Franco Russo (in “Il vicolo cieco del capitale”)
Per affrontare il tema in questione è opportuno – a mio avviso – considerare tre punti.
Innanzitutto la famosa definizione di Marx, secondo cui il denaro, cioè la misura vera del valore, si ha semplicemente negli scambi mondiali. Questo, ovviamente, come risposta a chi invece lo intende all’interno di un quadro istituzionale, nazionale o statale, o come ‘velo’ che copre gli scambi; quasi fosse un punto inessenziale. Quando si sta, invece, sul mercato internazionale – sostiene Marx – bisogna scambiare ‘valore’.
Possediamo, così, una chiave di lettura che ci aiuta a comprendere cos’è denaro oggi, poiché non c’è più ancoraggio all’oro e al dollaro (nell’epoca globalizzata e dopo l’inconvertibilità del dollaro del 1972), ma anche la competizione tra aree monetarie. Dal 1971, infatti, è possibile datare lo scoppio dei cosiddetti ‘derivati’. Da qui, dunque, anche il problema della mancanza di liquidità.
Il secondo punto, invece, è: come ha risposto l’Unione Europea? Alla risposta statunitense in forma di dominio mondiale, abbiamo assistito (in Europa) a più tentativi: il cosiddetto ‘serpente’ che tenta di fissare i saggi di convertibilità delle monete attorno al 2,25%, nasce il sistema monetario europeo e così, dal 1970, l’Europa ha tentato di dotarsi di una propria valuta e di costruire un’area monetaria; sino al rapporto Delhors che lancia l’idea di un mercato e, dunque, di una moneta unica. Nel 1992, con il Trattato di Mastricht, questo percorso ha la sua attuazione.
Viene a mancare, però, l’altra grande gamba del mercato unico (una è il superamento o integrazione dei mercati): manca la banca centrale, cioè l’unione fiscale; questa è ancora la fase che stiamo attraversando.
La terza questione è, appunto, ciò che manca all’Unione Europea affinché l’area monetaria possa competere con il dollaro e lo yen.
Ma, allora, tornando indietro: perché sono esplosi i derivati? Ovviamente non sono un’invenzione contemporanea, sono coevi all’intero sviluppo del capitalismo ma, dopo che viene a mancare l’unità di misura del valore sul mercato mondiale perché entrano in competizione le diverse monete come espressione di misura, esplodono i derivati. È molto utile la tesi che fa risalire l’esplosione dei derivati alla creazione di una moneta globale al di fuori delle monete degli stati nazionali. Nel momento, cioè, in cui si va incontro a un’incertezza nel cambio delle monete, nella valutazione della misura di valore, c’è un rischio permanente e così il rischio viene quantificato attraverso i derivati che innescano processi speculativi. Non si valutano più solo complessivamente gli investimenti, ma addirittura parte di essi che sono così valutati e confrontati gli uni con gli altri. Vi è quindi un’intensificazione della misurazione capitalistica della valorizzazione del capitale. Ogni forma di capitale può essere dunque convertita in un’altra forma d’investimento, confrontandolo istantaneamente. E quindi, per questo motivo, i derivati possono svolgere una funzione sostitutiva della moneta globale. Governare il rischio, “dargli un prezzo” sul mercato. Il grande sogno del capitalismo. Se è vero che i derivati sono in grado di prezzare un investimento, e così da confrontarlo con un altro allora i derivati sono parte integrante e speculativa della valorizzazione del capitale.
Se è vero che l’Europa ha tentato (e c’è riuscita), costruendo la moneta unica, di competere col dollaro e con lo yen, è anche vero però che non è stata in grado di dotarsi degli strumenti adatti per la gestione politica ma anche economica della moneta: perché è naturale che si dovesse creare una simmetria fra la gestione della moneta e la gestione dei bilanci. Inoltre, una delle caratteristiche fondamentali della globalizzazione capitalistica della nostra epoca, è che oggi non è più la moneta al servizio dei bilanci pubblici ma, al contrario, sono i bilanci pubblici al servizio della moneta. Questo, ovviamente, rovescia la gerarchia degli obiettivi delle classi dirigenti. Quest’esigenza di avere stabilità nella misura del valore porta a controllare anche le politiche di bilancio: ed è quello che è stato fatto ultimamente. Il dibattito in corso, anche a sinistra, verte sulla possibilità di una moneta senza Stati nazionali.
È possibile un ordine economico capitalistico al di là degli stati? È probabilmente quello che sta accadendo. L’Unione europea, infatti, sfugge a queste configurazioni tradizionali. La storia sta mostrando che l’ordine capitalistico ha la supremazia sull’ordine politico statale per quanto sia nato all’interno degli stati nazionali. Lo sviluppo del capitalismo può avvenire non organizzandosi più attraverso istituzioni tradizionalmente politiche, bensì attraverso forme di governo non più confinate con gli stati nazionali, ma integrandosi con banche centrali, tecnocrazie e grandi corporations. Non c’è ancora un nome, ma sono forme di governance che caratterizzano un imperium oeconomicum.
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Immagine in evidenza: Euro.
Autore: Immo Wegmann; 14 febbraio 2019
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