionale ed ai veri centri del potere mondiale, una capacità di cogliere bene le necessità oggettive e di aver saputo controllare fino ad oggi (sul futuro non c’è da scommetterci) i propri “spiriti animali”.
Storicamente, le forze socialdemocratiche sono state utilizzate nei momenti di forte scontro sociale ed anche nei momenti rivoluzionari per fermare l’offensiva dei lavoratori. Questo è avvenuto fino agli anni ‘70 cioè fino all’ultima ondata rivoluzionaria internazionale.
Dopo l’89 si pensava che “per rimettere le cose a posto” ci volesse una destra forte ed autoritaria. In realtà le cose erano più complesse: si trattava in primo luogo, non di “rimettere semplicemente le cose al loro posto” ma di distruggere le conquiste di un secolo di lotte e diritti sociali acquisiti. In secondo luogo, la destra non certo quella fascista era stata in qualche modo logorata dalle politiche antipopolari sostenute negli anni ‘80 e dunque inutilizzabile. Inoltre, in questo caso non si trattava dell’ex Terzo Mondo né degli ex paesi socialisti ma dei paesi che rappresentano il “cuore” del modello capitalista, le “cittadelle dell’imperialismo” di questo secolo.
A questo punto è apparso chiaro come un processo di impoverimento generale della società dovesse essere gestito nel modo meno traumatico possibile proprio da quelle forze moderate che erano nate dal movimento operaio del Novecento; dunque dai socialdemocratici e da tutte le organizzazioni o partiti nati dallo sfascio della sinistra nell’89.
Parallelamente, rispetto a questa necessità di gestione sociale della crisi, andava emergendo una destra con una funzione ben diversa da quella avuta nel corso del XX Secolo. Questa “destra” si è andata separando dalle componenti più avanzate del capitale finanziario, mantenendo ad esempio una dimensione ideologica e culturale di tipo nazionale in aperto contrasto con l’attuale dinamica dell’economia internazionalizzata o “globalizzata” che si rivela assai più vicina alla visione internazionale della socialdemocrazia. La necessità di gestire in modo non traumatico l’impoverimento delle società occidentali, richiedeva un radicamento ed una capacità di controllo sociale che la destra non possedeva, in quanto essa era strutturata nei centri di potere nazionali estranei di fatto ai settori sociali che pure controllava politicamente.
Sono dunque svariati i motivi per cui l’attuale destra si presenta oggi e non solo in Italia come una contraddizione interna dell’attuale sviluppo capitalista. Una contraddizione che produce uno scontro tra le nuove forme dell’accumulazione capitalista ed i vecchi strumenti da questa oggi abbandonati.
Contemporaneamente si rendeva disponibile sul mercato una “nuova” sinistra che dopo aver introiettato la sconfitta storica del movimento operaio, metteva a disposizione dei vincenti il proprio bagaglio culturale, i propri strumenti di penetrazione e controllo sociale (sindacati, cooperative, associazioni etc.) ma soprattutto metteva a disposizione la propria credibilità di “difensore degli oppressi”.
A questo punto il matrimonio tra capitale finanziario e sinistra occidentale è diventato così conveniente per le parti contraenti (con lo scambio tra controllo sociale e legittimazione politica) da poter essere esteso in tutti i paesi a capitalismo avanzato (Gran Bretagna, Francia, Italia) e forse per un periodo neanche tanto breve.
Ovviamente non è difficile prevedere le anche condizioni del “futuro divorzio” ovvero quando la capacità di controllo sociale sarà logorata dall’impoverimento della società e dalle contraddizioni di classe. Presumiamo che a quel punto sarà nuovamente in gioco una destra riqualificata e moderna pronta a raccogliere il malcontento e poter continuare a garantire lo sfruttamento capitalista.
A questa analisi, è necessario affiancare un altro elemento, secondario sul piano strutturale, ma di primaria importanza sul piano della soggettività di classe. I socialdemocratici moderni, infatti, non si stanno limitando ad una mera funzione di controllo, ma stanno anzi sviluppando, articolando e rappresentando anche una “utopia socialdemocratica”.
Tale utopia ci appare molto pericolosa e pervasiva. Basandosi sulla necessità di moderare gli aspetti più negativi dell’unica società ritenuta possibile quella capitalista essa rappresenta in modo intelligente e con spessore culturale (anche grazie al servilismo di molti intellettuali) questa funzione.
Essa ci parla della miracolosa qualità dello sviluppo, della necessità progressista della limitazione del ruolo dello Stato, della costruzione del no profit come risposta qualificante alla povertà e all’impegno giovanile, della concordia tra i cittadini, le religioni e i popoli del mondo, della scuola e della formazione come frontiere più avanzate.Insomma una sorta di “paradiso terrestre” di cui non ci siamo accorti e che certo presenta qualche problema, ma che ormai si sta costruendo un futuro radioso e tecnologizzato tutto computer e democrazia.
Questa visione progressiva del mondo poichè è costruita con intelligenza e non presenta alternative visibili e credibili, sta producendo una forte egemonia in tutta la sinistra, inclusa quella che si è definita per anni “antagonista” e compresa Rifondazione Comunista.
Pezzi significativi di questa egemonia ideologica socialdemocratica, si vedono chiaramente quanto si parla non più di internazionalismo ma di solidarismo internazionale (magari per la Bosnia); quando le rivolte della periferia imperialista vengono idealizzate e svuotate (vedi Marcos e il Chiapas o il Che Guevara ormai ridotto a gadget); quando si parla di cooperazione sociale e di no profit ; quando la chiesa cattolica sempre più reazionaria viene accettata passivamente da tutti, nessuno escluso, come interlocutore naturale; quando di fronte alla necessità della chiarezza e delle scelte si preferisce quella dell’unanimismo a tutti i costi (vedi le reazioni alla fugace crisi di governo).
Dunque la socialdemocrazia è oggi più che mai come diceva una lungimirante canzone di Claudio Lolli “il nemico che marcia alla nostra testa” e che per essere battuto non necessita solo della ripresa del conflitto di classe ma anche di una ideologia, di una cultura, di un punto di vista soggettivo della classe capace a sua volta di produrre una capacità egemonica uguale e contraria a quella socialdemocratica e, in ultima analisi, a quella di una borghesia moderna ed evoluta.