in Contropiano numero 0 – 2 Aprile 1993
Ovvero come andare dalla CGIL alla CGIL passando per la crisi confederale dell’autunno, la manifestazione del 27 febbraio fino allo sciopero farsa del 2 aprile indetto da CGIL CISL UIL
Dopo l’abrogazione della scala mobile, che è l’aspetto più eclatante degli accordi del 10 dicembre 1991 e del 31 luglio 1992, e lo stillicidio di decreti del governo Amato, si è sviluppato un vasto movimento di protesta dei lavoratori che ha infiammato le piazze nello scorso autunno. Accanto all’opposizione alle manovre antipopolari del governo e di Confindustria, si è acuita l’insofferenza verso il monopolio sindacale di CGIL, CISL, UIL. Milioni di lavoratori hanno reso evidente un dissenso radicale nei confronti della politica neo-corporativa dei sindacati di stato. Il bullone è diventato il simbolo della rivolta operaia.
La data del 2 ottobre 1992 segna uno spartiacque nella storia sindacale del nostro paese: il sindacalismo di base e le altre realtà dell’autorganizzazione, raccogliendo una parola d’ordine ormai onnipresente nelle assemblee dei lavoratori e nelle piazze indicano per questa data uno sciopero generale con manifestazione a Roma nel pomeriggio; successivamente, anche CGIL CISL UIL indicono per lo stesso giorno uno sciopero nazionale del pubblico impiego, facendovi confluire lo sciopero regionale del Lazio, e organizzano una manifestazione per la mattinata. Succede che, mentre al mattino il servizio d’ordine di CGILCISL UIL e le forze di polizia attuano una repressione selvaggia di ogni minima forza di dissenso (arrivando a manganellare studenti ed insegnanti inermi), nel pomeriggio, una pacifica manifestazione di 50.000 lavoratori rende visibile la diffusione ed il radicamento sociale del movimento sindacale di base.
Il 2 ottobre sancisce la più grave crisi di rappresentanza di CGIL CISL UIL e al tempo stesso l’emergere di un nuovo soggetto sindacale.
Pochi giorni dopo, si svolge a Milano la prima assemblea autoconvocata dei consigli unitari dei delegati CGIL, CISL, UIL: la critica all’accordo del 31 luglio e alla mancanza di democrazia sindacale, la richiesta di uno sciopero generale contro il governo, il ripristino della scala mobile, sono le parole d’ordine che emergono con maggior forza. I consigli costituiscono un coordinamento nazionale e aderiscono allo sciopero dei chimici del 29 ottobre (inaugurando la fantasiosa pratica dello “sciopero generalizzato”).
Immediate le reazioni negative di CISL, UIL e della componente socialista della CGIL.
Al contrario, i consigli vengono appoggiati con grande enfasi dalla corrente di sinistra della CGIL che fa capo a Bertinotti e da quella di centro-sinistra che fa capo a Pizzinato; Trentin si mantiene su una posizione più interlocutoria, fra l’appoggio ad alcune iniziative e la critica ad alcune posizioni. Dopo varie assemblee nazionali, i consigli concentrano la loro iniziativa sul problema della democrazia sindacale: viene messo in discussione l’articolo 19 dello statuto dei lavoratori, quello che concede il monopolio della rappresentanza ai sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale ed ai sindacati firmatari di contratti.
Da qui la presentazione di un referendum per l’abrogazione parziale dell’articolo 19 relativa al comma che garantisce il monopolio ai sindacati “maggiormente rappresentativi” e l’annuncio della presentazione di una legge di iniziativa popolare sulla rappresentanza sindacale. Si arriva così dopo qualche mese di sostanziale inattività alla manifestazione nazionale del 27 Febbraio 1993, indetta dai consigli, con l’adesione di PDS, Rifondazione Comunista, Rete; Verdi e diverse altre realtà della sinistra: 300.000 persone scendono in piazza con una forte combattività, esprimendo un radicalismo che travalica le stesse posizioni degli organizzatori, tant’è che anche in questa occasione non mancano contestazioni verso il palco degli oratori, anche se in tono minore rispetto alle manifestazioni ufficiali di CGIL, CISL, UIL.
Siamo dunque di fronte ad una nuova espressione del movimento operaio, che contesta le burocrazie sindacali e promuove un profondo rinnovamento del sindacato in senso democratico e classista? Una risposta affermativa a questa domanda suscita profonde perplessità.
Anzitutto, i consigli non sono certo quello specchio di democrazia che pretendono di essere (e che la sinistra accredita): le elezioni per il rinnovo dei delegati non avvengono da molti anni, è egemone il metodo della cooptazione sulla base delle correnti partitocratiche interne alle confederazioni. A riprova di questa forma “blindata” di democrazia, sta la intransigente chiusura dei consigli nei confronti dei sindacati di base, cui è stata negata ogni legittimità, nella più ossequiosa fedeltà a CGIL, CISL, UIL.
La stessa vicenda del referendum sull’articolo 19 è indicativa: i consigli hanno sempre affermato che non vogliono arrivare ad un referendum, ma ad una legge di iniziativa popolare sulla rappresentanza, parlano nel contempo di raccogliere firme su due quesiti in palese contraddizione tra di loro (uno che abroga tutto l’articolo ed uno che lo abroga solo in parte). Sembra che si voglia creare solo confusione su una materia già di per se parecchio complessa ed estranea alle esigenze delle masse per concedere il solito “kindergarden” dove i settori più combattivi e politicizzati possano sfogare il loro protagonismo, mentre si separano sempre più marcatamente dai lavoratori, facilitando il recupero del consenso perduto da parte di CGIL, CISL, UIL.
Quasi inutile ricordare che anche sul terreno referendario, i consigli hanno rifiutato ogni dialogo reale con i sindacati di base.
Alcuni precedenti, nell’ultimo decennio, offrono illuminanti analogie con l’attuale movimento dei consigli: dagli “autoconvocati” della prima metà degli anni ’80, alla componente di “democrazia consiliare” nella CGIL, passando per la sconfitta del referendum sulla scala mobile, alla corrente di minoranza della CGIL di “essere sindacato”, ai “comitati per la difesa della scala mobile” dopo l’accordo del 10 dicembre 1991. Assistiamo alla proteiforme parabola di un settore di funzionariato sindacale, per lo più di livello intermedio e con forti ambizioni di carriera, tutto intento a mantenere all’interno dei sindacati di stato quei settori di lavoratori che esprimono un alto livello di radicalità rivendicativa, e che quindi sono più propensi ad aderire agli organismi sindacali di base.
Che anche questa volta gli “autoconvocati” siano lo strumento per trattenere il dissenso nell’ambito del sindacalismo confederale lo dimostra la pronta adesione dei “consigli” allo sciopero farsa del 2 aprile indetto da CGIL, CISL, UIL, sciopero convocato di fatto a sostegno del governo Amato in quanto è stato ripetutamente dichiarato che questa iniziativa non è stata indetta contro il governo che invece è un interlocutore insostituibile in un momento come l’attuale. Alla vicenda dei consigli di fabbrica va data anche una lettura politica tutta interna alla dialettica tra il PDS e Rifondazione.
Infatti sono due le operazioni che sono state giocate su questa vicenda; la prima è quella del PDS che partecipando alla manifestazione del 27 febbraio ha cercato di ricostruirsi una facciata di opposizione al governo Amato e di dare credibilità al governo di svolta che si appresta a fare dopo i referendum del 18 aprile.
L’altra operazione è quella che si sta giocando l’asse politico che va dagli ex PDUP e Garavini in Rifondazione Comunista fino ai Comunisti Democratici di Ingrao, passando per Bertinotti ed il Manifesto, che cerca di ricostruire l’area politica del vecchio PCI in nuove forme e magari aggregando parte dei Verdi e la Rete, a nostro avviso irreversibilmente spezzata dalla politica e superata dalla storia.
In conclusione emerge che queste operazioni che la nostra sinistra storica mette periodicamente in piedi sono sempre più deboli ed hanno sempre meno respiro.
Dunque non è affatto inutile ribadire che per rafforzare il movimento e l’autonomia dei lavoratori è necessario praticare una linea rivendicativa strettamente aderente alle esigenze della difesa delle condizioni di vita dei lavoratori, attestandosi sugli obiettivi praticabili e lottando con tenacia, rimarcando ad ogni livello, da quello più strettamente organizzativo a quello di “immagine pubblica”, la propria diversità da CGIL CISL UIL, dalle loro correnti e dai loro padrini politici.
CREDITS
Immagine in evidenza: La stampa Mercoledì 23 Settembre 1992 prima pagina