in Contropiano numero 0 – 2 Aprile 1993
Il Comitato per lo Stato Palestinese Indipendente si è costituito a Roma il 25 gennaio in una partecipata assemblea in cui sono intervenuti, tra gli altri, Giovanni Russo Spena (deputato di Rifondazione Comunista), Giovanni Franzoni, Marisa Manno ed esponenti palestinesi.
Un sasso nello stagno; così qualcuno ha definito la nascita di questa nuova struttura nel panorama delle associazioni o realtà della solidarietà internazionale ed in particolare in quello legato alla “questione palestinese”.
La definizione è forse eccessiva, ma di sicuro questo Comitato rappresenta, in questa fase, una novità.
In primo luogo perché si propone di operare non solo sul terreno della solidarietà concreta, ma anche dell’iniziativa politica e di lotta a sostegno del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione.
Soprattutto, poi, in un momento come questo in cui la soluzione di questa legittima aspirazione appare più lontana per alcuni motivi:
- La guerra del Golfo, che ha rappresentato una svolta nell’area medio orientale, concrettizzando le aspirazioni egemoniche degli USA rispetto al controllo delle risorse naturali (leggasi petrolio)
- L’avvio della Conferenza di Pace, che in questo nuovo quadro rischiava di essere (e così è stato fino ad oggi) il tentativo di trasposizione sul piano politico, dell’egemonia conquistata dagli USA sul piano militare
- Il ruolo “nuovo” di Israele quale garante degli interessi USA, che scrupolosamente l’amministrazione “laburista” di Rabin ha rispettato inasprendo oltremodo la repressione dell’Intifada palestinese, sino alla vicenda delle deportazioni.
È da questa analisi (sommariamente esposta) che è nata l’esigenza di alcune realtà tra cui la Casa della Pace di costituire un Comitato che contribuisse alla ripresa ed al rilancio della solidarietà con il popolo palestinese, proprio in un momento delicato come questo in cui addirittura si paventa la possibilità di risolvere l’aspirazione di questo popolo ad un proprio Stato con il “contentino” della concessione “dell’autogoverno” sui territori occupati.
In questi due mesi di vita, partendo da questo quadro, si è articolata l’iniziativa del Comitato.
Iniziativa di lotta, come la manifestazione davanti l’ambasciata di Israele per il rientro dei 415 deportati e contro la repressione dell’Intifada, di solidarietà, come il grande concerto, partecipato da centinaia di persone, per raccogliere fondi a sostegno dello sviluppo economico indipendente nei territori palestinesi occupati, base essenziale per raggiungere l’obiettivo dell’indipendenza politica. Dunque, anche da questo punto di vista, il Comitato per lo Stato Palestinese Indipendente rappresenta un fatto nuovo.
Innanzitutto, perché affronta uno dei limiti storici del movimento per la pace e la solidarietà internazionale. Troppo spesso infatti l’associazionismo pacifista è abituato a mobilitarsi rispetto alle situazioni di crisi o tensione internazionale solo sul terreno, sia pur nobile ed apprezzabilissimo, della solidarietà concreta, fattiva. E’ giusto fare adozioni a distanza, missioni umanitarie, raccogliere fondi o medicinali per i popoli che subiscono gli orrori e le ingiustizie della guerra, tuttavia ben altro potrebbe essere il contributo affinché siano risolti i conflitti nel mondo se, accanto alla solidarietà riuscisse ad esprimersi anche l’iniziativa politica e la mobilitazione al fianco di questi popoli e contro chi ne causa le immani sofferenze. Perché, per esempio, nel caso della tragedia che il popolo palestinese vive da decenni e che rischia di rimanere tale, non ci si mobilita per chiedere che l’ONU imponga al governo israeliano il rispetto di tutte le sue risoluzioni e che vengano adottate misure più severe per ottenere questo risultato? Perché non ci si mobilita per svelare le connivenze e le coperture internazionali di cui gode Israele, che da anni persegue indisturbato una politica genocida nei confronti del popolo palestinese? E da questo punto di vista certo molte sarebbero le cose da fare, perché se è vero che certamente gli USA hanno un ruolo chiaro ed hanno nel governo israeliano il “garante” dei propri interessi in questa area è vero anche che numerosi governi occidentali si subordinano a queste scelte, tra questi, certamente, quello italiano che non fa nulla per fermare questa politica del massacro ed anzi, continua ad avere ottimi rapporti politico economico militari con il governo israeliano.
Avrebbe peso e significato (soprattutto per la lotta del popolo palestinese), un forte movimento che chiedesse al governo di troncare questi rapporti e sapesse aprire una campagna di massa per il boicottaggio delle merci e dei prodotti israeliani? Crediamo di sì.
Occorre dunque rompere con atteggiamenti timidi, subalterni ed equidistanti ed aprire una seria riflessione che conduca a ritrovare la forza di riproporre un protagonismo pacifista reale. Noi ci siamo messi al servizio di questa riflessione con l’auspicio che molti interrogativi saranno sciolti.
CREDITS
Immagine in evidenza: Flag waving
Autore: rpb1001; 30 luglio 2008
Licenza: Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)
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