Intervista a Luciano Vasapollo (Rivista Nuestra America) di ritorno da due recenti viaggi a Cuba
Grazia Orsati, Mila Pernice Radio Città Aperta (in Contropiano anno 21 n°1 – maggio 2012)
Iniziamo dal viaggio di fine febbraio, hai incontrato il Ministro dell’Educazione Superiore e il vice-Ministro. Puoi raccontarci brevemente di questo incontro? Cosa si sta facendo in questo campo a Cuba? Un ringraziamento a Radio Città Aperta per l’opportunità di farci parlare di questi eventi politico-culturali estremamente importanti.
Il Ministro dell’Educazione Superiore Miguel Diaz Canel, fa parte del bureau politico del Partito Comunista Cubano (ed è un vecchio amico, ora passato al ruolo di Vice presidente del Consiglio di Stato), come anche Abel Prieto, già Ministro della Cultura e ora Primo Assessore di Raul, oppure Santin, vice-Ministro dell’Educazione Superiore.
Abbiamo affrontato insieme il tema del grande successo di questo congresso: è forse l’evento internazionale più grande che si tiene a Cuba, e che permette incontri internazionali con delegazioni di intellettuali che lavorano nei centri studi, con i movimenti sociali e con quelli sindacali.
Ovviamente oltre alle tematiche di politica scientifica e accademica, sono stati molto importanti gli incontri sul ruolo attivo che sta svolgendo l’educazione superiore in questa fase particolare di attuazione delle linee di perfezionamento dell’economia. Questa fase segna un passaggio epocale per Cuba, anche di trasformazione economica, politica e sociale, e richiede un lavoro sulle coscienze e sul ruolo delle università: occorre connettere il cambiamento economico con una funzione centrale dell’università, a livello anche locale, occorre preparare le nuove figure in un contesto economico che deve coniugare la pianificazione centralizzata con quella decentralizzata, occorre creare delle figure professionali specifiche che abbiano un legame forte con il territorio; occorre, dunque, un modo più equilibrato, più programmato, di sviluppare questa nuova fase.
Sono stati incontri particolarmente fruttuosi dal punto di vista politico, accademico, culturale e, permettetemi di dirlo, anche dal punto di vista personale, e del rafforzamento di un legame di amicizia tra la RdC e la Rivoluzione cubana, che vive ormai da tanti anni.
Questi gli incontri come docente universitario, poi hai continuato a viaggiare per Cuba e ad avere altri incontri come Direttore di Nuestra America e come compagno della segreteria nazionale della Rete dei Comunisti. Come hai trovato Cuba in questa nuova fase del processo rivoluzionario?
Negli incontri a Cuba con i ministri o i compagni del Comitato Centrale del partito è difficile distinguere un ruolo istituzionale da un ruolo politico. Chiusi i cinque giorni del congresso “Università 2012” ho partecipato a incontri come Direttore di Nuestra America e come compagno della segreteria nazionale della Rete dei Comunisti, cercando di consolidare (come sempre) questo rapporto ormai forte che abbiamo a livello politico con il governo di Cuba, con le istituzioni cubane, con i centri studi, con il partito e con il Comitato Centrale.
Tantissimi sono stati gli incontri a livello di istituzioni provinciali, fino ad arrivare a quelli con i ministri, o con intellettuali importanti che svolgono un ruolo politico e culturale centrale. E’ stato un viaggio importante perché mi ha permesso di verificare come dopo il sesto congresso del partito, che si è tenuto ad aprile, si stanno attuando le linee di programmazione economica, e come si è svolta, anche e soprattutto, la Conferenza di Partito di fine gennaio.
All’incontro al comitato centrale del partito, un incontro di quasi due ore con Oscar Martinez, che è il vice responsabile delle relazioni internazionali, abbiamo parlato espressamente della conferenza che si era chiusa pochi giorni prima, la prima conferenza d’organizzazione, estremamente importante anche perché attuativa e direttamente inerente ai compiti del partito. La conferenza era basata su un documento del partito, che avevamo tradotto in Italia, presentato a novembre proprio sulla ristrutturazione e la ricomposizione interna del partito rispetto a quelli che erano i nuovi compiti. E’ l’effetto della forte democrazia partecipativa a Cuba: rispetto al documento centrale, così come era avvenuto per il documento del congresso di aprile, sono stati fatti una serie di aggiustamenti e modifiche. Addirittura l’81% del documento è stato rielaborato, cambiato, rimesso in discussione.
A Cuba le regole democratiche funzionano in questo modo: è difficile che in un paese occidentale un documento venga modificato attraverso un dibattito interno, di base e partecipativo, in una percentuale come questa. Che cosa esce essenzialmente dalla conferenza? Escono quelli che devono essere i nuovi compiti del partito, compiti che devono essere strettamente e rigidamente differenziati da quello che è il ruolo di governo da una parte, e il ruolo dell’amministrazione d’impresa dall’altra. L’impresa fa l’impresa, sia quella statale, sia le nuove forme d’impresa individuale, come molte che si stanno realizzando a Cuba. Ovviamente gli amministratori rispondono della gestione d’impresa, il governo porta avanti le leggi e le linee che devono tracciare il cammino di questa nuova fase: per esempio, si sta discutendo della nuova legge tributaria, perché in un paese in cui oltre al lavoro statale vengono inserite forme di lavoro individuale, si pone il problema ovviamente dell’imposizione fiscale, del pagamento delle tasse.
Cuba è in una fase nuova, di linee economiche nuove, di attuazione e di modernizzazione della condizione economica, che tiene conto dei fattori esterni, come il sempre durissimo blocco che subisce, una crisi internazionale che sta piegando le ginocchia all’area del dollaro e a quella dell’euro; parliamo di paesi a capitalismo maturo ed avanzato, e dunque la crisi ricade ancora più fortemente nei paesi del terzo mondo, e nei paesi dell’ALBA, cui i paesi a capitalismo maturo cercano di fa pagare la loro indipendenza, lo sviluppo auto-determinato, il fatto di chiamarsi fuori dalle logiche dell’imperialismo e del FMI.
Il partito è la struttura portante nel paese, e i suoi militanti svolgono un ruolo di stimolo: laddove, per esempio, alcune linee di attuazione entrano in contrasto con alcune realtà, laddove si creano “colli di bottiglia”, il partito deve essere l’elemento fortemente critico per andare avanti, per capire quali sono i problemi. Il partito ha una relazione forte, di base con la gente, quindi deve capire anche quali sono i problemi che vengono dal popolo, identificare questi problemi e cercare appunto di dare delle risposte di carattere politico.
Mi è sembrato che l’interesse centrale del partito fossero le questioni prima di tutto internazionali, quelle legate a una crisi internazionale identificata come crisi sistemica, come crisi del modo di produzione capitalistico: non è in crisi un modello di capitalismo, quello finanziario piuttosto che quello statunitense o europeo, ma, – e su questo c’è una coincidenza enorme di vedute fra noi e il partito comunista cubano – la crisi è del modo di produzione capitalistico. Siamo fuori da qualsiasi logica avventurista, di “crollismo”; non è ne’ nostra ne’ tantomeno del PCC, ma è evidente che oggi proprio il processo di valorizzazione completo del ciclo capitalistico è entrato in crisi, e la scelta della finanziarizzazione vuole cercare di supplire a quella che è una crisi profonda di accumulazione in corso da molti anni. Nello scenario internazionale geopolitico e geo-strategico, oltre ovviamente a tutte le questioni riguardanti l’America Latina, è assolutamente centrale il Mediterraneo, che è sempre più un’area di guerra e di scontro all’interno della competizione globale fra gli USA e l’Europa. Anche sull’Europa, dunque, c’è una grande coincidenza di vedute: da una parte ci sono le rivolte arabe, come quella tunisina, oppure quella egiziana, dall’altra ci sono le guerre espansionistiche a carattere imperialistico, come quella della Libia o quello che si sta preparando in Siria: l’obiettivo delRete dei Comunisti l’imperialismo, sia statunitense sia europeo, è il controllo sul Medio Oriente. In questo senso si vuole orientare anche la guerra e le minacce all’Iran. Ovviamente questo scenario del Mediterraneo pone in evidenza bene anche il contrasto fra il blocco USA e quello europeo. C’è un’Europa debole, anche dal punto di vista economico, come stiamo vedendo in questo momento, che pone anche ai cubani un interrogativo: un’Europa che entrasse in guerra in maniera più prepotente sullo scenario mediorientale, per esempio in Siria, che cosa determinerebbe su questa crisi? E torna centrale la questione del petrolio, o la questione delle risorse naturali. La situazione del Mediterraneo è estremamente viva.
Ci hai dato il quadro di quello che il PCC in questo momento sta facendo e di quello che si è sviluppato per quanto riguarda le linee di perfezionamento economico. Ma viaggiando per Cuba, al di là degli incontri istituzionali, con il partito e con le parti sociali, girando per le strade, qual è la tua impressione? Cosa ne dicono i cubani?
Il fatto di andare a Cuba ormai da oltre trent’anni ci permette, oltre che di avere relazioni con le istituzioni, il governo, i centri studi o con le strutture del partito, anche di confrontarci con professori universitari, con amici, con gente del popolo, con chi svolge poi la sua funzione sociale, di lavoro all’interno del paese. Incontrando molte persone è più facile anche capire quali sono i problemi.
È chiaro che questa è una fase nuova, che la gente, il popolo cubano, sta vivendo con molta partecipazione e con molta intensità. Le risposte sono tutte estremamente positive: l’apertura alle imprese individuali, il fatto per esempio di risolvere il problema del deficit della bilancia commerciale e delle terre oziose, il fatto che si importavano moltissimi alimenti, ha portato alla creazione di più imprese individuali anche in agricoltura, con usufrutto a 20, a 30, a 40 anni della terra, cercando di coinvolgere una parte del mercato e della distribuzione regolamentata, e di destinare invece un’altra parte alla vendita più diretta e di mercato. Stesse dinamiche con il lavoro individuale: il fatto che (non sicuramente i settori strategici che rimangono statali) il lavoro artigianale, quello del tassista, del piccolo bar (cosa che ha ridotto radicalmente il mercato nero), di chi si industria per strada, con queste piccole attività di supporto che possono favorire maggiormente l’occupazione, è un elemento positivo. Per esempio si è notato che questi lavoratori individuali, ormai decine di migliaia, hanno dato occupazione maggiore a persone che magari avevano un più basso livello di redditi e questo sta favorendo, oltre che la lotta al mercato nero, anche l’effetto di alzare i redditi.
Ci sono naturalmente dei problemi tipici: qualcuno si lamenta della burocrazia, vorrebbe i processi un po’ più veloci, ma è chiaro che quando ci sono questi mutamenti epocali, la precipitazione degli eventi potrebbe portare ad effetti anche inflazionistici, a ricadute sociali pesanti. Oppure a una condizione classica: per la stragrande maggioranza la popolazione cubana era costituita da lavoratori statali, adesso i nuovi lavoratori individuali devono anche pagare le tasse, mentre prima la tassa veniva trattenuta a monte e poi restituita anche in termini di sanità pubblica, di istruzione pubblica, di sport pubblico, attraverso la libreta, ecc.
Quando prima dicevo che è un problema di coscienza, parlavo di questo: della necessità di far comprendere che se si vuole ottenere dei benefici dal lavoro individuale occorre dare una parte delle entrate individuali allo stato. Infatti si sta pensando ad una forte legge di carattere tributario, da far comprendere ai cubani. L’altra battaglia che si sta facendo e che sta portando avanti il partito è stata anche oggetto dei discorsi centrali di Raul: la battaglia alla corruzione. E’ chiaro che, nelle fasi di passaggio, la mela marcia può capitare in tutte le società, quindi si vuole dare un’attenzione particolare a questo tema, un’attenzione particolare alle forme di mercato nero che, anche se stanno diminuendo, in alcuni casi possono anche svilupparsi.
Da parte della popolazione c’è una grande attenzione, una grande partecipazione, nei CDR in particolare, e poi uno sviluppo forte di dibattito nel sindacato, di proposte, a volte anche poco realistiche, altre volte sintomo di una grande creatività e dinamicità di questo processo rivoluzionario a Cuba.
Proprio in questo periodo in cui, come sappiamo in Italia, la crisi morde con forza, per Cuba cosa significa la crisi all’interno del capitalismo? Hai avuto l’opportunità di parlarne con economisti cubani?
Questa è una crisi del modo di produzione capitalistico, è una crisi del capitale, ma non vuol dire che i paesi non capitalisti, che hanno una loro struttura politico-economica anticapitalista e antimperialista, non ne risentano; la globalizzazione fa sì che un battere d’ali in Germania produca i suoi effetti in Africa, in Asia, o in qualsiasi altra parte del mondo. In particolare, come dicevo prima, paesi come Cuba, che subiscono questo infame blocco, o i paesi dell’ALBA, a cui si fa una sorta di guerra economica, commerciale, finanziaria per far pagare loro questi processi di autodeterminazione.
Ho presentato un libro che ho scritto insieme a Joaquin Arriola alla Fiera del Libro, proprio sulla crisi, ed è venuto a presentarlo il più grande e più importante economista cubano, che è Osvaldo Martinez, che oltre ad essere Presidente del Centro Studi sull’economia mondiale è il Presidente della Commissione Economica dell’Assemblea Nazionale ormai da tanti anni.
L’occasione ci ha permesso di dibattere sulla crisi, così come abbiamo dibattuto sulla crisi con tanti altri economisti lì presenti, sia cubani, dei vari centri studi, del Centro Studi sulle Americhe, del Centro Studi sull’economia cubana, del Centro Studi sulla mondializzazione, sia con economisti e sociologi internazionali, in primis un carissimo amico come Attilio Boron.
C’è una cosa interessante che riguarda il dibattito in Europa sulla crisi: noi parliamo di crisi sistemica come di una crisi che non è ne’ congiunturale ne’ semplicemente strutturale, ma che vede intaccati gli stessi meccanismi di accumulazione del capitale.
Ragionando con i “se”: se ci fosse oggi al mondo una soggettività rivoluzionaria di classe, cioè anticapitalista, questo sarebbe veramente il momento di aprire gli occhi su una crisi sistemica che non trova un nuovo modello di accumulazione, in cui, come diceva Marx, la caduta tendenziale del saggio di profitto è evidente. Leggevo giorni fa un’intervista a Sergio Marchionne, che diceva in maniera esplicita che per mantenere il livello dei profitti c’è bisogno da parte della Fiat di andare negli USA per alzare i ricavi. Quando per mantenere i profitti si ha bisogno di molti più ricavi vuol dire che il tasso medio di profitto si abbassa, quindi diciamo naturalmente che aumenta lo sfruttamento, aumenta la massa del plusvalore, ma diminuisce il tasso medio di profitto. Quindi ciò conforta noi marxisti sul fatto che, ancora una volta, la cassetta degli attrezzi di Marx si dimostra corretta.
In Europa, però, c’è difficoltà a dialogare anche con gli economisti cosiddetti marxisti, perché mi sembra che la maggior parte abbia intrapreso una corsa verso il keynesismo di sinistra.
Questi cosiddetti marxisti sembrano, prima, auspicare la crisi del capitale, quando poi questa crisi arriva, diventano tutti “soccorritori”, col fine di trovare la ricetta più sana per uscirne.
Dunque, mentre il capitalismo invoca Monti e la BCE, politiche restrittive, di sacrifici, politiche neoliberiste, c’è chi pensa di essere più a sinistra nel ricorso in parte al keynesismo di sinistra, in parte al sostenimento della domanda, senza pensare che con una crisi sistemica di questo genere è finita anche l’epoca degli ammortizzatori sociali e delle misure keynesiane: la Fornero lo dice in maniera chiara, come lo dice Marchionne, come lo dice la Marcegaglia, come lo dice Monti.
Il modello è quello del capitalismo aggressivo, che taglia posti di lavoro e taglia ovviamente servizi pubblici, ecc.
Più viva è l’analisi in America Latina: confrontandomi con Osvaldo Martinez, con Attilio Boron, come con tutti i centri studi attraverso tavole rotonde, dibattiti, presentazioni dei libri, registro una coincidenza d’analisi nell’individuazione di quella in atto come, non solo di una crisi sistemica, ma anche di una crisi globale.
La crisi economica finanziaria, infatti, convive con una crisi alimentare, energetica, ambientale e le condizioni obbligano a pensare e costruire l’alternativa al modo di produzione capitalista. Ma, stando con i piedi per terra, e su questo i cubani sono maestri, oggi non possiamo dire che “sta nascendo il sol dell’avvenire”: è compito dei comunisti e dei marxisti nel mondo trasformare l’elemento di crisi in, diciamo così, opportunità per le classi del lavoro, ognuno rispetto ai rapporti di forza che ha nella propria area, nel proprio paese. Quindi siamo ben lungi dal dire “questa è la crisi sistemica finale, quindi domani finisce il sistema”, ma occorre rimboccarsi le maniche, senza alcun consociativismo, senza alcuna gestione della crisi, ma creando l’organizzazione, strumenti che vadano al di là del ribellismo e delle ribellioni metropolitane, che costruiscano nel medio/lungo periodo la possibilità di trasformazione, la possibilità di una società altra.
L’intellettualità marxista cubana come sta dibattendo sulla crisi al di là, come ci hai spiegato ora, degli economisti in senso stretto?
Sono stati molto interessanti altri tipi di incontri, ad esempio con una vecchia amica, una delle menti più lucide del marxismo cubano, che è Isabel Monal.
Ma abbiamo incontrato anche altri intellettuali, da Maurizio Nunez, per esempio, ad altri come Pedro Pablo Rodriguez, che cerca ancora di capire in maniera fondamentale come il pensiero martiano si coniuga con il pensiero marxista, e come si può attualizzare.
Viene fuori quello che dicevo prima, cioè il fatto di rendersi conto della necessità dello studio del marxismo, dell’attualizzazione, del saper prendere gli elementi fondamentali della critica marxiana all’economia politica per attualizzarli, riportarli in questa fase. Perché ovviamente Marx ci ha dato gli strumenti, ma viviamo in una società successiva di 150 – 200 anni dall’analisi di Marx.
Occorre saperli contestualizzare e capire la centralità della questione del materialismo storico e della lotta di classe, quindi dei rapporti di forza, la questione per esempio centrale della caduta tendenziale del saggio di profitto, che identifica quindi la crisi come crisi del modo di produzione capitalistico.
Occorre comprendere la legge del valore. Occorre comprendere questa fase di transizione cubana in un contesto internazionale di debolezza, perché Cuba sicuramente avrebbe fatto uno sforzo di passi più avanti nel socialismo se avesse avuto un contesto internazionale di maggiore appoggio: oggi non c’è né il COMECON, ne’ l’URSS.
C’è uno sforzo da parte dei paesi dell’ALBA che è fondamentale, e c’è un’ottima relazione con i cosiddetti BRICS, ma il contesto non è favorevole alle forze antimperialiste, anticapitaliste. Parlare, per esempio, con Isabel Monal su come oggi il pensiero marxista possa interpretare la crisi è stato estremamente interessante e ancora una volta ha evidenziato l’importanza dello studio teorico perché, checché se ne dica, il ribellismo di per sé non porta da nessuna parte.
L’iniziativa sindacale, l’iniziativa politica devono essere supportate da centri studi che non facciano semplicemente la formazione sindacale tout court, ma che diano all’analisi un respiro forte, un respiro internazionale, un approfondimento.
Diciamolo fino in fondo: se non ci si riappropria della capacità dell’attualizzazione del pensiero di Marx, quindi della teoria, non si va da nessuna parte.
Questo è un altro elemento di coincidenza con i cubani e per i cubani, per l’intellettualità e il marxismo cubano questo è fondamentale, tanto è vero che oggi sono molto attivi i Dipartimenti di marxismo: abbiamo partecipato a importanti confronti con Ramon Sancez Noda, il Capo-Dipartimento Marxismo e Leninismo a Cuba, o con un Capo-Dipartimento Marxismo come Efrain Echevarria. Parliamo di dipartimenti marxisti che continuano ad avere un ruolo centrale, perché non si può leggere la crisi e non si può leggere la transizione senza un forte approfondimento teorico.
Partendo proprio dai punti di vista dell’intellettualità marxista, hai avuto incontri anche al Ministero della Cultura?
Si, con il Ministero della Cultura c’è un rapporto intenso da anni, in particolare con il suo Ministro Abel Prieto e poi con Fernando Rojas, che è il vice-Ministro. La cultura cubana è sempre molto viva, sta svolgendo un ruolo centrale in questa fase di transizione, perché quando si parla di intellettualità cubana si parla di musicisti, pittori, intellettuali, economisti, poeti ecc., sempre in una fase viva ed estremamente attenta, con una grande capacità di interpretazione sociale attraverso la poesia, la musica.
Per questo ci sono stati vari incontri, e un rafforzamento della “Rete di intellettuali e artisti in difesa dell’umanità”: noi rappresentiamo il capitolo italiano, con Radio Città Aperta, con Nuestra America, con Contropiano, siamo parte della Rete. Vogliamo dare un’attenzione particolare all’espansione di questa rete al di là dei paesi dell’ALBA, perché anche dove ci sono governi, diciamo, non necessariamente rivoluzionari, o governi progressisti, anche in paesi dominati e governati da governi capitalisti, si vede rinascere una forte attenzione sui temi culturali dell’alternativa, della possibilità dell’alternativa al capitalismo, della centralità della cultura, per dare la colonna vertebrale a quelli che possono essere i fenomeni di trasformazione.
Non mi stancherò mai, ne’ io ne’ soprattutto i cubani, di dire che i momenti di crisi possono portare a ribellioni di vario tipo, ma se la ribellione è supportata da un lavoro lento, organizzativo, di accumulazione delle forze, di teoria di coscienza, si può avviare un percorso di trasformazione, altrimenti i movimenti e le ribellioni in quanto tali muoiono.
Si è conclusa da poche settimane la visita di Papa Benedetto XVI a Cuba, una visita di natura pastorale, in omaggio alla Vergine del Cobre , ma anche una visita ufficiale condotta dopo aver ricevuto l’invito da parte del governo di Cuba. In 14 anni è la seconda volta che un Papa si reca a Cuba e già questo è un fatto straordinario. La visita di 14 anni fa di Giovanni Paolo II fu importantissima, possiamo dire che segnò un’epoca: l’incontro, in particolare, fra Fidel Castro e Papa Wojtyla ha avuto un effetto straordinario a livello internazionale.
Nella sua recente visita a Cuba il Papa ha incontrato per ben quattro volte Raul Castro e prima di andar via dall’isola anche Fidel Castro. Questa visita di Papa Ratzinger, che possiamo definire storica, è stata raccontata da tutti i media che concordano su questa valutazione, così come anche il governo cubano e lo stesso Vaticano. Si è trattato di una visita che ha contribuito a migliorare e rafforzare i rapporti, già ottimi, tra il governo di Cuba e il Vaticano, comportando anche lo straordinario risultato (per la Rivoluzione) delle dichiarazioni da parte della Chiesa cubana ma anche del Papa, in maniera diretta o indiretta, sulla questione del blocco e sull’evoluzione in senso positivo dello straordinario sforzo della Rivoluzione cubana nelle conquiste sociali e politiche. Nessuno, infatti, ha potuto negare la libertà religiosa presente sull’isola: le due messe celebrate dal papa hanno visto centinaia di migliaia di persone in Piazza della Rivoluzione sia a Santiago sia all’Avana.
Con il vice-Ministro della Cultura, Fernando Rojas, abbiamo parlato molto di questo, abbiamo parlato anche ovviamente di come il mondo della cultura, e come tutto il popolo cubano e tutte le istituzioni, hanno affrontato la visita del Papa. I cubani sono estremamente rispettosi delle autorità degli altri paesi, in particolare qui il Papa rappresenta non solo l’autorità del Vaticano, ma rappresenta la personalità più alta di quella che è la cultura e la religione cristiano-cattolica. Considerate che a Cuba è la religione predominante: il partito e i ministeri rivolgono la massima attenzione e il massimo rispetto per i cattolici e in particolare per questa visita.
Il Ministero della Cultura ha svolto un ruolo fondamentale, insieme all’ICAP, insieme a tutti i ministeri per questa visita. Il Papa è stato ricevuto con molta amicizia anche dal popolo, con molto rispetto, con grande disponibilità. Sicuramente può essere un’occasione di miglioramento e intensificazione dei rapporti con il Vaticano, con la religione cattolica. Ancora questo dimostra, al di là di quello che si dice in Europa e nel mondo, il grande rispetto del popolo, del governo e del partito cubano rispetto a quella che è la libertà d’espressione.
Parallelamente alla visita del Papa era a Cuba una curiosa coppia: con te, in veste di direttore della rivista NUESTRA AMERICA e ovviamente di docente universitario, c’era Padre Antonio Tarzia, Direttore della rivista Jesus, già Direttore delle Edizioni Paoline. Padre Tarzia è un amico di Cuba, in quanto ha già svolto altre due o tre missioni nell’isola, portando alcune mostre e curando la traduzione del libro di Frei Betto su Fidel e la religione.
Innanzitutto questa coppia è sembrata curiosa e strana perché tu sei un marxista che rivendica fortemente e con coerenza l’essere comunista, mentre Tarzia è un Padre Paolino che vive la sua missione nell’ottica della religiosità e della spiritualità.
L’incontro con Padre Tarzia risale a un anno fa circa, un incontro un po’ casuale presso la Casa Editrice Jaca Boook, avvenuto in particolare attraverso Sante Bagnoli. È stato quest’ultimo a promuovere un confronto su delle problematiche inerenti alcuni scritti; da parte sua Padre Tarzia aveva voglia di tornare a Cuba, di incontrare Fidel e, così, appresa la storia dei Cinque Agenti dell’Antiterrorismo cubano ingiustamente detenuti nelle carceri statunitensi da ormai 14 anni, si è appassionato a questa vicenda. Tante sono state le iniziative a cui insieme si è partecipato a favore della liberazione dei Cinque e, grazie a Tarzia, il 14 dicembre in una udienza concessa dal Papa all’Associazione Cassiodoro (di cui padre Tarzia è Presidente) ho potuto fare avere a Benedetto XVI del materiale informativo sui Cinque ed anche una lettera in cui chiedevo una preghiera da parte del Papa per la sofferenza di questi cinque fratelli e dei loro familiari.
Intanto si rafforzava in noi l’idea di andare insieme a Cuba, di vedere da vicino che cosa avveniva durante la visita del Papa. Abbiamo avuto un invito speciale da parte del Ministero della Cultura di Cuba e da parte dell’ICAP (l’Istituto Cubano per l’Amicizia tra i Popoli) con un particolare interesse specifico e diretto da parte del Vice Ministro della Cultura Fernando Rojas e della Presidente dell’ICAP, Kenia Serrano. L’obiettivo di questa visita era quello di raccontare ciò che avveniva da vicino (da parte di chi come me frequenta Cuba da parecchio tempo e da chi è un amico di Cuba come Padre Tarzia) perché presupponevamo, come infatti è stato, che i mezzi di stampa italiani, quasi nella loro totalità e più in generale quelli europei, continuassero le loro mistificazioni e le loro menzogne contro Cuba e contro la Rivoluzione, raccontando della presunta mancanza di diritti civili o di tensioni politiche, o di grandi opposizioni.
Sapevamo che tutto questo, qualora fosse apparso sulla stampa, non sarebbe corrisposto al vero e che il Papa sarebbe stato accolto (come ha detto Raul) all’arrivo a Santiago con un “forte senso di amicizia e di rispetto da parte del governo”.
Siamo, dunque, arrivati all’Avana il 23 marzo, cioè poco prima dell’arrivo del Papa. Abbiamo avuto un’ottima accoglienza all’aeroporto sia da parte dell’Icap sia del Ministero della Cultura.
Immediatamente abbiamo avuto un lungo colloquio con il Viceministro Fernando Rojas che ci ha spiegato come si stava vivendo la visita del Papa e come interpretare il senso e il legame tra la società civile cubana e la religiosità, la spiritualità, in un paese completamente aconfessionale ma che riconosce libertà di espressione a tutte le religioni: una separazione netta tra gestione dello stato e religione, ma con il rispetto delle religioni stesse.
Giornate molto intense vi hanno visto dialogare con Ministri e Viceministri del governo cubano, con dirigenti importanti del Comitato Centrale del Partito Comunista, con grandi intellettuali riconosciuti tali in tutto il mondo.
Si, a partire dal ministro di Cultura Rafael Bernal Alemany e il vice ministro Fernando Rojas, discutendo a lungo sull’attualità cubana in questo settore, che offre sempre più spazio e attenzione ai giovani talenti, alle edizioni regionali, agli scambi tra università, poi ho incontrato, sempre accompagnato da Padre Tarzia e Roberto Rodrìguez responsabile per l’ICAP delle relazioni con l’Italia e altre nazioni, diversi professori del Università di Pinar del Rìo, dove lui stesso è stato nominato professore e con la quale ha intessuto una fitta rete di lavori.
Sempre nel campo dell’economia l’incontro con Roberto Verrier presidente della ANEC – Associazione degli Economisti cubani e Jesus Pulido con Hugo Pons, importanti specialisti, sono stati obbligatori, così come quello con Osvaldo Martínez direttore del Centro d’Investigazioni sull’Economia Mondiale e presidente della Commissione dei Temi Economici dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare-ANPP.
L’attualità della società cubana dopo il Congresso e la Prima Conferenza del PCC, è stata al centro del dialogo con Oscar Martínez, vice direttore del Dipartimento delle Relazioni internazionali del CC del PCC.
Il direttivo della UNEAC – il presidente Barnet è a Roma – è stato rappresentato dallo scrittore Anton Arrufat, premio nazionale di letteratura, da Senel Paz, scrittore e autore della scenografia di Fragole e Cioccolato e co-regista, e da altri famosi artisti che hanno promesso, come tutti gli intervistati, di scrivere note e articoli sulla realtà cubana, sulla spiritualità che anima la Rivoluzione, i cattolici e i cristiani in generale, sugli alti ideali che distinguono il popolo cubano e gli danno la forza di superare un blocco ingiusto e crudele da più di mezzo secolo.
Isabel Monal, Pedro Pablo Rodríguez, Fina Garcia Marrúz sono altri grandi personaggi della cultura incontrati nell’occasione, che apporteranno idee ed impressioni al libro e agli articoli che verranno pubblicati nelle riviste Jesus, Nuestra America e Famiglia Cristiana, on-line e cartacea.
E ancora una lunga conversazione con Ismael Gonzáles, responsabile della sezione culturale dell’ALBA, che ha spiegato la realtà regionale di un blocco che esiste nelle realtà più diverse dell’America Latina. La visita, a cui si è arrivati attraverso relazioni politiche e culturali con un lavoro di anni di cooperazione con l’Isola, è terminato con l’intervista al ministro d’Educazione Superiore, l’intervista a Caridad Diego, del Dipartimento d’Attenzione ai Temi Religiosi del CC-PCC; l’incontro con Raúl Verrier, del Dpto. Ideologico del CC-PCC; il pranzo e il caloroso incontro con la presidentessa dell’ICAP, Kenia Serrano, la visita alla Casa Memoriale “Salvador Allende”, lo scambio con il Comitato Internazionale per la Liberazione dei Cinque e soprattutto con i familiari dei Cinque Eroi, che come i loro cari, pagano la crudeltà di un impero che sviluppa le sue relazioni con Cuba basandole sull’odio, la vendetta e la crudeltà.
Puoi raccontarci come va avanti la battaglia per riportare a casa i Cinque cubani?
Questa è una battaglia che rimane centrale in tutta la società cubana, centrale per le attività istituzionali, le attività di governo, le attività universitarie, nei CDR, nel partito, nel sindacato, perché è una battaglia, chiamiamola, sostanziale: è la battaglia per riportare, dopo 13 anni e mezzo, questi fratelli e questi compagni a casa.
Ormai l’opinione pubblica internazionale, almeno quella, è a conoscenza del caso: non c’è nessuno, compresa Amnesty International, che non parli di ingiusta condanna, che non parli di ingiusto processo, che non parli di ingiusta detenzione, che non parli di condizioni disumane di detenzione, fino al fatto che alcuni di loro da tredici anni non possono vedere ne’ madri, ne’ mogli, ne’ figli.
E’ una battaglia, permettetemi di dire, anche simbolica, nel senso alto del termine, di simbolo politico, di simbolo di libertà. Combattere per la libertà dei Cinque significa non soltanto riportarli a casa, riportarli alle loro famiglie e alla loro patria, ma significa dire a tutti noi che ognuno di noi potrebbe diventare l’ostaggio politico del sistema e dell’imperialismo. Addirittura che interi popoli possono diventare ostaggio di quella che è la mentalità repressiva.
E’ una battaglia di libertà e, lo dico con estrema coscienza, una battaglia di libertà dell’umanità. Non è un caso che la “Rete intellettuali e artisti in difesa dell’umanità” si sta battendo fortemente da questo punto di vista, come si sta battendo fortemente a livello internazionale la solidarietà in tutto il mondo.
Tantissimi sono stati gli incontri su questa questione, in particolare ne abbiamo dibattuto moltissimo con l’ICAP, con la sua Presidente, una splendida e meravigliosa combattente che è Kenia Serrano che, oltre alle attività che porta avanti, appunto, come Istituto Cubano per l’Amicizia dei Popoli, ha fatto della battaglia dei Cinque, insieme al Comitato Internazionale Giustizia per i Cinque, diretto da Graziella Ramirez, un punto fondamentale.
Anche quest’anno ho avuto un incontro veramente emozionante nella sede dell’ICAP con tutti i familiari dei Cinque, con le mamme, con le mogli, con il papà di René, in cui ho visto dei combattenti, in cui ho visto che lottare per i figli ha fatto diventare ancora più combattenti i familiari, che si continuano a battere ovviamente fino all’ultimo per la libertà, ma non solo per essa.
In attesa della libertà, che deve avvenire il prima possibile, si battono al momento per condizioni carcerarie sempre migliori: la preoccupazione che mi hanno trasmesso tutti i familiari dei Cinque riguarda le condizioni di salute, perché i Cinque hanno ormai superato i 50 anni, hanno passato 13-14 anni in celle sottoterra con l’umidità in spazi ridottissimi di pochi metri quadrati, quindi hanno avuto problemi di allergie, di bronchite, di artrosi, e a volte le visite sono estremamente difficoltose.
Questo vi dà anche il senso della forza delle madri e delle mogli che dicono “prima di tutto mio marito, mio figlio deve stare bene, poi continuiamo la battaglia per vederli, per stargli vicino, e per portarli fuori”.
Quindi con questa intervista voglio fare anche un appello a tutte le strutture della solidarietà, anche le più vive qui in Italia, dalla Villetta all’Associazione Italia-Cuba: c’è un riconoscimento per tutto il lavoro che tutti fanno sulla questione dei Cinque, ma è importante adesso mettere al centro, oltre alla libertà, la questione della salute, tempestando di lettere, di fax, e di iniziative non solo informative.
Come Vicepresidente del Comitato Italiano Giustizia per i Cinque ho fatto una serie di incontri, un convegno molto bello e importante con Kenia Serrano e con Graziella Ramirez del Comitato Internazionale. Ho portato ovviamente il saluto non solo del Comitato o di Nuestra America, ma di tutta la solidarietà italiana che mi sono sentito in quel momento di rappresentare, perché al di là del Comitato Italiano Giustizia per i Cinque, Radio Città Aperta e di Nuestra America, bisogna avere il rispetto del lavoro che fanno gli altri, il grande lavoro che fa l’Associazione Italia-Cuba, il lavoro infaticabile che fa la Villetta: tutti noi dobbiamo continuare a fare uno sforzo per coinvolgere settori sempre più alti.
Penso che anche questa visita del Papa a Cuba sia stata un momento per cercare di riproporre a livello internazionale la questione dei Cinque. In questo senso non va posta solo come battaglia politica ma anche come battaglia di giustizia umana e di diritti umani. Noi abbiamo fatto un grande sforzo, siamo riusciti anche, attraverso l’Associazione Cassiodoro e Padre Tarzia, a partecipare ad una udienza con il Papa il 14 dicembre, consegnandogli del materiale informativo e una lettera in cui proponevamo semplicemente conoscenza del caso e chiedevamo una preghiera, da parte del Papa, per la sofferenza di questi familiari, di questi fratelli.
Penso che qualsiasi progressista e democratico, non parlo solo dei marxisti, debba avere a cuore questa battaglia, perché riportare a casa i Cinque significa rimettere al centro la questione della libertà politica, culturale e d’espressione che ogni popolo e ogni cittadino deve avere, nel rispetto dei processi di autodeterminazione.
Poi, tornati in Italia, Padre Tarzia e Luciano Vasapollo, oltre al loro intenso lavoro, ricominceranno i loro itinerari nelle chiese cattoliche, nella società, con le associazioni di solidarietà con le forze politiche e sociali, per far conoscere la storia dei Cinque e apportare tutte le voci possibili al reclamo per la loro liberazione.
Tutti questi incontri, svolti in una settimana di lavoro, diverranno un libro tascabile della Jaka Book, la cui presentazione è prevista per il mese di maggio, costruito a quattro mani dai due intellettuali e giornalisti, ormai dai cubani chiamati affettuosamente Don Camillo e l’Onorevole Peppone.
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Immagine in evidenza: Volveran
Autore: Amy Goodman; 19 febbraio 2007
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