Andrea Mencarelli – Giacomo Marchetti
L’ipotesi di un ritiro delle truppe francesi ed europee dispiegate in Mali aleggiava nell’aria da qualche settimana e nei giorni scorsi è diventata una possibilità sempre più concreta. Nella giornata di ieri è arrivato l’annuncio ufficiale, durante il vertice tenutosi a Parigi tra i capi di Stato dell’Africa occidentale e dei paesi europei coinvolti nella Task Force Takuba.
“A causa delle molteplici ostruzioni delle autorità di transizione maliane, il Canada e gli Stati europei che operano a fianco dell’operazione Barkhane e nell’ambito della Task Force Takuba ritengono che non ci siano più le condizioni per continuare effettivamente il loro attuale impegno militare […] in Mali e hanno quindi deciso di iniziare il ritiro coordinato dal territorio maliano dei loro rispettivi mezzi militari dedicati a queste operazioni”, hanno affermato in una dichiarazione congiunta.
Le “relazioni internazionali” tra Parigi e Bamako sono precipitate rapidamente, come una biglia su un piano inclinato. A seguito del “colpo di Stato” che ha destituito l’ex presidente Ibrahim Boubacar Keïta nell’agosto 2020 e quello del maggio 2021 guidato da Assimi Goïta (attuale presidente della Repubblica del Mali), che ha affidato il posto di primo ministro a Choguel Maïga (figura rilevante del M5-RFP), la Francia ha attuato una costante operazione di delegittimazione del governo maliano.
Tramite i governi alleati degli Stati dell’Africa occidentale – Macky Sall in Senegal e Alassane Ouattara in Costa d’Avorio – ha agito nell’ombra, esercitando un pressing per isolare e soffocare il governo del Mali. Le sanzioni della CEDEAO che, di fatto, hanno imposto un embargo economico e finanziario ne sono la diretta conseguenza e la riprova materiale.
La volontà da parte delle autorità maliane di rivedere gli accordi di cooperazione militare con la Francia, il braccio di ferro con la Danimarca a seguito del dispiegamento “non autorizzato” del contingente militare danese della missione Takuba, l’espulsione dell’ambasciatore francese dal Mali hanno fatto precipitare il corso degli eventi.
La presenza del gruppo paramilitare russo Wagner e il suo affiancamento alle truppe maliane a Ségou (200km a nord-est di Bamako) è stato il pretesto principale sbandierato dalle potenze occidentali per giustificare la rottura definitiva del loro “impegno” nel nuovo quadro politico e militare deciso dalle autorità di transizione.
Durante la conferenza stampa, il presidente francese Emmanuel Macron ha rifiutato categoricamente l’utilizzo del termine “fallimento” dell’impegno militare francese in Mali e, soprattutto, del suo piano di “grande riconfigurazione del meccanismo Barkhane” annunciato nell’estate 2021: “Non possiamo rimanere militarmente impegnati a fianco di autorità di fatto di cui non condividiamo la strategia e gli obiettivi nascosti e che utilizzano mercenari della compagnia [russa] Wagner con ambizioni predatorie”.
A dicembre, il tricolore francese era stato ammainato dalla simbolica base militare di Timbuctù – quella da cui nel 2013 l’ex presidente “socialista” François Hollande aveva lanciato l’operazione Serval. La chiusura delle ultime basi francesi in Mali (a Gao, Ménaka e Gossi) richiederà un periodo di tempo di 4-6 mesi.
Le truppe militari francesi (circa 2.400 soldati) dell’operazione Barkhane e delle forze speciali europee della missione Takuba (circa 800 effettivi) attualmente di stanza in Mali verranno ricollocate nei paesi limitrofi per “proseguire la loro azione comune contro il terrorismo nei paesi saheliani e nel Golfo di Guinea” con i “parametri di questa riorganizzazione [che] saranno decisi entro giugno 2022”.
Mentre resta ancora da definire il trasferimento dei 15.000 soldati dell’operazione delle Nazioni Unite MINUSMA presenti in Mali, i soldati europei della Task Force Takuba verranno spostati nel confinante Niger, dove sono già impegnate 800 soldati francesi e si trova la principale base aerea dell’operazione Barkhane, nonché il posto di comando congiunto con il “G5 Sahel”.
Non potendo contare sul Burkina Faso, sia per il recente “colpo di Stato” che per la crescente opposizione alla presenza militare francese, la Francia considera ora il Niger e, in particolare, il suo presidente Mohamed Bazoum un “alleato privilegiato”, più stabile e sicuro in questo “passaggio forzato” per la riorganizzazione del proprio imponente contingente militare.
È necessario sottolineare che, in Niger, la Francia è presente non solo a livello militare nella “lotta al terrorismo”, ma soprattutto con la sua multinazionale Orano (ex Areva) attiva nel settore estrattivo e dell’energia, in particolare quella nucleare. Ad Arlit (nord del Niger) Areva possiede due miniere dove estrae uranio, esportato poi in Francia per alimentare le “verdissime” centrali nucleari e, in prospettiva, i nuovi reattori EPR che Macron ha annunciato di voler costruire entro il 2050.
La Francia e i suoi alleati europei nella missione Takuba hanno ribadito che si tratta di un “ritiro coordinato”, volendo – almeno nell’immaginario – differenziarsi dalla fuga in fretta e furia degli Stati Uniti dall’Afghanistan dopo l’entrata a Kabul dei Talebani ad agosto dell’anno scorso. Uno scenario che non sono riusciti interamente a scongiurare e che avevamo già delineato in tempi non sospetti quando, sempre su questo giornale, scrivevamo che il Mali rischiava di diventare “l’Afghanistan di Parigi e dell’Unione Europea”.
La riorganizzazione dell’operazione Barkhane e il suo “superamento” attraverso lo sviluppo della missione Takuba, che prevedeva la “europeizzazione” dell’intervento militare nel Sahel, avrebbero dovuto – almeno secondo i piani di Parigi e Bruxelles – attuarsi in maniera lineare e ordinata.
Le resistenze da parte del governo maliano, i “colpi di Stato” in Guinea e in Burkina Faso e il crescente “sentimento anti-francese” contro la presenza militare nella regione hanno messo i bastoni nelle ruote all’imperialismo europeo.
Un punto di caduta per il neo-colonialismo delle potenze europee e un grande smacco per Emmanuel Macron, che ad inizio anno ha assunto la presidenza del Consiglio dell’Unione europea.
Il presidente francese sperava di poter approfittare di questo semestre per rafforzare la sua figura in vista delle elezioni presidenziali del prossimo aprile, estendere le ambizioni della grandeur francese, accelerare l’avanzamento della missione Takuba con il coinvolgimento degli alleati più scettici (Germania e Spagna) e procedere spedito lungo la traiettoria della “Strategic compass” per l’autonomia strategica dell’Unione Europea.
Oggi e domani si terrà a Bruxelles il vertice tra l’Unione Europea e l’Unione Africana, con la partecipazione di personalità esterne del FMI e della Banca Mondiale. Finanziamento della crescita, sicurezza e governance, migrazioni, salute, transizione energetica, educazione e integrazione economica saranno le principali tematiche sulle quali si delineerà un “nuovo partenariato” nel quadro della nuova strategia europea di investimento “Global Gateway”.
CREDITS
Immagine in evidenza: Operación Barkhane
Autore: Ejército del Aire y del Espacio
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