in Contropiano Anno 1 n° 1 – 26 maggio 1993
Antonio Gramsci, oltre a sottolineare l’ottimismo della volontà di fronte al pessimismo della ragione, sosteneva, giustamente, che “la verità è rivoluzionaria,” per quanto possa essere amara. Di fronte ai risultati del referendum del 18 aprile, queste tesi si rivelano utilissime ma, purtroppo, non consolatorie. Il plebiscito con cui il SI ha imposto una svolta a destra nel nostro paese è inquietante, per quanto prevedibile essendo assai aderente al clima esistente in Italia. Ma è ancora più preoccupante, e doverosa di riflessione e risposte, la pesante sconfitta del fronte del NO e cioè delle “ragioni della sinistra” che si è opposta al progetto reazionario insito nel referendum.
Il NO ha perso consenso anche nella propria area sociale. Non ha retto nei settori popolari ma neanche in quella “società civile” individuata molto confusamente e corteggiata anche dalla sinistra. Dunque quella divaricazione che avevamo individuato da alcuni anni con la società reale si è fatta ancora più profonda. Chi aveva rimosso questa realtà in nome di una mitologia più che di analisi oggettive, ha materia abbondante su cui ragionare.
Il referendum ha avuto però anche un effetto acceleratore sulla scomposizione e ricomposizione della mappa del potere e dei gruppi dominanti in Italia.
L’operazione Ciampi è emblematica di quella “trasversalità” di rappresentanza e decisionalità a cui aspiravano i gruppi capitalisti più forti che avevano deciso di liquidare ogni debito verso il blocco di potere che fino ad oggi li aveva rappresentati e serviti (DC e PSI soprattutto).
A questa resa dei conti non pare sfuggire il PDS sottoposto contemporaneamente a “prove di lealtà” devastanti iniziative giudiziarie e pesanti iniziative politiche tese a liquidarlo come perno dell’area riformista (vedi il ruolo di Segni e dei referendari).
Nel marasma di nuove aggregazioni che stanno via via sostituendo o sgretolando i vecchi partiti, i padroni sembrano avere idee chiare sul futuro e sulla priorità degli interessi che dovranno determinare le relazioni sociali, sindacali ed internazionali dell’Italia.
Ma nell’area della sinistra “democratica” o di classe, il referendum ha avuto l’effetto della bassa marea che ritirandosi dalla spiaggia porta in evidenza i relitti, i detriti e talvolta i reperti archeologici.
Questa sinistra, dominata dal politicismo e da un ceto politico conseguente, più attenta alle questioni sovrastrutturali che a quelle determinanti, ha scoperto di avere un rapporto debolissimo con la società e le sue contraddizioni reali. Per anni la cultura e il ceto politico egemone si sono cullati dentro i meccanismi formali (istituzioni, elettoralismo, lobbismo di vario genere) trascurando ogni indagine ed ogni relazione (e quindi ogni influenza e iniziativa) dentro una realtà sociale che non andava solo modificandosi in senso reazionario ma lo faceva senza alcuna presenza di una sinistra capace di battersi e di contrastare questa tendenza.
L’autonomia politica, fondamentale per la forza della sinistra, è stata sostituita dalla “Politica,” il che ha portato lontano dalle contraddizioni e dai movimenti reali, dalle periferie delle metropoli, dalle esigenze dei lavoratori. Se si vuole sopravvivere e svolgere un ruolo attivo e non di testimonianza, sono questi i nodi di fondo da affrontare e da sciogliere.
Per queste ragioni occorre dare vita ad un’area politica e sociale alternativa ed indipendente al riformismo istituzionale del PDS (a “sinistra” del quale le riforme elettorali alzeranno assai presto un solido sbarramento) e di base nel senso di un forte legame con le contraddizioni reali e la società. Lo spazio per la “tattica,” troppo spesso elevata a dogma, e per operazioni elettoralistiche ormai si è esaurito.
Si pone con forza e obiettivamente la questione di una nuova rappresentanza politica “di classe e democratica” che nasce da una divaricazione ormai evidente tra la rappresentanza “elitaria” che ci proporranno le riforme elettorali e la realtà di una crisi sociale assai acuta conseguente agli effetti delle scelte economiche dei governi di Amato e di Ciampi. Una prospettiva che affronti con decisione questa contraddizione fondamentale, è la sola dentro cui appaiono credibili una politica, una tattica e proposte immediate che abbiano un valore effettivo e che non siano il risultato del ripiegamento sulla autoconservazione di un intero ceto politico e di una storia ormai superati dai fatti.