Mauro Casadio in Contropiano anno 31 n°1 – Unione Europea: da polo a superstato imperialista?
Come facciamo periodicamente come Rete dei Comunisti nei passaggi prodotti dalle dinamiche generali che riteniamo esser importanti cerchiamo di fare il punto sui diversi aspetti delle questioni collocandoli dentro il relativo contesto storico che riteniamo sempre essere decisivo per le valutazioni strategiche.
In particolare sulla UE e sulla sua natura è dagli anni ’90 che ci stiamo cimentando con analisi, riflessioni e giudizi politici che va detto non essere stati prodotti da fatti specifici manifestatisi nei primi anni ‘90 ma dall’evoluzione generale che cercavamo di interpretare, dopo la fine dell’URSS e del campo socialista nell’Europa dell’est, e che stava portando alla costruzione della UE.
Comunque l’accordo di Maastricht del ’92 è stato un momento decisivo della verifica dei processi da noi analizzati sia sul piano economico e sociale, con l’avvio di una Europa dettata dall’austerità, sia sul piano politico della costruzione di un soggetto imperialista “unitario” che rappresentava un fatto nuovo nella storia del continente.
Va detto che all’epoca vedevamo il “processo” in atto usando la cassetta degli attrezzi del movimento comunista a cominciare dal testo di Lenin sull’imperialismo, ma non era ancora un dato verificato tanto da aver scelto di definire quello che si andava costruendo come un “polo” imperialista, un’area economico finanziaria competitiva, e non direttamente uno Stato.
Se è vero che gli USA si andavano affermando come imperialismo predominante era anche vero che emergevano aree economiche con tendenze a ritagliarsi una relativa autonomia.
Questo riguardava anche il Giappone, reduce dai suoi rampanti anni ’80 sul piano economico e finanziario, che cercava un suo ruolo egemonico nel Pacifico prima dell’emergere della Cina. Questa velleità fu rapidamente stroncata dalla crisi finanziaria della fine degli anni ’90 dove gli USA riaffermarono in quel quadrante la propria direzione.
La tendenza che avevamo intravisto in quegli anni è andata gradualmente rafforzandosi, prima con la nascita dell’Euro come moneta unica europea, poi con i vari trattati stilati nei decenni successivi che rafforzavano le relazioni ed i reciproci condizionamenti interni e perfino con il non rispetto dei diversi referendum (Francia, Danimarca, Olanda) che si erano pronunciati contro la “costituzione” europea e la moneta unica, comportamento questo che alludeva ad una stretta anche sul piano istituzionale e democratico.
Spesso in quella fase ci furono varie analisi e posizionamenti, di destra e di sinistra, che prevedevano la crisi irreversibile sia della UE che dell’Euro ma questa non si manifestò nemmeno nel difficile momento del tracollo finanziario del 2007/2008, i motivi li ha rappresentati più volte l’europeista per eccellenza Romano Prodi che ha sempre sostenuto che l’Unione Europea si rafforza e si costruisce proprio per mezzo delle crisi.
L’ultima conferma in questo senso è stata la Brexit che ha sciolto la UE da un vincolo che stava divenendo sempre più stretto e che impediva l’evoluzione verso una completa autonomia politica ed anche militare.
Il passaggio storico che abbiamo oggi di fronte, come abbiamo più volte detto, ha lo stesso spessore della crisi dell’URSS ma ha un segno politico opposto ovvero la potenza finora egemone degli USA è stata costretta a fare un passo indietro dando il via “formalmente” ad un mondo multipolare dove la Cina ha conquistato il ruolo ufficiale di competitore degli USA, come ha detto lo stesso Biden nell’incontro con il presidente cinese Xi.
In realtà tale condizione esisteva già da prima ma il conclamato declassamento degli USA porta ora allo scoperto una realtà che maturava già dalla crisi finanziaria di inizio secolo.
Questo mutamento delle condizioni costringe a cambiare le scelte strategiche della UE. Va detto che il processo unitario innestato negli anni ’90 è progredito nel tempo con molta cautela e tattica e ciò partiva dalla presa d’atto da parte degli europei che gli USA erano il capitalismo predominante, nondimeno la UE ha colto tutte le occasioni per rafforzare la propria prospettiva unitaria.
Se l’aspetto istituzionale ha proceduto faticosamente con continue trattative e difficoltà tra gli Stati membri della UE diverso è stato per il dato strutturale dove i processi di centralizzazione e fusione dell’assetto produttivo e di diseguaglianza sociale per settori ed aree geografiche funzionali alla produzione è andato avanti ed ha creato nuove condizioni e opportunità per la competitività Europea.
Tra queste condizioni c’è anche dentro i processi di centralizzazione economica la costruzione, conflittuale e competitiva, di una borghesia europea legata alla dimensione multinazionale delle imprese e della finanza, di cui quella italiana è quota parte. Questa è cresciuta a fianco dei settori borghesi rimasti ancorati a basi nazionali che pur provando ad opporsi, vedi il primo Berlusconi e la Lega Nord bossiana, senza riuscire a bloccare il processo sovrannazionale.
Questa crescita ha fatto divenire quella “frazione” borghese la componente egemone che ora detta le proprie condizioni su tutti gli aspetti economici, politici e istituzionali al resto della popolazione.
Insomma possiamo dire che questa classe sociale dominante in “costruzione” pur tra tante contraddizioni ha mantenuto un asse strategico attento agli equilibri nelle proprie alleanze nell’ambito USA-NATO che oggi però deve adeguarsi ad una condizione storica del tutto nuova.
La fuga dall’Afghanistan ha mostrato a tutto il mondo le difficoltà presenti da tempo degli USA ma che ha avuto dalle vicende Afghane il “sigillo” formale e che ha aperto una fase di transizione nelle relazioni mondiali di cui non si sa ancora verso quale nuovo assetto, ma in cui sicuramente i soggetti competitivi si moltiplicano usando ognuno le proprie carte e dove la Cina sembra svolgere un ruolo centrale.
Il problema che si pone dunque alla UE è un cambio di strategia da quella dettata finora dalla cautela, dovuta alla presenza di un soggetto egemone, a quella dell’assunzione diretta di un ruolo imperialista a tutto tondo candidandosi ad essere un “player” al pari perlomeno di USA e Cina.
Probabilmente questa precipitazione oltre che a non essere stata prevista non era nemmeno desiderata perché l’Unione non è ancora una costruzione completa ma, “hic Rodus hic salta”, ora la sfida non può che essere accetta.
E’ questo il nuovo contesto che sta determinando il cambio di passo europeo dove la vicenda della pandemia ha mostrato i limiti dell’attuale assetto continentale e l’accentuazione della “ipercompetizione” spinge ad una trasformazione radicale economico-strutturale ma soprattutto politica dove il processo di unificazione va accelerato e consolidato.
Il Forum di oggi tenta di analizzare ed indagare gli ambiti, strutturale e sovrastrutturali, oggetto della trasformazione resasi necessaria alla costituenda borghesia continentale e su questo approfondimento abbiamo chiesto di funzionalizzare le diverse relazioni.
Perciò è utile avere un quadro d’insieme non solo dei contributi odierni al dibattito ma anche del percorso di analisi dove quello che noi abbiamo definito “Polo Imperialista” si avvia ad una trasformazione e integrazione più stretta che in precedenza.
Probabilmente è restrittivo richiudere questo processo inedito per il continente nella categoria “Stato”, inteso in termini storici, ma è probabilmente l’avvicinamento ad una forma statuale nuova e dialettica che però ha la necessità di tenere ben salde le funzioni strategiche di una potenza imperialista necessarie nell’era di ipercompetizione che è presente in questo inizio secolo.
Il PNRR rappresenta bene questo passaggio dove è necessaria una centralizzazione della struttura economica, dove l’UE deve sostenere le imprese private e dove i “campioni” europei ovvero le multinazionali del continente devono essere in grado di competere con il resto del mondo.
Questo aspetto attiene alla dimensione produttiva, dove ad esempio si progetta un accorciamento delle filiere in quanto quelle presenti non danno più garanzie di sicurezza, ad un rafforzamento della circolazione delle merci tramite gli investimenti alle infrastrutture (in Italia si riparla del ponte sullo stretto di Messina), ad un uso illimitato della finanza sostenuto dalla BCE a sostegno delle imprese ed ad un peggioramento sociale complessivo sia in termini di recupero dell’austerity nei prossimi anni a sostegno dei pareggi di bilancio ma soprattutto con una intensificazione dello sfruttamento intensivo della forza lavoro modificando ulteriormente i contratti di lavoro e le condizioni materiali in peggio.
Questa vera e propria ristrutturazione continentale, paragonabile a quella avuta in Italia negli anni ’80, ha bisogno delle cosiddette riforme per consolidare il carattere autoritario che si sta manifestando e che riguarda anche il contenimento del conflitto, come si vede dal ricorso sempre più frequente ai divieti di manifestare che con la scusa dei NO Vax viene esteso al conflitto sociale tout court.
Dunque la UE si presenta sempre più come un soggetto reazionario nello scenario internazionale e le politiche verso i migranti stanno li a testimoniarlo con l’indegna vicenda della Polonia che chiude le frontiere, in accordo con la UE, a quei migranti che fuggono dagli scenari di guerra prodotti dagli stessi interventi militari dell’occidente.
Poi c’è la questione dell’esercito europeo che si intreccia con il recupero del nucleare, caldeggiato dal nostro ministro per la cosiddetta “transizione ecologica” Cingolani, a sostegno del ruolo imperialista necessario per gli interventi militari, come avviene già nell’Africa Occidentale, a difesa degli interessi economici e politici continentali.
Gli interventi militari europei indirizzati verso est, vedi l’Ucraina, e verso sud, Libia ed Africa occidentale, hanno due presupposti strettamente connessi. Il primo è quello della competizione geopolitica per controllare le aree necessarie alla tenuta strategica dell’Unione, e questo anche in conflitto con gli USA se necessario.
L’altro è il sostegno al ciclo economico dell’apparato industriale-militare Europeo che è in una fase di intensa ristrutturazione continentale, insomma quello che è stato definito ed è il Warfare.
Su questi aspetti lascio la parola alle relazioni che entreranno nel merito dei fatti e delle scelte concrete che vengono fatte. C’è però un’ultima questione di rilievo da mettere in evidenza nel nostro incontro.
Tutta questa riorganizzazione e ristrutturazione non viene fatta portando a giustificazione solo motivi economici o finanziari, l’UE ha bisogno per legittimare questo passaggio di una copertura ideologica dove le trasformazioni vengono giustificate da “nobili fini” necessari all’umanità ed al progresso sociale.
L’uso dello strumento ideologico, anzi della clava ideologica, è stato fatto già massicciamente con le guerre umanitarie. Questo ossimoro ridicolo, ma gestito dalla comunicazione di massa in modo ossessivo, ha portato allo smembramento della Jugoslavia, agli interventi in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria in vari paesi africani ed alle vere crisi umanitarie che ci vengono sottaciute.
L’impossibilità per l’Occidente di sostenere nei decenni questi interventi oggi ha svelato l’inganno e la mistificazione degli USA e della NATO, ma la necessità di giustificare con nobili fini le azioni di rapina, sociale o coloniale, rimane integra e la UE oggi ha aperto l’ombrello dell’ambientalismo capitalista per dimostrare il suo carattere progressivo e democratico.
L’Europa si rappresenta come principale palatina in difesa dell’ambiente e gli ultimi due meeting internazionali, il G20 e COP26, sono la conferma di questo tentativo anche se gli esiti degli incontri sono stati ridicoli rispetto alla dimensione assunta del degrado ambientale. La stessa Greta Thunberg che spesso frequenta presidenti e parlamenti ha dovuto denunciare il bla bla bla dei potenti.
Dunque per contrastare questa ulteriore mistificazione, che si poggia sull’uso intensivo dei mass media e degli intellettuali organici alla borghesia europeista, non è più sufficiente tenere alto il conflitto sociale e politico dove e come è possibile ma bisogna saper scendere sul piano di una contrapposizione ideologica comprensibile e rappresentativa delle masse popolari.
D’altra parte abbiamo sotto gli occhi un esempio evidente della condizione ideologica delle classi subalterne, le mobilitazioni dei NoVax/No pass sono, dal nostro punto di vista, azioni irrazionali, controproducenti proprio per i settori sociali a cui facciamo riferimento.
Mantenendo la distanza politica da queste espressioni però bisogna spiegarsi perché avvengono fatti imprevisti e razionalmente inspiegabili che coinvolgono settori sociali che avrebbero ben altri e sostanziosi motivi per mobilitarsi, ma non lo fanno.
Credo che questo comportamento apparentemente irrazionale abbia una sua “base” materiale e che sia necessario individuarla per rafforzare anche la lotta contro questa UE. Il punto è che le classi subalterne nel nostro paese e non solo, basta ricordarsi i Gilet Gialli in Francia, dopo decenni di arretramento e di sconfitte hanno perso ogni fiducia per cambiare le proprie condizione sia nella dimensione conflittuale e vertenziale che in possibili rappresentanze politiche in particolare dopo la sfacciata svendita del M5S. E questo è stato possibile proprio grazie alle politiche dei partiti di sinistra e dei sindacati complici.
Questo non significa che non ci siano momenti di conflitto, abbiamo infatti molte lotte contro i licenziamenti e diffusi conflitti sociali, ma che di per se non hanno le potenzialità per una loro generalizzazione.
Quello che rimane dopo le sconfitte subite per decenni è solo un senso di rabbia e di frustrazione che trova sfogo solo in una possibile dimensione ideologica classicamente intesa come visione del mondo, non come recupero del marxismoleninismo, che sia antagonista, di rifiuto e rottura con la vita sociale che ci viene proposta e imposta dai ceti dominanti.
Questo ci dice che se l’Unione Europea mette tanto impegno nel costruire la sua ipocrita ideologia ambientalista anche il movimento di classe dovrebbe individuare quelle forme ideologiche che possano divenire un riferimento per masse più ampie di quelle residuali della sinistra.
Questa è ora solo una sollecitazione all’analisi ed alla riflessione che parte però dalla necessità di accettare una sfida che viene dai nostri nemici e che ci viene sollecitata dai nostri stessi referenti sociali sottoposti allo stress del turbocapitalismo del XXI° secolo.
Ed è proprio in questa chiave di discontinuità che abbiamo da tempo proposto per la rottura della UE e la costruzione di una area Euromediterranea intesa come indicazione netta di un nemico e di una alternativa da costruire.
CREDITS
Immagine in evidenza: L’allora Ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, visita il Comando delle Forze Speciali Navali.
Autore: Helwin Scharn, 16 luglio 2014
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