Andrea Mencarelli – Giacomo Marchetti
20 settembre 2023
Sabato 16 settembre 2023 i capi di Stato del Mali, del Burkina Faso e del Niger hanno firmato la “Carta di Liptako-Gourma” per la creazione della “Alliance des Etats du Sahel” (Alleanza degli Stati del Sahel).
Questa alleanza ha “l’obiettivo di stabilire un’architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle nostre popolazioni”, come dichiarato dal colonnello Assimi Goïta, presidente della transizione in Mali.
Il Capitano Ibrahim Traoré, presidente nel Burkina Faso, ha sottolineato come “La creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel segna una tappa decisiva nella cooperazione tra Burkina Faso, Mali e Niger. Per la sovranità e lo sviluppo dei nostri popoli, condurremo la lotta contro il terrorismo nel nostro spazio comune, fino al raggiungimento della vittoria”.
L’articolo 4 stabilisce appunto che gli Stati membri “si impegnano a lottare contro il terrorismo in tutte le sue forme e contro la criminalità organizzata nello spazio comune dell’Alleanza” e “si adopereranno inoltre per prevenire, gestire e risolvere qualsiasi ribellione armata o altra minaccia all’integrità territoriale e alla sovranità di ciascuno dei Paesi membri dell’Alleanza, dando priorità ai mezzi pacifici e diplomatici e, se necessario, all’uso della forza” (articolo 5).
Infatti, la regione di Liptako-Gourma a cavallo tra le frontiere maliana, nigerina e burkinabè, è stata epicentro della riorganizzazione e ricomposizione delle forze jihadiste. Nella cosiddetta “zona delle tre frontiere” è il movimento dello Stato islamico del Grande Sahara, anche conosciuto come Islamic State in West African Province (ISWAP), ad essere principalmente attivo e responsabile dei numerosi attacchi terroristici di matrice jihadista.
A quest’ultimo si accompagna e si scontra il Gruppo di Sostegno all’Islam e ai musulmani (GSIM), anche conosciuto come Fronte d’Appoggio all’Islam e ai musulmani o Jamaʿat Nuṣrat al-Islām wa-l muslimīn. Si tratta di una coalizione di movimenti jihadisti affiliati all’ideologia salafita islamista guidata dal leader tuareg Iyad Ag Ghali, la quale, dopo esser stata principalmente attiva nel Nord del Mali, si è progressivamente sposta e diffusa nella regione del Liptako-Gourma.
L’intervento militare Francia nel Sahel – in nome della “lotta al terrorismo” – attraverso l’Operazione Serval dal gennaio 2013, poi divenuta Barkhane, non ha affatto “stabilizzato” né messo in sicurezza le popolazioni civili della regione. Al contrario, ha radicalizzato ancor più le frange violente dei gruppi terroristici, trasformando sempre più il Sahel “nell’Afghanistan della Francia e dell’Unione Europea”.
Al tempo stesso, è andata crescendo e diffondendosi sempre più la consapevolezza che la presenza militare francese sia in realtà rivolta alla difesa degli interessi economici e strategici di Parigi, perpetrando le logiche del neocolonialismo e, in particolare, dell’intero sistema politico, economico e monetario della Françafrique.
Dalle miniere d’oro in Mali e in Burkina Faso a quelle di uranio in Niger, il saccheggio delle risorse naturali da parte delle multinazionali francesi ed europee è ormai sotto gli occhi di tutti.
Dopo il ritiro delle truppe francesi e la fine delle operazioni della forza Barkhane in Mali (tra gennaio e agosto 2022) e in Burkina Faso (febbraio 2023), il Niger aveva rappresentato uno spazio temporaneo di collocamento per rilanciare la riorganizzazione dell’intervento militare nel Sahel.
Tuttavia, il colpo di Stato a Niamey ha sparigliato le carte: sebbene le attività di cooperazione militare siano state sospese, in Niger restano ancora circa 1500 soldati francesi – oltre a 1000 soldati statunitensi e 350 membri delle Forze Armate italiane –, il cui ritiro sarebbe oggetto di discussioni e negoziazioni da qualche settimana.
L’Alleanza degli Stati del Sahel (AES, dall’acronimo in francese) si è così innestata nel cuore delle molteplici crisi che destabilizzano l’intero territorio del Sahel.
Per i leader delle giunte militari che si sono affermate al potere attraverso colpi di Stato patriottici e supportati da un’ampia parte della popolazione, l’AES rappresenta un coordinamento strategico e operativo in materia di sicurezza comune che si faccia carico di alcune missioni che il coordinamento “G5 Sahel” non è stato in grado di svolgere.
Il G5 Sahel, fondato nel 2014 su spinta della Francia, è una forza congiunta tra i cinque Stati della regione – Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad – in materia di politiche di sviluppo e sicurezza comune. Questo coordinamento è di fatto morto e superato dagli obiettivi e dalla cooperazione stabilita dall’Alleanza degli Stati del Sahel.
Nelle parole del generale Abdourahamane Tiani, leader del Niger dopo il colpo di Stato che ha spodestato Mohamed Bazoum e istituito il Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (CNSP): “Insieme, costruiremo un Sahel pacifico, prospero e unito”.
Questi Paesi sono, in varia misura, sottoposte a sanzioni economiche, finanziarie e commerciali imposte dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO). Inoltre, a seguito del colpo di Stato in Niger del 26 luglio scorso, la CEDEAO ha rifiutato il dialogo con le autorità militari e ha più volta lanciato degli ultimatum per “ripristinare immediatamente l’ordine costituzionale”, reintegrandolo l’ex presidente Bazoum nella sua carica.
Per diverse settimane, diversi leader dei paesi membri della CEDEAO, in particolare i “cani da guardia” dell’imperialismo occidentale – il presidente senegalese Macky Sall e il presidente ivoriano Alassane Ouattara – hanno minacciato un intervento militare in Niger, forti del bene placet delle cancellarie europee.
Tuttavia, i vicini Burkina Faso e Mali avevano prontamente reagito ritenendo che un’operazione militare contro il Niger per reintegrare con la forza il deposto presidente Mohamed Bazoum sarebbe stata equivalente ad “una dichiarazione di guerra” e promettendo una “risposta immediata” a sostegno della giunta e della popolazione nigerina.
Per questo motivo, l’articolo 6 della Carta fondante dell’AES stabilisce che “qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerato come un’aggressione contro le altre parti e farà scattare il dovere di assistenza e soccorso da parte di tutte le parti, individualmente o collettivamente, compreso l’uso della forza armata per ripristinare e garantire la sicurezza all’interno dell’area coperta dall’Alleanza”.
La Carta resta aperta a “qualsiasi altro Stato che condivida le stesse realtà geografiche, politiche e socioculturali e che accetti gli obiettivi dell’Alleanza” e qualsiasi “richiesta di adesione sarà accettata dal voto unanime degli Stati membri” (articolo 11).
Inoltre, la Carta fondante dell’AES mette nero su bianco una nuova maniere di intendere e praticare le relazioni internazionali, in controtendenza rispetto all’imposizione di sanzioni illegittime e catastrofiche per le popolazioni.
Infatti, l’articolo 8 sancisce che “I Paesi firmatari si impegnano: a non ricorrere tra di loro alla minaccia, all’uso della forza o all’aggressione, contro l’integrità territoriale o l’indipendenza di uno degli Stati membri; a non mettere in atto blocchi navali, autostradali, marittimi o delle infrastrutture strategiche attraverso le forze armate; a non perpetrare attacchi o aggressione contro un altro Stato membro o a Stati terzi, a partire dal territorio messo a disposizione da uno degli Stati firmatari”.
Il sistema della Françafrique vacilla e perde pezzi, così come le istituzioni sovranazionali dell’Africa occidentale messe in campo per agire come longa manu degli interessi occidentali e per garantire una posizione di privilegio alle borghesie nazionali asservite alle potenze neocoloniali.
Il Sahel sta diventando a tutti gli effetti il punto di caduta dell’imperialismo europeo in Africa.
CREDITS
Immagine in evidenza: Flintlock 2018 Training in Agadez, Niger
Autore: US Africa Command, 18 aprile 2018
Licenza: Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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