Leonidas Vatikiotis (in “Il vicolo cieco del capitale”)
L’attuale crisi dell’Eurozona corre in parallelo con la rivelazione del suo intrinseco carattere classista. In tale contesto non esiste una soluzione a favore degli interessi della classe lavoratrice nell’Eurozona. Le soluzioni proposte incrementano le contraddizioni ed i costi sociali senza garantire il miglioramento dei livelli di vita della maggioranza delle persone. Dall’altro lato, ogni tentativo di superare l’Eurozona e la UE (con la formazione di ALIAS e Libera come descrivono Vasapollo, Martufi e Arriola o con il ritorno alle monete nazionali) dovrebbe avere come precondizione l’attuazione di una politica coerente e radicale contro gli interessi del capitale ed a favore della classe lavoratrice.
La creazione dell’euro, un decennio fa, fu il punto d’arrivo e la ricompensa di un lungo processo di unificazione iniziato nei primi anni del dopoguerra. Ad un primo sguardo il suo intendimento era la promozione di una regolazione pacifica di economie profondamente competitive e di contraddizioni nazionali. In realtà tentò di risolvere tre tipi differenti di competizione: tra stati rivali, contro i competitori esterni, soprattutto gli Stati Uniti, e, la più importante, contro la classe lavoratrice. L’attuale crisi dell’eurozona (che è prima di tutto una crisi capitalista) segna un bilanciamento di forze molto speciale e senza precedenti in ognuna di queste tre guerre.
Nella Guerra più seria, contro gli interessi della classe lavoratrice, Bruxelles e Francoforte hanno ottenuto fino ad ora un colpo dal significato storico ai diritti del lavoro. Guardando gli announement dell’Eurostat sul costo del lavoro possiamo vedere che dopo il 2010 ci sono tre eccezioni alla tendenza alla crescita del costo del lavoro: Grecia, Irlanda e Portogallo, i Paesi che fino ad ora hanno accettato i termini del Protocollo d’intesa che accompagna i piani di salvataggio. Possiamo immaginare che cosa accadrà presto in Spagna e a Cipro se seguiranno l’esempio di quei tre Paesi o che cosa accadrà all’Italia dopo pochi mesi. Tra molti altri esempi, che rivelano gli stringenti interessi di classe che servono i cosiddetti “meccanismi di salvataggio”, io distinguo il piano di privatizzazioni. Ciò che sta accadendo ora in Grecia potrebbe essere comparato solo a quello che è successo in Russia all’inizio degli anni ‘90. La vendita dell’intera sanità pubblica: non solo le utility dell’energia e dell’acqua, ma anche il territorio, le montagne, le isole, senza neanche prendere in considerazione le lezioni che il neoliberismo ha ottenuto da quest’esperienza [1]!
Alla radice di questa politica barbara, che provocherà molta più povertà, sia assoluta sia relativa, alle persone, c’è una caratteristica di lungo termine, strategica, del capitalismo contemporaneo. Ernest Mandel [2] e Werner Bonefeld [3], con molto successo, avevano affermato che la formazione dell’Ue era la risposta del capitalismo europeo allo sviluppo delle forze produttive. Forse negli anni ‘60 e anche nel decennio successivo l’Ue ha contribuito positivamente allo sviluppo delle forze produttive. Ma oggi l’UE non solo frappone ostacoli a questa tendenza progressiva (questo dimostra le enormi possibilità rivoluzionarie della nostra epoca), ma amputa violentemente tale dinamica. Così l’UE, chiedendo tagli alla spesa sociale, riduzioni dei salari e privatizzazioni, serve gli interessi del capitale contro la missione liberatrice della classe lavoratrice.
In questo contesto, come tendenza di lungo periodo non casuale o facilmente reversibile, dovremmo considerare molti altri sviluppi negativi dell’ultimo periodo, come i colpi di stato costituzionali registrati in Grecia ed in Italia a novembre, con la nomina di due banchieri alla guida dei governi. È ovvio che l’Ue non possa più essere vista come il garante delle libertà democratiche come molte persone credevano, specialmente nei Paesi che negli anni ‘70 furono guidati da regimi militari.
La creazione dell’euro è stata un passo decisivo nella competizione intra-capitalista internazionale. Il marco tedesco era inadeguato, “troppo piccolo per vincere” la guerra contro il dollaro Usa. L’euro nel decennio scorso ha prodotto una vittoria in questa battaglia a favore del capitale tedesco, non solo finanziario, ma anche manifatturiero. Un ruolo cruciale a favore dell’euro in questa guerra monetaria lo ha giocato il suo tasso di cambio. Il suo tasso di cambio sopravvalutato e non competitivo ha favorito i gestori di investimenti a sostituire dollari con una moneta che prometteva ancora maggiori guadagni.
Dall’altro lato la maggior parte dei Paesi della periferia dell’eurozona, a causa di questo tasso di cambio, hanno sofferto una deindustrializzazione che ha significato la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro.
La supremazia della moneta comune (rispetto al marco e, oggi, al dollaro Usa) non può essere vista separatamente dalla perdita dell’indipendenza monetaria, e soprattutto dell’arma della svalutazione, da parte dei Paesi europei, in particolare Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia e Grecia. Proprio i Paesi che oggi sono all’orlo del collasso e in alcuni casi anche oltre. La fine di oggi era prevedibile se dieci anni fa ci fossimo posti le seguenti domande: che cosa accadrà ad un Paese abituato a svalutare la propria moneta ogni decennio ad un tasso del 10-15% quando questo Paese vedrà la propria moneta apprezzata del 70% rispetto al dollaro nell’arco di dieci anni? È ciò che è accaduto alla Grecia, all’Irlanda, al Portogallo, eccetera. Tutte le altre spiegazioni della crisi che accusano la generosità dello stato sociale o il costoso settore pubblico in Europa meridionale sono ridicole.
Da un altro punto di vista, la crisi del debito sovrano dei Paesi periferici dell’Eurozona è il sacrificio, il costo che gli europei hanno pagato nel contesto della Guerra monetaria tra USA ed UE o, in termini reali, tra il dollaro Usa e l’euro. La Germania non avrebbe mai potuto partecipare a questa guerra senza l’aiuto dell’euro. Così, i vantaggi ottenuti dalla Germania grazie all’eurozona non sono solo le esportazioni di prodotti in tutta l’eurozona dopo l’eliminazione dei rischi di svalutazioni o l’effetto moltiplicatore delle economie di scala. Ci sono anche gli attuali e futuri signoraggi sull’euro che sono stimati in circa 2-3 miliardi di euro [4] valutando i futuri proventi che la BCE potrebbe guadagnare dagli investimenti legati al signoraggio. Aspetto di questa crescente guerra monetaria è il controllo di capitali che il Brasile e l’Argentina hanno annunciato come mezzo per arrestare il flusso di liquidità che ha causato il Quantitative easing I e II della Fed, il recente accordo tra Giappone e Cina sull’interruzione dell’utilizzo del dollaro nelle loro transazioni e molti altri. Carattere comune di tutti questi casi è una lenta ma stabile riduzione del ruolo del dollaro. In questo contesto, un euro forte, con una crescente attrattività e in continua espansione in nuovi Paesi e territori, dall’Europa orientale ai Balcani, dall’Africa al Medio Oriente, costituisce uno strumento speciale che facilita l’espansione imperialista della Germania contro gli Stati Uniti.
La crisi dell’eurozona rivela un rapporto di forza completamente nuovo tra diversi stati. Userò un termine che in Grecia è utilizzato nella vita di tutti i giorni, sapendo che causa uno schock: occupazione tedesca, o più distintamente occupazione economica tedesca [5]. Forse qualcuno potrebbe dire che la Grecia (dove la task force tedesca che è stata stabilita ad Atene decide anche i più piccoli dettagli della spesa pubblica) è un caso estremo. Ma ci sono molti altri segnali che dimostrano che nell’UE sta succedendo quello che accadeva nella fattoria degli animali di George Orwell: “alcuni animali sono più uguali degli altri”. Il più caratteristico è il recente abbandono del principio di unanimità nel processo decisionale.
Il risultato è che la crisi dell’eurozona sta trasformando profondamente la sostanza e la forma dell’Ue in una direzione più reazionaria.
Quali sono le soluzioni in questa fase? Da parte della classe governativa vengono discussi sostanzialmente due tipi soluzione. La prima è più socialdemocratica, e include la collettivizzazione del debito con la parallela emissione di eurobond almeno per una parte del debito pubblico. Non si tratta certo di un piano radicale! Per la prima volta è stato proposto da Jean Claude Juncker e Giulio Tremonti [6]. La cosa più seria di questa proposta è che non spiega perché la Germania oggi dovrebbe accettare di sopportare tale fardello, calcolato tra i 20 e i 25 miliardi nel corso di un decennio, per alleggerire il costo dell’indebitamento dei paesi indebitati quando è stato dimostrato che la macchina del debito è una scusa ideale per l’applicazione dell’agenda neoliberista. Inoltre, i sostenitori di questa proposta sottostimano le condizioni che la Germania imporrebbe per la mutualizzazione (condivisione) del debito.
Lo scenario più probabile, quasi certo, al momento è una soluzione che mescoli nuove quantità di liquidità alle banche (come il trilione di euro concesso dalla Bce a dicembre 2011 e gennaio 2012) con nuove misure di austerità. In questo percorso le contraddizioni aumenteranno con l’espansione della crisi a nuovi paesi. Il recente trilione della Bce non ha evitato, ma solo ritardato di sei mesi l’esplosione della crisi in Spagna. Allo stesso tempo, l’implementazione di nuove misure d’austerità imposte dal Patto di Stabilità e dal Patto Euro Plus, incrementerà le rendite finanziarie rispetto ai redditi da lavoro.
Dall’altra parte l’unica soluzione percorribile, che riflette gli interessi della classe lavoratrice, è l’immediata uscita dall’eurozona [7] e dall’UE. La proposta di formazione di una coalizione di paesi simile all’ALBA latinoamericana e una moneta comune tra i paesi dell’Europa meridionale (ALIAS e LIBERA come proposto da Vasapollo, Martufi e Arriola) è una soluzione internazionalista all’attuale crisi dell’eurozona. La cosa più importante è che questa soluzione offre una sana e creativa uscita allo sviluppo delle forze produttive nella nostra epoca. In questo contesto è una risposta che rispetta e segue le tendenza di sviluppo di una moderna classe lavoratrice. Se vogliamo essere utili a questa tendenza dobbiamo, da ora, descrivere il contesto di questa coalizione, al fine di distinguerla da tentativi alternativi del fondamentalismo economico della Germania che pensa, ad esempio, di separare l’eurozona in due parti: N-euro e S-euro [8]. Una coalizione di paesi dell’Europa meridionale, o più ampiamente di paesi con livelli di produttività simili, dovrebbe essere basata sulle banche e sull’industria nazionalizzate, sul controllo dei flussi di capitale, su una politica industriale moderna che punta ad aumentare l’occupazione e la sufficienza di cibo.
Ci sono molti punti di discussione aperti, l’evoluzione storica e lo sviluppo della lotta di classe. Per esempio: una formazione come questa potrebbe escludere la legge del valore, molto più di quanto essa operi a livello internazionale? È possibile avere relazioni paritarie nel commercio internazionale o che tipo di misure compensative potrebbe essere adottato, riconoscendo la presenza della legge? E molte altre.
In conclusione, vorrei evidenziare la necessità di arricchire le nostre riflessioni e risposte con uno sguardo strategico, comparabile con le sfide della nostra epoca, come sono descritte dalla terza rivoluzione industriale della produzione aggiuntiva e dell’esplosione della conoscenza [9].
Le analisi e le proposte di Vasapollo, Martufi e Arriola nel libro “Il risveglio dei Maiali” sono una risposta di successo a questa sfida.
Traduzione di Flavia Castelli
Note
[1] ↑ Alcune di queste lezioni sono incluse in: F. Bourguignon, C. Sepulveda, Privatizations in Development – some lessons from experience, Policy Research Working Paper, No. 5131, World Bank 2009
[2] ↑ E. Mandel, International Capitalism and “Supranationality”, Socialist Register, Merlin, London, 1967
[3] ↑ W. Bonefeld, European integration: the market, the political and class, Capital & Class, 77.
[4] ↑ http://ftalphaville.ft.com/blog/2011/11/11/742961/the-trouble-with-seigniorage/
[5] ↑ Naturalmente il prominente ruolo guida della Germania dall’inizio della comunità europea è stato riconosciuto ampiamente tra i Marxisti. Vedere per esempio: Bruno e Gulielmo Carchedi, Contradictions of European Integration, Capital & Class, 67.
[6] ↑ J.C. Juncker, G. Tremonti, E-bonds would end the crisis, Financial Times, 5 dicembre 2010.
[7] ↑ Una descrizione dettagliata di questa proposta potrebbe essere trovato tra gli altri in: C. Lapavitsas, A. Kaltenbrunner, G. Labrinidis, D. Lindo, J. Meadway, J. Michell, J.P. Painceira, E. Pires, J. Powell, A. Stenfors, N. Teles, L. Vatikiotis (2012), Crisis in the Eurozone (Verso).
[8] ↑ Una versione di questo piano è stata recentemente descritta nella relazione di Deutsche Bank dal titolo, The Geuro: Una moneta parallela per la Grecia (18 Maggio 2012).
[9] ↑ Lo schema di base dei recenti sviluppi rivoluzionari nella produzione potrebbe essere trovato sul numero dell’Economist del 21 aprile del 2012, dal titolo The third industrial revolution.
CREDITS
Immagine in evidenza: Buster Keaton nel film “Convict 13”.
Autore: Breve Storia del Cinema; 27 ottobre 1920
Licenza: Public Domain Mark 1.0
Immagine originale ridimensionata e ritagliata